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La notte in cui mio padre ha riversato amore sulle forze dell’inferno

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Larry Peterson - pubblicato il 20/06/16

L'incubo nazista sembrava non avere fine. Ma una notte è iniziata la guarigione

Ricordo molto bene quel venerdì sera di tanti anni fa. Le urla sono iniziate verso mezzanotte. Era settembre e le finestre erano ancora aperte, ma nonostante facesse molto caldo, quel pianto ci ha fatto venire i brividi. Papà si è alzato e mio fratello Danny ha sussurrato dal suo letto: “Penso provenga da là sotto“.

Là sotto” era l’appartamento di Leo e Sophie Rabinowitz. Ci siamo alzati e abbiamo iniziato a seguire le urla. Papà si è precipitato verso l’appartamento di Leo e ha iniziato a bussare con veemenza sulla porta. Noi abbiamo osservato tutta la scena dalle scale. La porta si è aperta lentamente, Leo si è affacciato e in un battito d’occhio mio padre ha abbracciato quel piccolo omino ebreo. Stava piangendo, senza vergognarsene. Poi ha nascosto la sua testa sul petto di papà.

Mio fratello ed io ci siamo accovacciati e quello che abbiamo visto dal pianerottolo ci ha sorpresi. Leo era il padrone di casa, e tutti sembravano avere paura di lui. Ma non papà. È entrato nell’appartamento insieme a Leo Rabinowitz e si è fatto vivo soltanto diverse ore dopo.

Sophie Rabinowitz aveva avuto un incubo. Un incubo nato molti anni prima, quando i suoi figli – due ragazzi di 12 e 9 anni – sono stati bastonati a morte dai nazisti, che hanno costretto lei e il marito a guardare la scena. Leo e Sophie hanno implorato gli aguzzini di uccidere loro e di risparmiare i bambini, ma i nazisti si sono “limitati” a torturarli.

Genitori amorevoli, in quel momento si sono sentiti impotenti. Non sono stati in grado di salvare i propri figli mentre dei senza-dio li bastonavano a morte soltanto perché ebrei. Tutta questa malvagità può verificarsi soltanto se le persone che l’accettano provengono dalle viscere dell’Inferno.

Mio padre è scomparso da molti anni, ma il suo esempio continua a insegnarmi ancora oggi cosa voglia dire essere cattolici. Quando sento leggere Matteo 5:1-12, continuano a venirmi in mente le immagini di quel venerdì notte. Nel Discorso della Montagna Gesù, un uomo ebreo, ha dato al mondo le Beatitudini. Quella che mi colpisce di più è la numero due: “Beati gli afflitti, perché saranno consolati”.

Parole che mi riportano a quelle scale e a quell’uomo cattolico che è sceso per consolare il suo vicino ebreo. Parole che mi fanno pensare all’amicizia che è nata da quella notte. Con un semplice abbraccio, mio padre ha iniziato un “processo di afflizione” con Leo e Sophie. Perché non avevano mai pianto i due figli, ma hanno invece sempre represso l’incubo, provando poi ad andare avanti. Quella notte, probabilmente per la prima volta, hanno iniziato ad affrontare quanto accaduto. Insieme. Rivivere la tristezza e l’orrore ha rilasciato bellezza e ha rinnovato il loro vincolo matrimoniale, donando loro un’unione che non avevano più da quasi 20 anni. Diventando l’uno la forza dell’altra.

Noi cattolici siamo abituati a leggere e ascoltare, durante la Messa, le seguenti parole: “Uniti in una stessa comunione veneriamo anzitutto la memoria della gloriosa sempre Vergine Maria, Madre del nostro Dio e Signore Gesù Cristo, e veneriamo pure quella di san Giuseppe, Sposo della stessa Vergine, e dei tuoi beati…” 

Tutti i nomi appena citati sono di ebrei. Il loro ebraismo era parte di ciò che erano, arrivando a diventare ciò che noi cristiani cattolici siamo oggi. Noi, ebrei e cristiani, saremo per sempre uniti dal Dna spirituale.

Certo, ci sono sempre stati coloro che hanno odiato il prossimo soltanto perché ebreo o cristiano. Vorrei che queste persone avessero potuto incontrare mio padre.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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