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Rifugiati: 65 milioni in fuga dalle guerre, l’impegno della Chiesa

Vatican Insider - pubblicato il 20/06/16

I dati diffusi in occasione della Giornata mondiale del rifugiato (20 giugno) parlano chiaro: nel 2015, 65,3 milioni di persone sono state costrette ad abbandonare le loro case in ragione di conflitti, violenze, persecuzioni; la loro condizione è cambiata repentinamente, sono diventati sfollati interni nei loro stessi Paesi o migranti, finiscono accalcati in immensi campi profughi in cui è difficile sopravvivere, attraversano il mare, rischiano la vita, sono vittime di trafficanti. E spesso sono costretti al rimpatrio. Un numero enorme, un record negativo, che fa segnare un aumento di quasi il 10% rispetto al 2014 secondo quanto afferma l’Alto commissariato per i rifugiati. 

Ancora, da sottolineare, che oltre la metà di loro viene da tre Paesi soltanto: Siria, Afghanistan e Somalia, non a caso tre teatri di conflitti ormai incancreniti, realtà in cui spesso c’è solo una parvenza di ordine statale, oppure vige la legge del terrore imposta dai vari eserciti e gruppi armati attivi sul terreno. E’ appunto con il pensiero a questa catastrofe umanitaria dalle conseguenze politiche e sociali incalcolabili, che, di nuovo domenica 19 giugno, il Papa ha affermato: «Domani ricorre la Giornata Mondiale del Rifugiato promossa dall’Onu. Il tema di quest’anno è “Con i rifugiati. Noi stiamo dalla parte di chi è costretto a fuggire”. I rifugiati sono persone come tutti, ma alle quali la guerra ha tolto casa, lavoro, parenti, amici. Le loro storie e i loro volti ci chiamano a rinnovare l’impegno per costruire la pace nella giustizia. Per questo vogliamo stare con loro: incontrarli, accoglierli, ascoltarli, per diventare insieme artigiani di pace secondo la volontà di Dio». 

E’ quindi con uno sguardo evangelico rivolto a questa umanità, che Francesco ha ripetutamente chiamato la Chiesa, nel corso del pontificato, le sue organizzazioni, i credenti, a impegnarsi su questa frontiera così decisiva nel definire la condizione umana in questi anni. La Caritas italiana, per l’occasione, ha diffuso un dossier dedicato al tema dei «rimpatri forzati» cui sono spesso costretti i rifugiati. «I rimpatriati – spiega il dossier – sono coloro che con coraggio sono partiti con una valigia piena di aspettative per una vita migliore e dignitosa e ritornano in patria con una valigia vuota di speranze, l’amarezza di non avercela fatta, di non aver trovato la solidarietà sperata e ritrovarsi di nuovo con le mani vuote, anche più di prima». Il Paese al quale quest’anno è dedicato l’approfondimento del dossier Caritas, è Haiti, la piccola isola caraibica divisa a metà con la Repubblica Dominicana, dove il problema dei rifugiati e dei rimpatri è particolarmente sentito. «Il rimpatrio forzato – si spiega nel dossier – è un fenomeno globale che, anziché unire, sgretola la società, divide le famiglie, gli Stati, l’opinione pubblica. Provoca precarietà, insicurezza, rabbia, senso di abbandono in chi inerme lo subisce». 

Anche il Jesuit Refugee service, l’organizzazione dei gesuiti che si occupa dei rifugiati (a Roma il Centro Astalli) ha diffuso una nota in proposito puntando in modo specifico su un aspetto, quello dell’educazione: «l’accesso a un’educazione di qualità – si legge in una nota diffusa per la Giornata mondiale del rifugiato – consente ai rifugiati di realizzare appieno le proprie potenzialità e contribuire al massimo alla crescita, alla forza e stabilità delle rispettive comunità. La conoscenza è per eccellenza ciò che nessuna guerra né calamità può sottrarci». Si citano poi le parole del rifugiato Seda Abdallah Abakar che svolge il suo ruolo presso la scuola del JRS operativa nel campo di Goz Amir, in Ciad, che afferma: «Chiedo a ciascuno di farsi educare non soltanto per se stesso, ma per l’arricchimento della rispettiva nazione. In parole povere, senza un’educazione non è vita».

«Le comunità ospitanti di tutto il mondo – rileva ancora il Jesuit Refugee Service – devono garantire che i rifugiati non perdano il loro diritto fondamentale all’educazione. Educhiamoci nel senso più alto del termine, e impariamo l’uno dall’altro. Dobbiamo aprirci, aprire le nostre menti e le nostre comunità autenticamente, in modo da liberare le nostre potenzialità in quanto società». 

Importante anche l’iniziativa dei corridoi umanitari promossa ormai da qualche mese, da Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle chiese evangeliche in Italia e Tavola Valdese in collaborazione con i ministeri degli Esteri e degli Interni italiani. Nei giorni scorsi sono arrivati in questo modo, cioè con un viaggio in aereo sicuro sottraendo così le persone ai rischi di una trasferta pericolosissima e alla rete infernale dei trafficanti, altre 81 persone, in maggioranza siriane provenienti dal Libano, tutti hanno avanzato regolare richiesta di asilo. Saranno ora ospitati da una rete di case e strutture di accoglienza situate non solo in Italia (Lazio, Toscana, Piemonte, Liguria, Lombardia, Campania e Puglia) ma anche nella Repubblica di San Marino. Gli 81 siriani sbarcati il 16 giungo in Italia, si aggiungeranno ai 200 già arrivati dallo scorso febbraio con i ’corridoi umanitari’. 

Quest’ultimo gruppo arrivato in modo sicuro a Fiumicino, ha trascorso gli ultimi due o tre anni in Libano. I cristiani sono 29, il resto sono musulmani. Trenta sono i bambini, di cui due disabili, ma diversi altri erano malati. Di fatto si tratta del quarto gruppo di profughi che è riuscito ad arrivare nel nostro Paese senza rischiare la vita con gli scafisti, e ora la speranza dei promotori dell’iniziativa è che il progetto dei corridoi umanitari venga fatto proprio dall’Europa. «Siamo soddisfatti e riconoscenti per l’adesione di San Marino (al progetto, ndr) – ha detto Marco Impagliazzo della Comunità di Sant’Egidio – questo è un modello per tutta l’Europa, e lo sosteniamo con forza». Nel frattempo l’Italia lo presenterà il 21 giugno alle Nazioni Unite. 

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