Il 3 maggio scorso, all’inizio della campagna elettorale, a margine di un convegno venne fatta al Segretario di Stato Pietro Parolin una domanda su che cosa pensasse di Virginia Raggi. «Le auguro ogni successo!» aveva risposto un po’ sornione il cardinale veneto. Niente più di una battuta con il sorriso sulle labbra, fatta da un diplomatico di lungo corso che non aveva intenzione di fare endorsement, ma che ha portato fortuna alla candidata Cinquestelle.
Abbiamo provato a verificare come si risvegli questa mattina il Vaticano in una Roma che sarà governata dal movimento fondato da Beppe Grillo, interpellando prelati di primo piano della Curia. Non mancano le preoccupazioni, ma quasi nessuno si scompone per la vittoria dell’outsider Raggi. Anzi, c’è chi non nasconde soddisfazione, come un vescovo curiale esperto canonista che vive nella capitale da molti anni: «Ho appena votato per la candidata Cinquestelle – confida appena uscito dal seggio – per due motivi: sono rimasto colpito da come i big del movimento hanno partecipato da credenti ai funerali di Gianroberto Casaleggio. E poi ho apprezzato la decisione di lasciare libertà di coscienza nel voto sulla legge sulle unioni civili, dimostrando di non essere subalterni alla cultura laicista». Il monsignore spera ovviamente che ora sappiano dare prova di saper governare la città.
Più cautela si respira negli ambienti della Segreteria di Stato, dove non manca la curiosità verso la nuova situazione. Non ci sono apprensioni per le parole della Raggi sull’Imu che devono pagare i locali degli enti religiosi utilizzati per fini commerciali: «Questa è la linea del Papa e pure la Conferenza episcopale è stata chiara su questo – spiega uno dei più stretti collaboratori di Francesco – anche se la candidata Cinquestelle è sembrata fare un po’ di confusione: ha parlato come se si trattasse di immobili del Vaticano, mentre sono proprietà degli ordini religiosi. Comunque il popolo è sovrano e noi auguriamo un buon lavoro al nuovo sindaco di Roma». È palpabile, invece, la freddezza verso il Pd, per la gestione della legge Cirinnà e la «festa» che ha accompagnato il voto in Parlamento, come pure per la gestione di Ignazio Marino.
Ma il Vaticano, anche se il più piccolo del mondo, è pur sempre un altro Stato rispetto all’Italia: tratta direttamente con il governo, e per il Giubileo c’è una segreteria tecnica affidata alla Prefettura. Chi dovrà collaborare con la nuova amministrazione è il Vicariato di Roma guidato dal cardinale Agostino Vallini. Qui, in San Giovanni in Laterano, i commenti esprimono maggiore preoccupazione. Proprio in Vicariato lo scorso novembre, un mese prima dell’inizio del Giubileo, era stata preparata una lettera aperta nella quale si auspicava «una scossa» per Roma, ripartendo «dalle molte risorse religiose e civili», e si chiedeva la «formazione di una nuova classe dirigente nella politica». La scossa indubitabilmente c’è stata, forse più forte del previsto. In Vicariato l’apprensione è per «l’inesperienza» della candidata pentastellata, ma si spera che si possa collaborare, dopo l’esperienza con la giunta Marino, giudicata da questo punto di vista disastrosa: «Ci si incontrava, si prendevano decisioni per azioni comuni e il giorno dopo il sindaco faceva il contrario».
Un altro vescovo della Curia romana con incarichi di rilievo, parla con tono più distaccato: «Diciamoci la verità: Roma è ingovernabile. Non sono andato a votare ma non mi dispiace che Raggi abbia vinto: mettiamo alla prova il movimento Cinquestelle in una città difficile e vediamo come se la cava».
Questo articolo è stato pubblicato nell’edizione odierna del quotidiano La Stampa