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Pagare con la vita la difesa del Creato

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Vatican Insider - pubblicato il 18/06/16
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Il 18 giugno 2015 usciva l’enciclica Laudato Si’, il primo documento dedicato da un Papa al Creato come «casa comune». A un anno di distanza, la rivista Mondo e Missione, mensile del Pime, dedica il servizio di copertina ai «martiri della terra», ossia agli uccisi nel nome della salvaguardia del Creato.  

Dall’Honduras alla Repubblica Democratica del Congo dalle Filippine al Sudafrica, la minuziosa ricostruzione di Giorgio Bernardelli svela che sono numerosi i leader ambientalisti assassinati in ogni angolo del mondo, nell’anno trascorso dalla pubblicazione dell’enciclica, perché impegnati nella lotta contro lo sfruttamento selvaggio, delle persone e delle risorse naturali. Nomi che in Occidente hanno avuto, salvo rare eccezioni, poche righe su qualche quotidiano. 

La figura più nota della lista è quella dell’honduregna Berta Cáceres, uccisa il 3 marzo scorso. La sua colpa? L’impegno nella battaglia contro la diga di Aqua Zarca, un mega impianto idroelettrico sostenuto da Cina e Banca mondiale, che avrebbe comportato per centinaia di indios la perdita di ogni accesso alle sorgenti d’acqua. Battaglia alla fine vinta, che le aveva meritato nel 2015 il Goldman Environmental Prize, il più prestigioso riconoscimento ambientalista. Il 28 ottobre 2014 anche Berta era presente al primo incontro dei movimenti popolari in Vaticano, ad ascoltare le parole di Bergoglio sulle «Tre T» (tierra, techo y trabajo, cioè terra, casa e lavoro) come diritti irrinunciabili per i poveri. E, come osserva Bernardelli, «la fotografia che la mostra accanto a papa Francesco con il poncho degli indios Lencha è già diventata un simbolo». 

Il caso di Berta, però, non è affatto isolato. Come scrive Mondo e Missione, «i dati statistici più recenti dicono che tra il 2002 e il 2014 nel mondo vi sono state due morti di questo tipo alla settimana. Un trend in drammatica crescita». 

Lo confermano i fatti. A due mesi dalla pubblicazione dell’Enciclica, il 25 agosto in Brasile, nello Stato del Maranhão, veniva colpito a morte, dopo essere stato ripetutamente minacciato, Raimundo dos Santos Rodrigues. Faceva parte del Conselho Consultivo da Reserva Biológica do Gurupi che si batte contro la deforestazione illegale in un’area protetta.  

Pochi giorni dopo, il primo settembre, un altro leader locale veniva assassinato nelle Filippine per il suo impegno a fianco delle popolazioni indigene. Emerico Samarca era il direttore dell’Alternative Learning Center for Agricultural and Livelihood Development (Alcadev), una scuola pensata per radicare le comunità tribali locali nei villaggi della foresta. Operava in un villaggio della provincia di Surigao del Sur, sull’isola di Mindanao, dove nel 2011 anche un missionario del Pime, padre Fausto Tentorio, è stato ucciso, anch’egli per il suo impegno in favore dei tribali e della difesa dell’ambiente. 

Sempre a Mindanao, il 27 gennaio scorso è stata colpita un’altra attivista indigena, Teresita Navacilla: era a capo di un movimento locale che si oppone alla realizzazione della miniera a cielo aperto di King-king. Se il progetto andasse in porto le popolazioni tribali locali sarebbero costrette a fuggire. 

Il marzo 2016 è stato un mese terribile per gli attivisti dell’ambiente nel mondo. In Honduras, il 15 marzo c’è stata l’uccisione di Nelson Garcia, anch’egli membro del Consiglio civico delle organizzazioni popolari e indigene (Copinh), lo stesso organismo della Cáceres. Secondo l’ong Global Witness ben 101 sono gli attivisti ambientalisti uccisi in Honduras tra il 2010 e il 2014. 

In Guatemala, il 16 marzo è stato assassinato Walter Méndez Barrios, un noto ambientalista locale: aveva puntato il dito contro la diga di Boca del Rio e, soprattutto, sull’impatto ambientale devastante della produzione di olio di palma in Guatemala, la cui espansione sta causando la distruzione della foresta pluviale del Petén. 

Il 21 marzo, è stata la volta di uno dei paesi più martoriati dell’Africa di oggi, la Repubblica Democratica del Congo, con l’uccisione di un sacerdote, padre Vincent Machozi, degli Agostiniani dell’Assunzione. «La sua storia – osserva Mondo e Missione – è quanto mai emblematica dell’intreccio inseparabile tra la difesa dei popoli indigeni e le questioni ambientali, proprio come descritto dalla Laudato Si’. Padre Vincent dava voce infatti alle atrocità subite nel nord del Kivu dalle popolazioni nande, in quell’intreccio perverso tra politici corrotti, milizie, interessi sullo sfruttamento di risorse naturali (il coltan, in particolare utilizzato per l’industria tecnologica e bellica) che alimenta il conflitto nella Repubblica Democratica del Congo». Infine, il giorno 22, è stata uccisa in Sudafrica Sikhosiphi Rhadebe: era in prima linea nella campagna contro la realizzazione di una miniera a cielo aperto di titanio. 

Conclude il suo racconto Mondo e Missione: «La verità è che Laudato Si’, nel mondo di oggi non è affatto una parola “sdolcinata”, ma il grido di tanti martiri. Accorgersene è il primo passo per uscire anche in questo ambito dalla “globalizzazione dell’indifferenza” che papa Francesco tante volte ha denunciato». 

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