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Cosa mi ha insegnato una ferita sul self-empowerment

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Pixabay.com/Public Domain/ © bohed

Antonia van der Meer - pubblicato il 09/06/16

Sono le piccole cose, come farsi una coda di cavallo la mattina, che ci danno forza per affrontare la giornata

All’improvviso sono caduta. La mia spalla destra ha sbattuto contro il granito, lasciandomi a terra con la spalla dislocata, l’osso rotto e danni ai nervi. Sono rimasta temporaneamente senza la possibilità di usare il braccio destro. Ci sono voluti mesi per riuscire a portarmi un bicchiere d’acqua alla bocca, infilarmi una maglietta dalla testa o guidare, ma ho scoperto che uno degli effetti collaterali più debilitanti della mia spalla ferita non era tanto il fatto che non riuscissi più a guidare, a cucinare o a svolgere varie altre attività, ma la mia incapacità di farmi una semplice coda di cavallo.

Pochi giorni dopo il mio incidente, quando ero ancora a casa tra ghiaccio e antidolorifici, ero infastidita dai capelli sul collo e sul viso. Ho dato a mio marito l’elastico nero che in genere mi arrotolo intorno al polso, per me ormai inutilizzabile. “Devi tirarmi su i capelli”, ho detto. “Mi stanno facendo impazzire”. Insegnargli come sistemarmi i capelli in una coda di cavallo è stato come insegnare a un bambino ad allacciarsi le scarpe per la prima volta. All’improvviso questo compito semplicissimo sembrava complicato e innaturale. Prendere un movimento casuale – che ho fatto migliaia di volte senza pensarci nel corso degli anni – e spezzettarlo in piccoli passi per guidare un’altra persona è stato frustrante. Mio marito ha fatto del suo meglio per seguire le istruzioni che gli davo usando la mano sinistra. Il risultato è stato un pasticcio – fuori centro, troppo stretta o troppo lasca –, con ciocche di capelli ribelli ovunque.

Poi sono andata da mio figlio. Purtroppo, visto che non sfoggia un codino alla moda, non la sapeva fare neanche lui, ma ha cercato di fare del suo meglio, anche se alla fine ha gettato la spugna. Se fossi stata più audace, avrei approcciato per strada delle madri estranee di ragazzine. Penso che qualsiasi mamma esperta sarebbe riuscita a farmi una coda anche se avessi iniziato a correre via.

Non avere la capacità fisica di tirarmi su i capelli e di arrotolarli una, due, tre volte con un elastico è stato qualcosa di più un semplice fastidio; mi ha fatto sentire stranamente impotente nei confronti della vita in generale. Cosa mi aveva provocato questo incidente? Quando il medico mi ha detto che la mia convalescenza sarebbe durata un anno o più, sapevo che avrei dovuto sentirmi incoraggiata e grata per il fatto che il recupero fosse imminente, e invece mi sono sentita debole e priva di controllo. Dovevo chiedere ad altri di tagliarmi il cibo. Avevo bisogno di aiuto per mettermi il cappotto. Non riuscivo a portare la spesa. La mia coda di cavallo incarnava tutto questo, forse perché questa acconciatura è uno dei primi modi in cui una ragazzina dice “Sono una forza indipendente con cui fare i conti!”

Ho ricordato la competenza e la fiducia che ho provato quando ho imparato a farmela alle elementari. Avevo finalmente abbandonato il taglio da folletto che mia madre preferiva scoprendo la gioia di acconciature più lunghe.

Sono passata dagli elastici con le palline colorate a quelli minimalisti che usavo alle medie, e poi alle matite infilate nei capelli al liceo. Più erano lunghi i capelli, più sembrava semplice raccoglierli in un modo che colpiva.

In seguito, il semplice fatto di indossare un elastico intorno al polso diceva che ero pronta all’azione. Mi sentivo nuda senza un elastico come braccialetto. Per me è diventato l’equivalente femminile del tirarsi su le maniche prima di mettersi al lavoro. Tirarmi su i capelli, togliermeli dalla faccia e legarli in una coda di cavallo alla “Pronti alla battaglia!” mi dava energia. A lavoro, affrontare una situazione complicata significava per prima cosa tirarmi su i capelli – anche se quello che avevo davanti era lo schermo di un computer e non un rivale di kickboxing. Avere a disposizione un elastico per farmi una coda di cavallo significava che non avevo paura di sporcarmi e di fare il lavoro. Non avere un elastico a disposizione poteva provocarmi un senso di disperazione. Imploravo alle amiche degli elastici come i fumatori accaniti implorano le sigarette.

Ora che non riuscivo a farmi la coda da sola, capivo quanto fossi stata fortunata ad avere due braccia funzionanti e una folta capigliatura. Mi ha anche fatto capire che il senso di “capacità”, di empowerment, può derivare dalle cose minime – anche da una semplice acconciatura.

Alla fine la mia spalla si è rafforzata e mi sono sforzata per riuscire a farmi la coda da sola. È stato un processo doloroso ma è culminato in un trionfo.

Quando ci sono riuscita, era – un po’ come quella che aveva fatto mio marito ­ decentrata e disordinata, ma l’avevo fatta proprio io. A qualcun altro avrebbe potuto sembrare una vittoria esigua, ma per me è stato un momento fondamentale. Ho sentito che il mio potere ritornava.

Ci sono stati molti altri passi nel percorso della mia guarigione fisica, ovviamente, ma la mia guarigione mentale è iniziata con quell’acconciatura, anche se disordinata.

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Antonia van der Meerè scrittrice e autrice di Beach House Happy: The Joy of Living by the Water.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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