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Il marchese De Sade? Fu coerente: senza Dio, solo l’esaltazione illimitata di se stessi

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Unione Cristiani Cattolici Razionali - pubblicato il 08/06/16

«Il solo Dio che esiste e che ha senso adorare è l’immagine esaltata del proprio Io. Non è questo il ritratto dell’uomo ipermoderno?». Interessante la riflessione odierna dello psicoanalista Massimo Recalcati, che sviluppiamo a nostra volta.

Senza Dio, l’uomo moderno inevitabilmente si concepisce come dio di se stesso e quindi, per coerenza, un essere onnipotente, privo di limiti. Ha proseguito Recalcati: «Egli agisce come un Dio del godimento che giudica ogni esperienza di rinuncia priva di senso. “Perché no?” è la sua sola massima morale, la quale scalza violentemente quella inutilmente “altruista” e sacrificale dell’amore per il prossimo».

Se esiste soltanto questa vita, la vera libertà è l’assenza di ogni limite, di ogni privazione. Recalcati chiama in causa giustamente il marchese De Sade. Non esiste alcun peccato, scriveva il “divin marchese” nel 1782 dalla prigione di Vincennes, soltanto«bisogni preordinati dalla natura o conseguenze ineluttabili» (D.A.F. de Sade, Dialogo fra un prete e un moribondo, Mondadori 1976, p.11). E oggi, il filosofo ateo Joel Marks, ripete: «Non ci sono “peccati” letterali nel mondo perché non c’è Dio letteralmente e, quindi, tutta la sovrastruttura religiosa che dovrebbe includere categorie come peccato e il male. Niente è letteralmente giusto o sbagliato perché non c’è nessuna moralità».

Per De Sade, autore seriale di stupri e violenze (il “sadismo” è chiamato così in suo onore), non ha senso porre confini alla ricerca del piacere, perché esso è il principale impulso che proviene dalla nostra natura animale predeterminata. Le passioni e i piaceri sfrenati, scrive, «altro non sono che i mezzi di cui la natura si serve per condurre l’uomo a realizzare i disegni che essa stessa ha su di lui» (D.A.F. de Sade, La filosofia nel boudoir, Mondadori 1976, p.25). Il filosofo cattolico Roberto Timossi, giustamente commenta: «Se non c’è Dio, non ci sono sostanze spirituali, c’è solo la materia sensibile, e pertanto il piacere corporale è l’unico vero scopo dell’umana esistenza. Per De Sade, non si può essere atei e non essere immorali» (R.G. Timossi, Nel segno del nulla, Lindau 2016, p.367). L’edonismo come unico vero valore, perché senza Dio ogni limitazione al proprio soddisfacimento rappresenta una mancata autorealizzazione dell’uomo-dio.

Ci ha sempre incuriosito la posizione filosofica di De Sade perché la riteniamo, forse, la più coerente per chi vuole vivere prescindendo totalmente da Dio. Nessun bene, nessun male, nessuna inspiegabile e contraddittoria morale laica. Solamente l’Io che cerca continua soddisfazione ai suoi impulsi, ai suoi istinti e vive in funzione di essi. Ogni gesto altruistico (che guarda oltre sé, dunque), infatti, presuppone un valore nell’altro che non può ragionevolmente sussistere in una visione dell’uomo come frutto imprevisto del cieco caso della selezione naturale. Tanto che il marchese arriverà a scrivere: «Il destino di una donna è di essere come una cagna o una lupa: deve appartenere a tutti quelli che la vogliono» (D.A.F. de Sade, La filosofia nel boudoir, Mondadori 1976). L’essere umano ridotto all’animale, esattamente in linea con i tentativi del neodarwinismo riduzionista.

De Sade, seppur venga oggi celebrato a Parigi con tanto di mostre culturali, fu chiaramente un pazzo criminale. Ma ciò che è interessante è che ilprincipio teorico della sua posizione esistenziale è espressione di un ateismo radicale e, finalmente, coerente: l’unico senso di questa vita priva di senso, può soltanto essere la ricerca sfrenata e illimitata del proprio insoddisfabile piacere. «Cosa sarebbe la vita del prossimo di fronte alla Legge assoluta del godimento?», si domanda opportunamente Recalcati. «Nulla, il solo Dio che esiste e che ha senso adorare è l’immagine esaltata del proprio Io. Non esiste nessun prossimo se non se stesso».

«Quando l’ateismo vorrà dei martiri, lo dica: il mio sangue è pronto!», scrisse De Sade in Nouvelle Justine (1797). Eppure, anche il “divin marchese”, dopo aver pienamente realizzato tutte le sue perversioni, arriverà a riconoscere qual è davvero il fondamento della sua esistenza:«quello del nulla», scriverà nel Dialogo fra un prete e un moribondo (Mondadori 1976, p.20). Il Nulla come unica alternativa a Dio, nessuna via di mezzo.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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