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Quella confessione quando avevo 13 anni che ha cambiato tutto

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Ravipat/Shutterstock

Meg Hunter-Kilmer - pubblicato il 06/06/16

È il motivo per il quale ora ho speranza, gioia e pace

Hai mutato il mio lamento in danza,
la mia veste di sacco in abito di gioia,
perché io possa cantare senza posa.
Signore, mio Dio, ti loderò per sempre.
Salmo 30, 12-13

Egli, lasciando tutto, si alzò e lo seguì.
Luca 5, 28

Il problema quando si deve offrire una testimonianza è che richiede di riassumere in una ventina di minuti tutta una vita di lavoro di Dio (e di propria resistenza ad esso). In questo modo, i dettagli rimangono indistinti e gli estremi vengono esagerati per rendere la narrazione più avvincente.

Da questo punto di vista sono colpevole come chiunque altro.

Per me tutto è cambiato nel 1997, durante quel ritiro fatidico in preparazione alla Cresima. Non so cosa sarebbe stato di me se non ci fosse stato, ma già pensare a quello che avrebbe potuto accadere basta a gettare un’ombra su quel periodo della mia vita. E posso far risalire in tutta onestà ogni cosa buona che mi è successa nella vita a quella confessione di quando avevo 13 anni. È questo il motivo per il quale oggi ho speranza, gioia e pace. Tutto perché ho incontrato Gesù.

Non è come se ci fosse qualche ovvia cesura tra la mia vita prima di Gesù e quella successiva, come se prima stessi nuotando in una piscina di angoscia e ora la mia vita sia un lungo concerto degli Hillsong United senza ricadute nella miseria. Dà l’impressione che sia così, ma la realtà è sempre più complessa.

Ciò che è assolutamente vero è questo: prima di conoscere Gesù sentivo che la vita era vuota e senza senso; ora trovo gioia e speranza nell’essere sua. Ma ci sono voluti anni di resa per arrivare a questo punto, con molte regressioni durante il percorso. E ci sono ancora oggi giorni difficili. Perché Gesù non è una pillola magica che si può prendere senza effetti collaterali. È una persona, e una persona che richiede tutto.

Gli apostoli lo hanno capito. Quando Gesù lo ha chiamato, Pietro non ha chiesto se poteva tenere una quota della sua compagnia di pesca. Giacomo e Giovanni non hanno neanche riportato a casa il padre, lasciandolo seduto nella barca. Una volta incontrato Gesù, hanno lasciato tutto.

Ma in realtà cosa si sono lasciati alle spalle? Reti ammuffite e una suocera? Che liberazione!

Per Levi la cosa è stata un po’ più complicata. Era un uomo ricco e aveva una vita confortevole. Ma anche lui ha lasciato tutto. E non ci sono prove del fatto che avesse visto un miracolo. Gli apostoli pescatori erano stati testimoni di almeno due miracoli, ma Levi? Aveva solo sentito una voce potente dirgli “Seguimi”, e ha lasciato tutto e ha seguito.

Immagino che quel giorno il suo lamento si sia trasformato in danza. Perché in realtà è la sequela che fa la differenza. Non è semplicemente il fatto di conoscere Gesù che porta gioia, o anche il conoscerlo personalmente. È quell’impegno, quella disponibilità a lasciarsi alle spalle tutto, che libera dal dolore di questo mondo per vivere nella libertà di quello che verrà.

Se devo essere onesta, è questa la differenza nella mia vita. Non è dire semplicemente “Ho incontrato Gesù e ora sono felice!” Il fatto è che cercavo disperatamente un senso e un obiettivo in un mondo finito e profondamente insoddisfacente. A volte lo faccio ancora. Ma più faccio sì che le cose di questo mondo non siano il centro della mia vita, più cerco di definirmi in base al suo amore anziché alla mia bellezza, al mio denaro, ai miei rapporti o al mio successo, più la gioia e la pace fanno rimpicciolire la miseria.

Nei momenti di sofferenza, o nei lunghi periodi di aridità nella preghiera, è più difficile, ma penso che la mia infelicità derivi dal fatto di aggrapparmi a questo mondo anziché lasciarmi tutto alle spalle per seguirlo. E allora mi rialzo e lo seguo, e trovo di nuovo la pace camminando al suo fianco.

Forse non avete visto miracoli come Pietro e Giovanni. Forse avete solo sentito un “Seguimi” pronunciato con gentilezza. A Levi è bastato. A voi cosa serve?

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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