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“Gesù non è un mago, prende i nostri peccati e ci restituisce vivi”

Pope Francis General Audience May 25, 2016

© Antoine Mekary / ALETEIA

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Vatican Insider - pubblicato il 05/06/16

«Dio ci vuole perdonare, Gesù non è un mago, è la grazia di sperare contro ogni speranza e la tenerezza di Dio incarnata». E in Cristo «opera l’immensa compassione del Padre», spiega Francesco commentando la Lettura evangelica sulla resurrezione dell’unico figlio, morto ancora adolescente, della vedova di Nain. «Gesù chiede per sé la nostra morte, per liberarcene e ridarci la vita. Infatti quel ragazzo si risvegliò come da un sonno profondo e ricominciò a parlare. E Gesù lo restituì a sua madre».

Dunque «l’evento centrale della fede è la vittoria di Dio sul dolore e sulla morte», afferma Francesco esortando i fedeli a «rimanere intimamente uniti alla passione del nostro Signore Gesù, perché si mostri in noi la potenza della sua risurrezione».

Il Papa è entrato in processione in piazza San Pietro per celebrare la Messa e presiedere il rito della canonizzazione di due nuovi santi: il polacco Stanislao di Gesù Maria Papczynski (1631 – 1701), fondatore della Congregazione dei Chierici mariani dell’Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria, e la svedese Maria Elisabetta Hesselblad (1870 – 1957), nata da famiglia luterana, fondatrice dell’Ordine del Santissimo Salvatore di Santa Brigida, le cosiddette suore brigidine. «Con i peccatori, ad uno ad uno, Gesù non cessa di far risplendere la vittoria della grazia che dà vita- evidenzia Jorge Mario Bergoglio- Gesù dice alla Madre Chiesa: “Dammi i tuoi figli”, che siamo tutti noi. Egli prende su di sé i nostri peccati, li toglie e ci restituisce vivi alla Chiesa stessa. E ciò avviene in modo speciale durante questo Anno Santo della Misericordia».

Si tratta, puntualizza il Papa, di «non scappare dalla Croce, ma di rimanere lì, come fece la Vergine Madre, che soffrendo insieme a Gesù ricevette la grazia di sperare contro ogni speranza».

Il Papa ripercorre nell’omelia le esperienze di fede e l’apostolato di Stanislao e Maria Elisabetta, fondatori di altrettanti ordini religiosi: «Sono rimasti intimamente uniti alla passione di Gesù e in loro si è manifestata la potenza della sua risurrezione». Nella passione di Cristo, sottolinea il Pontefice, «c’è la risposta di Dio al grido angosciato, e a volte indignato, che l’esperienza del dolore e della morte suscita in noi».

Quindi «la Chiesa oggi ci mostra due suoi figli che sono testimoni esemplari di questo mistero di risurrezione». Tra chi ha concelebrato con il Papa all’altare anche il cardinale Stanislao Dziwisz, arcivescovo di Cracovia ed ex segretario particolare di san Giovanni Paolo II. Hanno partecipato al rito quaranta porporati, trenta vescovi, quattrocento sacerdoti e 35mila fedeli.

«I Santi non sono superuomini, né sono nati perfetti. Quando hanno conosciuto l’amore di Dio, lo hanno seguito, al servizio degli altri», ha ricordato Francesco in un tweet. Stanislao di Gesù Maria, al secolo Giovanni Papczynski, nacque il 18 maggio 1631 a Podegrodzie, nel sud della Polonia. Negli anni della scuola conobbe i Padri Scolopi e a 23 anni entrò nel loro ordine. A 30 divenne Sacerdote. Nove anni più tardi però sentì l’ispirazione di fondare un nuovo istituto di chierici mariani sotto il titolo della Immacolata Concezione della Beata Vergine Maria. Padre Stanislao morì il 17 settembre 1701 nel convento di Gora Kalwaria, lasciando molti scritti di spiritualità. Benedetto XVI lo proclamò beato nel 2007.

Maria Elisabetta Hesselblad, svedese, nacque il 4 giugno 1870 da famiglia luterana. A 18 anni emigrò negli Stati Uniti. A New York si dedicò come infermiera all’assistenza dei malati. In seguito approfondì la dottrina cattolica e ricevette il Battesimo. L’anno successivo, era il 1904, giunse a Roma e, visitando la casa dove santa Brigida di Svezia aveva vissuto, comprese di doverne proseguire l’opera costituendo l’Ordine del Santissimo Salvatore di Santa Brigida. Il suo apostolato trovò ispirazione dalla preghiera di Gesù: Ut omes unum sint cioè «Che tutti siano uno». Negli anni della seconda guerra mondiale, si adoperò per dare rifugio agli ebrei perseguitati e per assistere i più poveri. Morì a Roma il 24 aprile 1957. Fu proclamata beata da san Giovanni Paolo II nel 2000. Due modelli di santità, due forme di servizio alla Chiesa e alla società: l’evangelizzatore polacco, impegnato nel presentare l’Immacolata Concezione e nella preghiera per chi muore improvvisamente e la missionaria svedese che ripristinò un ordine religioso unendo alla preghiera e alla contemplazione, l’aiuto, durante la seconda guerra mondiale, per tanti ebrei perseguitati. E anche attraverso questi due esempi di santità «Gesù non cessa di far risplendere la vittoria della grazia che dà vita».

Poi all’Angelus, il Pontefice ha salutato «tutti voi, che avete partecipato a questa celebrazione. In modo speciale ringrazio le delegazioni ufficiali venute per le canonizzazioni: quella della Polonia, guidata dallo stesso presidente della Repubblica, e quella della Svezia. Il Signore, per intercessione dei due nuovi santi, benedica le vostre nazioni». Al termine della Messa officiata sul sagrato della basilica vaticana, Francesco ha ricordato, quindi, i due paesi d’origine dei nuovi santi, due nazioni che il Papa visiterà entrambi nei prossimi mesi: la Polonia a fine luglio per la Giornata mondiale della Gioventù in programma a Cracovia, la Svezia a fine ottobre per la celebrazione con la Chiesa luterana a Lund in occasione dei cinquecento anni della Riforma. Poi si è rivolto ai «numerosi gruppi di pellegrini dall’Italia e da diversi Paesi, in particolare i fedeli provenienti dall’Estonia, come pure quelli della diocesi di Bologna e le bande musicali». E ha aggiunto: «Tutti insieme ci rivolgiamo ora in preghiera alla Vergine Maria, perché ci guidi sempre nel cammino della santità e ci sostenga nel costruire giorno per giorno la giustizia e la pace».

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