I vescovi che sono stati negligenti riguardo ad abusi sessuali compiuti su minori saranno rimossi dal loro incarico. E’ quanto stabilisce Papa Francesco con il Motu proprio «Come una madre amorevole», firmato oggi, che porta a conclusione un rafforzamento normativo anti-insabbiamento prospettato nei mesi scorsi. Il Pontefice argentino stabilisce che tra le «cause gravi» che il Diritto Canonico già prevede per la rimozione dall’ufficio ecclesiastico va annoverata anche la negligenza rispetto ai casi di abusi sessuali. Il testo di cinque articoli stabilisce che «in tutti i casi nei quali appaiano seri indizi» la competente congregazione della Curia (non la congregazione per la Dottrina della fede, responsabile invece per gli abusi sessuali stessi) inizia una indagine che, con la parola finale del Papa, può concludersi con la rimozione del vescovo.
«Chiedo perdono per i peccati di omissione da parte dei capi della Chiesa che non hanno risposto in maniera adeguata alle denunce di abuso presentate da familiari e da coloro che sono stati vittime di abuso», aveva detto Francesco a luglio del 2014 ricevendo nella sua residenza, Casa Santa Marta, un gruppo di vittime di abusi sessuali da parte di sacerdoti.
«Come una madre amorevole la Chiesa ama tutti i suoi figli, ma cura e protegge con un affetto particolarissimo quelli più piccoli e indifesi», esordisce il Motu proprio pubblicato oggi dal Vaticano: «Si tratta di un compito che Cristo stesso affida a tutta la Comunità cristiana nel suo insieme. Consapevole di ciò, la Chiesa dedica una cura vigilante alla protezione dei bambini e degli adulti vulnerabili. Tale compito di protezione e di cura spetta alla Chiesa tutta, ma è specialmente attraverso i suoi Pastori che esso deve essere esercitato». Pertanto «i Vescovi diocesani, gli Eparchi e coloro che hanno la responsabilità di una Chiesa particolare», devono impiegare «una particolare diligenza nel proteggere coloro che sono i più deboli tra le persone loro affidate».
Il Diritto Canonico, ricorda il provvedimento papale, già prevede la possibilità della rimozione dall’ufficio ecclesiastico «per cause gravi»: ciò riguarda anche i Vescovi diocesani, gli Eparchi e coloro che ad essi sono equiparati dal diritto (cfr can. 193 comma 1 CIC; can. 975 comma 1 CCEO). «Con la presente Lettera intendo precisare che tra le dette “cause gravi” è compresa la negligenza dei Vescovi nell’esercizio del loro ufficio, in particolare relativamente ai casi di abusi sessuali compiuti su minori ed adulti vulnerabili», previsti dalla normativa promulgata da Giovanni Paolo II e rafforzata da Benedetto XVI. Il Motu proprio stabilisce dunque la procedura da seguire in applicazione di un canone già presente nei codici, precisando (articolo 1) che il vescovo «può essere legittimamente rimosso dal suo incarico, se abbia, per negligenza, posto od omesso atti che abbiano provocato un danno grave ad altri, sia che si tratti di persone fisiche, sia che si tratti di una comunità nel suo insieme» e puntualizzando che «nel caso si tratti di abusi su minori o su adulti vulnerabili è sufficiente che la mancanza di diligenza sia grave», mentre negli altri casi si richiede mancanza di diligenza «molto grave». In «tutti i casi nei quali appaiano seri indizi di quanto previsto» (articolo 2), la competente Congregazione della Curia romana «può iniziare un’indagine in merito».
Sono quattro le congregazioni competenti per questa eventuale istruttoria: Vescovi, Evangelizzazione dei popoli, Chiese Orientali e Istituti Vita Consacrata e Soc. Vita Apostolica. «Non è chiamata in causa la Congregazione per la Dottrina della Fede, perché non si tratta di delitti di abuso, ma di negligenza nell’ufficio», ha spiegato il portavoce vaticano, padre Federico Lombardi. Al Vescovo sarà data la possibilità di difendersi, cosa che egli potrà fare con i mezzi previsti dal diritto e la Congregazione può decidere un’indagine supplementare. La congregazione (articolo 3) potrà discutere il caso con altri vescovi o eparchi della conferenza episcopale o del sinodo dei vescovi di cui il vescovo sotto giudizio fa parte e, infine, «assume le sue determinazioni riunita in Sessione ordinaria». La congregazione (articolo 4) può decidere se «dare, nel più breve tempo possibile, il decreto di rimozione» o «esortare fraternamente il Vescovo a presentare la sua rinuncia in un termine di 15 giorni». Infine, poiché si tratta di «decisioni importanti sui Vescovi», come spiega padre Lombardi, il Motu proprio, al quinto e ultimo paragrafo, precisa che l’approvazione specifica dipende dal Santo Padre. Che – questa è un’altra novità – «prima di assumere una decisione definitiva, si farà assistere da un apposito Collegio di giuristi, all’uopo designati». Si può prevedere, ha chiosato Lombardi, che tale collegio sia costituito da cardinali e vescovi.
Il portavoce vaticano ha notato, infine, che «trattandosi di una normativa su procedure non si pone questione di retroattività o meno, perché la legge sulla possibilità di rimozione “per cause gravi” esisteva già . D’ora in poi la procedura per l’applicazione del Canone 193§1 è quella stabilita». Anche, dunque, per vicende anteriori all’entrata in vigore della nuova normativa.
La decisione odierna non giunge del tutto nuova. A giugno dell’anno scorso, il Consiglio dei nove cardinali che coadiuvano il Papa nella riforma della Curia romana e nel governo della Chiesa mondiale, aveva riferito la stessa sala stampa della Santa Sede, avevano ascoltato «la relazione del cardinale Sean Patrick O’Malley sulla proposta da avanzare al Santo Padre riguardo alle denunce di abuso d’ufficio episcopale, una proposta preparata dalla pontificia commissione per la Tutela dei minori» presieduta dallo stesso arcivescovo di Boston coerentemente con quanto prospettato nei mesi precedenti dallo stesso organismo in merito alla «accountability» dei vescovi, ossia alla loro assunzione di responsabilità, in questi casi. Cinque, all’epoca, erano state le proposte concrete che avevano concluso l’intervento del porporato cappuccino: «Primo, che la competenza a ricevere ed esaminare le denunce di abuso d’ufficio episcopale appartenga alle Congregazioni per i Vescovi, per l’Evangelizzazione dei Popoli, o per le Chiese Orientali e tutte le denunce debbano essere presentate alla Congregazione appropriata. Secondo, che il Santo Padre dia un mandato alla Congregazione per la Dottrina della Fede per giudicare i Vescovi in relazione ai delitti di abuso d’ufficio. Terzo, che il Santo Padre autorizzi l’istituzione di una nuova Sezione Giudiziaria all’interno della Congregazione per la Dottrina della Fede e la nomina di personale stabile che presterà servizio nel Tribunale Apostolico. Quarto, che il Santo Padre nomini un Segretario per assistere il Prefetto riguardo al Tribunale. Quinto, che il Santo Padre stabilisca un periodo di cinque anni in vista di ulteriori sviluppi delle presenti proposte e per il completamento di una valutazione formale della loro efficacia». Un anno dopo quelle iniziali proposte, oggi il Motu proprio con il quale Papa Francesco stabilisce la possibilità di rimuovere i vescovi negligenti nei casi di pedofilia.