Se i vostri amici vi criticano perché vi confessate con un sacerdote, potrebbero essere solo impauriti… o curiosiUna lettrice mi ha scritto dicendo che un suo amico evangelico continuava a stuzzicarla sulla confessione. Questo amico, che dev’essere stato decisamente noioso, voleva sapere come potesse raccontare a un uomo i suoi peccati e perché pensava che questi potesse fare qualcosa al riguardo.
Ho vissuto questa stessa esperienza, e probabilmente anche molti di voi. Alcuni dei nostri fratelli evangelici sono stranamente infastiditi dall’idea della confessione.
Le persone che conoscete, a volte anche parenti stretti o ottimi amici, sembrano particolarmente offese da qualcosa che in quanto cattolici fate in modo naturale. È un po’ strano, come se dovessero mettere continuamente in discussione il modo in cui allevate i vostri figli quando questi ultimi sembrano crescere bene.
Molto spesso nulla di ciò che dite sembra fare la differenza. La spiegazione più gentile, più chiara e più inoppugnabile entra da un orecchio ed esce dall’altro. Alla fine sentirete le stesse considerazioni, forse anche quasi con le stesse parole, la stessa irritazione, lo stesso stupore o la stessa insistenza.
La confessione è uno degli argomenti principali della loro irritazione, ma ho avuto amici che si sentivano ugualmente offesi dal fatto che fossi convinto della presenza di Nostro Signore negli elementi nella Messa e dalla mia fiducia nell’autorità del Magistero della Chiesa, e soprattutto dalla mia convinzione che il papa non sia un uomo come chiunque altro.
Ma perché? Non è affar loro se mi reco in una piccola stanza il sabato mattina e racconto a un uomo autorizzato a questo tipo di azione cosa ho fatto di male e ottengo la sua risposta. Se andassi ogni settimana da un consulente e gli raccontassi le stesse cose gli altri non direbbero niente, e allora perché si preoccupano tanto del fatto che vada da un sacerdote nella speranza di rimediare alle pecche del mio rapporto con Dio e di diventare un uomo migliore?
Sono tentato di rispondere in modo sgarbato, perché loro stessi sono sgarbati, ma rispondere a tono non ci porta da nessuna parte. Alcuni considereranno la nostra reazione una difesa e penseranno di averci messi nel sacco.
Chiedere al nostro interlocutore “Perché te ne importa?” con preoccupazione e non con irritazione è la risposta giusta da dare a qualcuno che continua a importunarci sul modo in cui pratichiamo la nostra fede. È un modo per esprimere la nostra cura nei suoi confronti e allo stesso tempo può essere il modo migliore per farlo smettere di infastidirci.
Può avere un motivo per cui la questione lo interessa. Può non essere un buon motivo, e può essere una razionalizzazione, ma ora abbiamo la possibilità di rispondergli. La risposta dovrebbe farlo smettere di importunarci e potrebbe anche permetterci di parlare con lui in modo fruttuoso.
O potrebbe avere un motivo che non risconosce, e gli faremo un favore facendolo riflettere sulla ragione per cui reagisce in quel modo alla nostra fede. A volte – l’ho sperimentato personalmente – l’idea di dire i propri peccati ad alta voce e con una persona che ascolta può spaventare la gente, che non vuole sentirli dire esplicitamente, neanche da se stessa. E questo è del tutto comprensibile.
Ma non è un motivo per infastidirci se ci accostiamo alla confessione.
Se la persona reagisce in quel modo per paura di ciò che stiamo facendo, possiamo iniziare a mostrarle che nella confessione (o in qualsiasi altra pratica cattolica alla quale obietti) il Padre amorevole offre ai suoi figli ciò di cui hanno realmente bisogno e che vogliono davvero. Possiamo aiutarla a vedere che queste cose esprimono e rendono potentemente presente il Vangelo in cui crede. E potremmo trasformare un “molestatore” in un amico, o un amico in un amico migliore.
[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]