Il pastore non ha un «cuore ballerino», «che si lascia attrarre dalla suggestione del momento o che va di qua e di là in cerca di consensi e piccole soddisfazioni», «non si aspetta i saluti e i complimenti degli altri, ma per primo offre la mano, rigettando i pettegolezzi, i giudizi e i veleni», è, appunto, un pastore, «non un ispettore del gregge, e si dedica alla missione non al cinquanta o al sessanta per cento, ma con tutto sé stesso», senza farsi «pagare gli straordinari». Sono alcune delle caratteristiche indicate dal Papa che, dopo tre meditazioni di ieri in altrettante basiliche papali, ha concluso oggi il Giubileo dei sacerdoti con una messa sul sagrato di San Pietro.
«Celebrando il Giubileo dei Sacerdoti nella Solennità del Sacro Cuore di Gesù – ha esordito il Papa – siamo chiamati a puntare al cuore, ovvero all’interiorità, alle radici più robuste della vita, al nucleo degli affetti, in una parola, al centro della persona». Il cuore del Buon Pastore, ha detto il Papa, «è la misericordia stessa», «ci dice che il suo amore non ha confini, non si stanca e non si arrende mai», «è proteso verso di noi, “polarizzato” specialmente verso chi è più distante, lì punta ostinatamente l’ago della sua bussola, lì rivela una debolezza d’amore particolare, perché tutti desidera raggiungere e nessuno perdere». Davanti al Cuore di Gesù, di conseguenza, «nasce l’interrogativo fondamentale della nostra vita sacerdotale: dove è orientato il mio cuore? Domanda che noi sacerdoti dobbiamo farci tante volte: ogni giorno, ogni settimana».
I «tesori insostituibili del Cuore di Gesù», ha detto il Papa, «sono due, il Padre e noi» e «anche il cuore del pastore di Cristo conosce solo due direzioni: il Signore e la gente». Il suo «non è più “un cuore ballerino”, che si lascia attrarre dalla suggestione del momento o che va di qua e di là in cerca di consensi e piccole soddisfazioni, è peccatore. È invece un cuore saldo nel Signore, avvinto dallo Spirito Santo, aperto e disponibile ai fratelli. E lì risolve i suoi peccati». Il pastore, innanzitutto, va in cerca della pecora smarrita, «senza farsi spaventare dai rischi; senza remore si avventura fuori dei luoghi del pascolo e fuori degli orari di lavoro. Non si fa pagare gli straordinari». Il pastora ha «un cuore che cerca», «un cuore che non privatizza i tempi e gli spazi. Guai ai pastori che privatizzano il loro ministero! Non è geloso della sua legittima tranquillità: legittima, dico: neppure di quella; e mai pretende di non essere disturbato. Il pastore secondo il cuore di Dio non difende le proprie comodità, non è preoccupato di tutelare il proprio buon nome: ma sarà calunniato, come Gesù! Senza temere le critiche, è disposto a rischiare!, rischiare, pur di imitare il suo Signore. Beati sarete quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e così via…». Il pastore «ha il cuore libero per lasciare le sue cose, non vive rendicontando quello che ha e le ore di servizio: non è un ragioniere dello spirito, ma un buon Samaritano in cerca di chi ha bisogno. È un pastore, non un ispettore del gregge, e si dedica alla missione non al cinquanta o al sessanta per cento, ma con tutto sé stesso. Andando in cerca trova, e trova perché rischia. Se il pastore non rischia, non trova. Non solo tiene aperte le porte, ma esce in cerca di chi per la porta non vuole più entrare. E come ogni buon cristiano, e come esempio per ogni cristiano, è sempre in uscita da sé. L’epicentro del suo cuore si trova fuori di lui: è un decentrato da se stesso, soltanto centrato in Gesù».
Il sacerdote di Cristo, ha detto ancora il Papa, «è unto per il popolo, non per scegliere i propri progetti, ma per essere vicino alla gente concreta che Dio, per mezzo della Chiesa, gli ha affidato. Nessuno è escluso dal suo cuore, dalla sua preghiera e dal suo sorriso. Con sguardo amorevole e cuore di padre accoglie, include e, quando deve correggere, è sempre per avvicinare. Nessuno disprezza, ma per tutti è pronto a sporcarsi le mani. Il Buon Pastore – ha sottolineato Francesco – non conosce i guanti. Ministro della comunione che celebra e che vive, non si aspetta i saluti e i complimenti degli altri, ma per primo offre la mano, rigettando i pettegolezzi, i giudizi e i veleni. Con pazienza ascolta i problemi e accompagna i passi delle persone, elargendo il perdono divino con generosa compassione. Non sgrida chi lascia o smarrisce la strada, ma è sempre pronto a reinserire e a comporre le liti. È un uomo che sa includere». Il pastore, infine, sa gioire: «Gratuitamente dona. Nella preghiera scopre la consolazione di Dio e sperimenta che nulla è più forte del suo amore. Per questo è sereno interiormente, ed è felice di essere un canale di misericordia, di avvicinare l’uomo al Cuore di Dio. La tristezza per lui non è normale, ma solo passeggera; la durezza gli è estranea, perché è pastore secondo il Cuore mite di Dio». Il Giubileo dei Sacerdoti, iniziato mercoledì, si conclude oggi.