Utilizzare come ricettacolo della misericordia il nostro stesso peccato. E’ l’invito che Papa Francesco ha rivolto agli oltre seimila preti che prendono parte al Giubileo dei sacerdoti, sottolineando che «nessuno è migliore» per aiutare a curare il male altrui «di colui che mantiene viva l’esperienza di essere stato oggetto di misericordia circa il medesimo male» e che «solo una Chiesa capace di proteggere il volto degli uomini che bussano alla sua porta è capace di parlare loro di Dio». Con un’ immagine colorita il Pontefice ha detto che la misericordia «non ci fa il photoshop, ma con i medesimi fili delle nostre miserie e dei nostri peccati, intessuti con amore di Padre, ci tesse in modo tale che la nostra anima si rinnova recuperando la sua vera immagine, quella di Gesù», sottolineando che un prete che nei momenti oscuri sa piangere di fronte alla Madonna «è un buon prete perché è un buon figlio e sarà un buon padre».
Il Papa svolge oggi attorno al tema giubilare della misericordia tre meditazioni in tre basiliche papali, a San Giovanni in Laterano nell’ora terza (le dieci di mattina), a Santa Maria maggiore nell’ora sesta (mezzogiorno) e infine, nel pomeriggio, a San Paolo fuori le Mura per l’ora nona (le 16). L’evento è trasmesso in diretta da Tv2000. In un tweet mattutino, Francesco ha invitato a seguire le meditazioni sul sito del Giubileo www.im.va. Le meditazioni papali sono l’evento culminante di questo Giubileo dei sacerdoti che si svolge a Roma da ieri a domani.
In una sorta di meditazione alla meditazione mattutina a San Giovanni in Laterano, intitolata «dalla distanza alla festa», il Papa ha invitato a «utilizzare come ricettacolo della misericordia il nostro stesso peccato», sottolineando che «niente unisce maggiormente con Dio che un atto di misericordia» e che la misericordia ha un aspetto più femminile, «il viscerale amore materno», e un aspetto più maschile, «la fedeltà forte del Padre che sempre sostiene, perdona e torna a rimettere in cammino i suoi figli». E’ «alla portata di tutti agire con misericordia», ha detto Francesco, «provare compassione per chi soffre, commuoversi per chi ha bisogno, indignarsi, il rivoltarsi delle viscere di fronte ad una patente ingiustizia e porsi immediatamente a fare qualcosa di concreto, con rispetto e tenerezza, per porre rimedio alla situazione». Nel parlare di misericordia, ha detto Jorge Mario Bergoglio, «a me piace usare la forma verbale: “Bisogna dare misericordia, misericordiar in spagnolo, per ricevere misericordia, per “essere misericordiati”. “Ma, Padre, questo non è italiano!” – “Eh, si! Ma è la forma che io trovo per andare dentro», ha detto il Papa. Nella preghiera, «il nostro dialogo con il Signore deve concretizzarsi su quale mio peccato richieda che si posi in me la Tua misericordia, Signore, dove sento più vergogna e più desidero riparare», perché «la misericordia la si contempla nell’azione». Nella preghiera, dunque, Francesco ha invitato i sacerdoti a chiedere «di diventare sacerdoti sempre più capaci di ricevere e dare misericordia», auspicando anche una «conversione istituzionale e pastorale» in modo che la Chiesa utilizzi le proprie strutture «per meglio ricevere la misericordia di Dio e per essere più misericordiosi con gli altri» ed evitare che esse si trasformino «in qualcosa di molto diverso e controproducente».
Entrando nel merito della prima meditazione, il Papa ha sottolineato che «se la misericordia del Vangelo è un eccesso di Dio, un inaudito straripamento, la prima cosa da fare è guardare dove il mondo di oggi, e ciascuna persona, ha più bisogno di un eccesso di amore così». Da qui, illustrando la parabola del padre misericordioso, sovente soprannominata la parabola del figliol prodigo, il Papa ha sottolineato che è necessario «mantenere il cuore tra due estremi», la dignità e la vergogna: «In questo posto dove ci sono dignità e vergogna possiamo percepire come batte il cuore di nostro Padre» ed è possibile «sentire come quel battito del cuore del Padre si unisca con il battito del nostro». «Sporchi, impuri, meschini, vanitosi – è peccato di preti, la vanità – egoisti e, nello stesso tempo, con i piedi lavati, chiamati ed eletti, intenti a distribuire i pani moltiplicati, benedetti dalla nostra gente, amati e curati. Solo la misericordia rende sopportabile quella posizione. Senza di essa o ci crediamo giusti come i farisei o ci allontaniamo come quelli che non si sentono degni. In entrambi i casi ci si indurisce il cuore. Lì devo essere: nella vergogna con la dignità. Tutte e due insieme!».
Il Papa, che ha invitato i sacerdoti a rileggere l’enciclica di Pio XII sul sacro cuore di Gesù http://www.lastampa.it/2016/06/02/vaticaninsider/ita/vaticano/il-papa-ai-preti-leggete-lenciclica-di-pio-xii-sul-sacro-cuore-di-ges-40zppRNZ8RKYObF4WmK1RL/pagina.html ha stigmatizzato il rischio «clericale» di trattare i peccatori come un «caso»: non bisogna «ridurre la concretezza dell’amore di Dio, di quello che ci dà Dio, della persona, a un caso», ha detto: «Così mi distacco e non mi tocca. E così non mi sporco le mani; e così faccio una pastorale pulita, elegante…», Invece, la misericordia coinvolge nella vita dell’altro e gli conferisce «dignità». Francesco si è soffermato infine su alcuni caratteri di questa misericordia. La sua radicalità, che nasce dalla consapevolezza profonda del proprio peccato: «Uno non va in farmacia e dice: “Per misericordia, mi dia un’aspirina”. Per misericordia chiede che gli diano della morfina per una persona in preda ai dolori atroci di una malattia terminale. O tutto o niente! Si va in fondo o non si capisce nulla!». E la sua eccessività: «Sempre la misericordia è esagerata, è eccessiva! Le persone più semplici, i peccatori, gli ammalati, gli indemoniati…, sono immediatamente innalzati dal Signore, che li fa passare dall’esclusione alla piena inclusione, dalla distanza alla festa».
Nella seconda meditazione, svolta a mezzogiorno nella basilica di Santa Maria Maggiore, il Papa ha approfondito il concetto di misericordia come «ricettacolo»: «Il ricettacolo della Misericordia è il nostro peccato». Spesso, ha detto Francesco, «accade che il nostro peccato è come un colabrodo, come una brocca bucata dalla quale scorre via la grazia in poco tempo». E invece, come ha insegnato il Signore a Pietro, bisogna «perdonare settanta volte sette», perché «Dio non è pelagiano», non solo «non si stanca di perdonarci, ma rinnova anche l’otre nel quale riceviamo il suo perdono. Utilizza un otre nuovo per il vino nuovo della sua misericordia, perché non sia come un vestito rattoppato o un otre vecchio».
«Nell’esercizio di questa misericordia che ripara il male altrui, nessuno è migliore, per aiutare a curarlo, di colui che mantiene viva l’esperienza di essere stato oggetto di misericordia circa il medesimo male», ha detto il Papa: «Tra coloro che lavorano per combattere le dipendenze, coloro che si sono riscattati sono di solito quelli che meglio comprendono, aiutano e sanno chiedere agli altri. E il miglior confessore è di solito quello che si confessa meglio». Per esemplificare il concetto, il Papa ha passato in rassegna l’esempio di una serie di santi, perché «quasi tutti i grandi santi sono stati grandi peccatori o, come santa Teresina, erano consapevoli che era pura grazia preveniente il fatto di non esserlo stati». Paolo «è il più comprensivo e misericordioso verso quelli che erano come lui era stato».
Pietro «è stato sanato nella ferita più profonda che si può avere, quella di rinnegare l’amico», al punto che «lo hanno fatto Papa». Il segno di Pietro crocifisso a testa in giù, ha sottolineato Bergoglio, «è forse il più eloquente di questo ricettacolo di una testa dura che, per poter ricevere misericordia, si mette in basso anche mentre offre la suprema testimonianza di amore al suo Signore. Pietro non vuole concludere la sua vita dicendo: “Ho imparato la lezione”, ma dicendo: “Poiché la mia testa non imparerà mai, la metto in basso». Più in alto di tutto, i piedi lavati dal Signore».
Giovanni «sembra uno di quei nonnini buoni che parlano solo di amore, lui che era stato “il figlio del tuono”».
Agostino «troverà quel modo creativo di riempire d’amore il tempo perduto, scrivendo le sue Confessioni». Per Francesco, «forse il ricettacolo definitivo, che diventò piaghe reali, più che baciare il lebbroso, sposarsi con madonna povertà e sentire ogni creatura come sorella, sarà stato il dover custodire in misericordioso silenzio l’Ordine che aveva fondato». Di Ignazio, fondatore dei gesuiti, «possiamo intuire quanto fosse grande quel desiderio di vanagloria, che venne trasformato in una tale ricerca della maggior gloria di Dio». Il santo Curato d’Ars, di cui ha scritto Georges Bernanos, diceva: «Odiarsi è più facile di quanto non si creda. La grazia consiste nel dimenticarsi». Il ricettacolo del curato argentino Brochero, presto canonizzato, era il suo stesso corpo lebbroso, «egli, che sognava di morire galoppando, guadando qualche fiume della sierra per andare a dare l’unzione a qualche malato». Molte volte, ha detto il Papa che ha citato anche il cardinale Van Thuan, «le nostre cose rimangono a metà e, pertanto, uscire da sé stessi è sempre una grazia. Ci viene concesso di “lasciare le cose” perché le benedica e le perfezioni il Signore. Noi non dobbiamo preoccuparci molto».
Francesco ha concluso la sua seconda meditazione soffermandosi a lungo sulla figura di Maria «come recipiente e fonte di Misericordia», e mettendo in particolare in luce, sulla scia della propria preghiera silenziosa davanti alla Guadalupana durante il recente viaggio in Messico, quattro «modi di guardare» di Maria, «modi che ha la Madonna di guardare, specialmente i suoi sacerdoti, perché attraverso di noi vuole guardare la sua gente». Innanzitutto, Maria «ci guarda in modo tale che uno si sente accolto nel suo grembo»: «Se qualche volta notate che si è indurito il vostro sguardo, per lavoro o per stanchezza, succede a tutti, che quando avvicinate la gente provate fastidio o non provate nulla, guardate di nuovo a lei, guardatela con gli occhi dei più piccoli della vostra gente, che mendicano un grembo, ed Ella vi purificherà lo sguardo da ogni “cataratta” che non lascia vedere Cristo nelle anime, vi guarirà da ogni miopia che rende fastidiosi i bisogni della gente, che sono quelli del Signore incarnato, e da ogni presbiopia che si perde i dettagli, la piccola lettera, dove si giocano il senso della persona e della famiglia, la nota scritta “in piccolo”, dove si giocano le realtà importanti della vita della Chiesa e della famiglia», ha detto il Papa.
In secondo luogo, Maria osserva «tessendo, vedendo come può combinare a fin di bene tutte le cose che la vostra gente le porta». La misericordia, ha detto il Papa, «non ci “dipinge” dall’esterno una faccia da buoni, non ci fa il photoshop, ma con i medesimi fili delle nostre miserie e dei nostri peccati, intessuti con amore di Padre, ci tesse in modo tale che la nostra anima si rinnova recuperando la sua vera immagine, quella di Gesù».
Il terzo modo è quello dell’attenzione: «Un prete che si rende impermeabile agli sguardi è chiuso in se stesso. Custodire in noi ognuno di loro, conservandoli nel cuore, proteggendoli. Solo una Chiesa capace di proteggere il volto degli uomini che bussano alla sua porta è capace di parlare loro di Dio. Se non decifriamo le loro sofferenze, se non ci rendiamo conto delle loro necessità, nulla potremo offrire loro».
Maria, infine, «guarda in modo “integro”, unendo tutto, il nostro passato, il presente e il futuro»: «Quando voi sacerdoti avete momenti oscuri, brutti – ha detto il Papa ai preti – quando non sapete come arrangiarvi nel più intimo del vostro cuore, io dico: guardare la madre, solo questo, andate là a lasciatevi guardare da lei, in silenzio, anche addormentandovi, questo farà che in quei momenti brutti, forse con tanti sbagli che avete fatto e vi hanno portato lì, farà da questa sporcizia ricettacolo di misericordia. Lasciarsi guardare, e piangere. Quando troviamo un prete che è capace di questo, posso dire è un buon prete perché è un buon figlio e sarà un buon padre».