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5 anni dopo, 5 motivi per rivedere L’albero della vita

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Cottonwood Pictures

Matthew Becklo - Aleteia - pubblicato il 30/05/16

Non vi ha colpito la prima volta che l'avete visto? Potreste volergli dare un'altra chance

Quando il film L’albero della vita di Terrence Malick è uscito cinque anni fa, le risposte sono state tutte viscerali. Alcuni lo hanno salutato come un classico, altri lo hanno liquidato come spazzatura pretenziosa, e molte persone sono uscire dai cinema grattandosi la testa perplesse.

Che lo abbiate amato o odiato o siate solo rimasti confusi, ecco cinque motivi per dare a L’albero della vita un’altra chance nel 2016.

1. Prima di morire, Roger Ebert lo ha incluso nella lista dei dieci film migliori mai realizzati

Un anno prima di morire, Roger Ebert ha rivisto la sua lista dei dieci film migliori nella storia del cinema. Doveva sostituire il Decalogo di Kieslowski per via di un cambiamento di regole, ma cosa poteva stare vicino a classici come Quarto Potere e Toro Scatenato? Ebert doveva scegliere tra due film di “ambizione quasi sconsiderata”: Synecdoche, New York di Charlie Kaufman e L’albero della vita.

Ha scelto il secondo. “Credo che sia un film importante”, ha scritto, “e che la sua rilevanza non farà altro che aumentare con gli anni”.

Ironia della sorte, l’ultimo film che Ebert ha recensito è stata la pellicola successiva di Malick, To the Wonder.

2. Il suo carattere divisore era un segno precoce di grandezza

“Il nuovo film di Terrence Malick è una nuova forma di preghiera”, ha scritto Ebert nella sua recensione iniziale. “Ha creato in me una consapevolezza spirituale, e mi ha reso più attento allo stupore dell’esistenza”.

Non tutti sono stati d’accordo. La risposta della critica è stata in gran parte positiva, ma ci sono stati anche pareri negativi da membri del pubblico quando il film è stato proiettato per la prima volta a Cannes, ed è stato stroncato anche da alcuni grandi critici, come molto diviso è stato il pubblico in generale.

Tutte queste divisioni, tuttavia, possono essere state un segnale precoce di qualcosa di speciale. Anche Taxi Driver e Pulp Fiction sono stati fischiati a Cannes, e Quarto Potere – ora considerato da più parti il più grande film mai realizzato – ha avuto un avvio molto difficile.

Come altri film pionieristici, L’albero della vita ha confuso, stupito e frustrato il pubblico quando è uscito, ma nel corso del tempo questi sentimenti potrebbero convergere in un’unica risposta: ammirazione.

3. La fotografia ha fatto la storia

Una cosa sulla quale tutti sembrano essere d’accordo è il fatto che L’albero della vita è un grande successo a livello visivo. Agli Oscar del 2012, tuttavia, Emmanuel Lubezki ha inspiegabilmente perso rispetto a Robert Richardson (Hugo Cabret) il premio per la Miglior Fotografia.

In cambio, Lubezki è diventato il primo a vincere il premio per tre anni di seguito, per Gravity (2013) Birdman (2014) e The Revenant (2015), e la cornice che dà alla bellezza e al mistero del mondo è una sorta di Big Bang nel futuro della cinematografia.

4. La storia si segue più facilmente la seconda volta

La grandezza visiva de L’albero della vita era sufficiente a distrarre chiunque dalla trama, ma Malick ha anche sperimentato liberamente con i suoi personaggi e le loro ambientazioni, creando quella che molti hanno considerato una narrazione troppo libera. Perfino a Sean Penn è risultata sgradita, osservando che “una narrazione più chiara e convenzionale avrebbe aiutato il film”.

Malick chiede ai suoi spettatori di tenere gli occhi (e la mente) aperti, ma non li lascia “nella polvere”. Vedendo il film per la seconda volta, la storia si cristallizza e viene separata dalle sequenze più poetiche. Questo apre la strada a un approfondimento del significato della pellicola in sé.

5. La genialità nei dettagli

Una delle qualità di una grande opera è che ci si può tornare sopra mille volte e ogni volta si scopre qualcosa di nuovo. C’è una nuova immagine, un nuovo collegamento o un’idea di cui non ci si era accorti in precedenza.

L’albero della vita ha questa qualità. Ci sono piccoli dettagli affascinanti che è facile perdere, come la figura mariana che guida gentilmente gli O’Brien nel film. I personaggi diventano più sottili e complessi, soprattutto il signor O’Brien, interpretato da Brad Pitt. È un uomo pieno di difetti, ma anche un padre amorevole, e c’è una vera armonia tra la sua “natura” e la “grazia” della madre. Dopo tutto, la spirale negativa di Jack nell’iniquità si verifica in assenza del padre, e nelle immagini finali O’Brien è tra le braccia della moglie e dei figli.

Lo sottolinea anche il vescovo Robert Barron nel suo commento eccellente, che approfondisce anche il tema principale del film: la teodicea. L’albero della vita ha lanciato una “fase religiosa” della filmografia di Malick affrontando il mistero della sofferenza, ma più si guarda il film, più si capisce che ogni canzone, ogni citazione (da Giobbe a Dostoevskij ai Romani) e ogni simbolo sono attentamente e deliberatamente collocati per vedere un mistero alla luce di un altro. “Lo offro a te”, sussurra la signora O’Brien nelle inquadrature finali del film, con le mani che imitano i movimenti di quella figura mariana. “Ti offro mio figlio”.

Ebert ha ragione: L’albero della vita è un film importante, e la sua rilevanza non farà che aumentare con gli anni. Cinque anni dopo è già successo.

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Matthew Becklo è marito e padre, filosofo amatoriale e commentatore culturale per Aleteia e Word on Fire. I suoi scritti sono apparsi su First Things, The Dish e Real Clear Religion.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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