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Vaticano e Bielorussia, dialogo in nome della convivenza religiosa

Vatican Insider - pubblicato il 28/05/16

La recente visita del presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko in Vaticano dove ha incontrato papa Francesco (lo scorso 21 maggio), si inscrive in una più generale strategia di dialogo della Santa Sede con le realtà politiche e istituzionali in cui è prevalente la componente cristiana ortodossa legata al patriarcato di Mosca. Non a caso fra le questioni toccate nei colloqui, come riferiva il comunicato ufficiale diffuso del Vaticano, un’attenzione speciale è stata dedicata «alla vita della Chiesa in Bielorussia e alla pacifica convivenza tra le comunità cattolica e ortodossa del paese, come pure tra le altre confessioni religiose». 

Si è dunque trattato di un incontro positivo dal punto di vista diplomatico, la cui importanza è stata per altro ribadita – fatto significativo – dal ministro degli Esteri di Minsk, Vladimir Makei, il quale, attraverso l’agenzia di stampa bielorussa Belta, ha rilevato come «il Vaticano abbia giocato un ruolo importante nel migliorare le relazioni tra la Bielorussia e l’Unione europea». Il ministro ha poi ricordato come i rapporti con la Santa Sede vadano avanti regolarmente da tempo (nel 2009 Lukashenko fu ricevuto da Benedetto XVI), quindi ha precisato che «questo incontro con papa Francesco è stato di particolare importanza. Prima di tutto, i cattolici in Bielorussia sono la seconda più grande confessione dopo quella ortodossa e noi siamo interessati a preservare l’armonia, la pace e la stabilità nella nostra società, di questo hanno parlato il presidente e il papa». Quindi il ministro ha aggiunto che con il Vaticano c’è una identità di vedute in materia di politiche sociali. 

Ma al di là di valutazioni di questo tipo, resta l’importante riferimento al ruolo diplomatico svolto dalla Santa Sede nel riavvicinare la Bielorussia all’Europa. In questo contesto bisogna tenere conto della recente crisi ucraina, in cui Minsk – ospitando i negoziati di pace cui hanno preso parte i leader di Francia e Germania, Francois Hollande e Angela Merkel – si è guadagnata una nuova credibilità internazionale. Nel febbraio scorso, infatti, l’Ue ha tolto alla Bielorussia molte delle sanzioni cui era soggetta per violazioni dei diritti umani che comprendevano, fra l’altro, il divieto di entrare in Europa per lo stesso presidente Lukaschenko e per molti ministri e funzionari governativi, d’altro canto il regime in vigore in Bielorussia è da sempre considerato fortemente autoritario e poco incline alla democrazia dalle istituzioni di Bruxelles. La visita in Italia e in Vaticano ha segnato comunque la fine dell’embargo diplomatico cui era sottoposta l’ex Repubblica sovietica. 

Le sanzioni commerciali rimaste in piedi, in ogni caso, riguardano soprattutto il commercio degli armamenti. La situazione si è inoltre sbloccata anche perché la Bielorussia è in cerca di partner commerciali e di nuovi investimenti esteri per la sua economia messa a dura prova dal crollo del prezzo del petrolio. Di conseguenza la crisi economica ha accelerato l’apertura di nuove via di dialogo e comunicazione. 

D’altro canto la Santa Sede in questi mesi sul piano ecumenico e politico ha operato in due direzioni: da una parte si è avuto lo storico incontro tra Francesco e Kirill a L’Avana lo scorso 12 febbraio, evento che ha rappresentato una svolta fra le due grandi Chiese cristiane. Su un altro versante il Vaticano ha evitato di schierarsi nel conflitto ucraino preferendo una linea favorevole alla fine delle ostilità richiamando al negoziato tutte le parti in causa; quindi ha dato il suo contributo per aiutare e sostenere la popolazione ucraina fortemente colpita e indebolita dalla guerra. In tal modo la Santa Sede ha scongiurato la possibile deriva di un conflitto intercristiano della crisi che poteva infiammare la regione con conseguenze drammatiche come già era avvenuto nei Balcani nei primi anni ’90. Il 13 maggio scorso, poi, il Papa ha nominato un nuovo ambasciatore a Minsk, monsignor Gábor Pintér, ungherese di origine, con una lunga esperienza diplomatica alle spalle, in America Latina, Europa e Asia. Non solo: i rapporti con il mondo ortodosso proseguono costanti e senza troppi clamori.

E infatti una settimana fa Francesco, al termine dell’udienza generale, si è incontrato con dieci sacerdoti ortodossi del patriarcato di Mosca, rappresentati di istituti teologici in Russia, Ucraina e Bielorussia, i quali hanno trascorso una settimana a Roma, ospiti per la prima volta del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani, «per approfondire la conoscenza diretta della Santa Sede e visitare i luoghi santi». Dopo lo storico incontro tra il Papa e il patriarca Kirill all’Avana — ha spiegato a L’Osservatore romano il domenicano Hyacinthe Destivelle, officiale del Dicastero — con la Chiesa ortodossa sono stati avviati diversi progetti culturali ecumenici. Tra questi c’è appunto «l’organizzazione di brevi ma intense visite di studio per sacerdoti invitati a conoscere la diverse realtà ecclesiali e spirituali». Di recente, inoltre, sono stati dieci giovani sacerdoti cattolici a recarsi a Mosca. 

Nel frattempo, il Patriarca ortodosso, celebrando pochi giorni fa i 70 anni dell’istituzione del dipartimento per le relazioni esterne della Chiesa ortodossa russa, ha affermato che la relazioni con la Chiesa cattolica procedono positivamente poiché c’è una reciproca «comprensione della necessità di unire gli sforzi per difendere i valori cristiani tradizionali e contrastare sfide come la secolarizzazione, la discriminazione contro i cristiani, la crisi delle relazioni familiari che minano le fondamenta della morale personale e nella vita pubblica». 

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