Ho deciso di essere onesta su quello che provavo nel discernimento della mia vocazione
In un ritiro del novembre scorso, in una piccola sessione di gruppo, la guida ha chiesto che condividessimo com’è il nostro rapporto con Dio. Quando è arrivato il mio turno di parlare, per la prima volta in quel semestre ho deciso di essere onesta su ciò che provavo: “Penso di avere il problema opposto alla maggior parte di voi. Non sento Dio distante. Mi sembra che non mi lasci mai sola”.
Sono arrivata al college per studiare Scienze dell’Educazione e nutro davvero una passione per questo argomento. Può essere tuttavia impossibile concentrarsi su una passione quando qualcuno bussa incessantemente alla tua porta. E se quel qualcuno poi è Dio…
Può forse sembrare egoista, ma voglio davvero aprire la porta. Penso alla vita religiosa da quando ero in terza elementare, e ormai sono grande abbastanza perché la maggior parte degli ordini mi permetta di andare a visitarli, ma devo essere pratica. Finché Dio non mi mostrerà la strada verso un certo ordine, devo concentrarmi sul qui e ora; devo istruirmi. So che questo non sta mettendo altri obiettivi davanti a Dio; il mio sacerdote, i miei amici, fratelli, direttore spirituale e ogni religiosa con cui ho parlato negli ultimi due anni mi hanno detto la stessa cosa. Devo concentrarmi sugli studi.
Sapere questo, e sapere che è la volontà di Dio su di me, non rende tuttavia la chiamata più tranquilla, né mi fa mettere l’anima in pace. È un paradosso: lo sento bussare alla mia porta, corteggiarmi se volete, e tuttavia allo stesso tempo insistere sul fatto che aspetti prima di dedicargli la mia vita.
Suppongo che sia quello che a volte affrontano anche le coppie – gli aspetti pratici della vita che sembrano fastidiosi quando la promessa di comunione è ormai all’orizzonte.