Il caso lo solleva la Curia di Ferrara. E non è di poco conto. Perché l’impatto potrebbe allargarsi ben oltre i confini del capoluogo estense. Il nodo riguarda l’estensione della vecchia Ici, poi sostituita dall’Imu, anche agli immobili di natura commerciale della Chiesa, per di più con efficacia retroattiva. Una questione sollevata da una decina di parrocchie ferraresi alle quali il Comune ha chiesto il conto degli arretrati Ici risalenti al 2010. Una cifra che, secondo i calcoli dell’economo della Curia, don Graziano Donà, dovrebbe aggirarsi intorno ai 100 mila euro. Un salasso, che ha spinto l’arcivescovo di Ferrara, monsignor Luigi Negri, a scrivere una lunga lettera-appello al presidente del Consiglio Matteo Renzi per contestare la richiesta di pagamento e sollecitarne l’intervento.
È un vero e proprio allarme quello sollevato nella missiva, pubblicata anche sul sito web dell’alto prelato. E nella quale si sottolinea come l’applicazione della tassa, richiesta anche per gli anni pregressi, da parte del Comune di Ferrara dopo le sentenze della Cassazione sugli immobili della Chiesa ad uso commerciale, renderebbe «precaria l’esistenza stessa di molte scuole, a partire dalle scuole paritarie dell’infanzia». Un tema delicato, perché si tratta di attività che, se da un lato vengono qualificate come commerciali dall’altro rappresentano anche un servizio per il territorio. Per questo, l’arcivescovo si è appellato direttamente alla coscienza di Renzi, «di cittadino ancor prima che di cristiano», per promuovere «norme che non lascino margini interpretativi sfavorevoli».
Una vicenda che, al di là del singolo caso concreto, pone tuttavia una questione più ampia. Uscire dall’opacità di una normativa sulla materia che, di fatto, lascia alla giurisprudenza il compito di stabilirne i criteri di applicazione. Un limite che neppure il passaggio dall’Ici all’Imu è riuscito a superare. E, come spesso capita, per fare chiarezza, c’è voluto l’intervento, l’estate scorsa, proprio della Corte di Cassazione. Intervenuta con una pronuncia, in via definitiva, su un procedimento avviato dal Comune di Livorno che, nel 2010, aveva inoltrato avvisi di accertamento per omessa dichiarazione e omesso pagamento dell’Ici per 420 mila euro (tra Ici 2010-2011 e Imu 2012), relativi al periodo 2004-2009, a carico di alcuni istituti del comprensorio. Se in primo e in secondo grado i giudici avevano dato torto all’amministrazione comunale, respingendo le richieste di pagamento, la decisione è stata ribaltata dai magistrati del Palazzaccio. Poiché gli utenti di una scuola paritaria pagano un corrispettivo per la frequenza (la retta), è il senso della sentenza, tale attività va considerata di carattere commerciale «senza che a ciò osti la gestione in perdita».
Insomma, per avere diritto all’esenzione, non basta la natura non commerciale dell’ente proprietario né che l’immobile sia destinato esclusivamente ad attività di valore caritatevole o sociale. È sufficiente, secondo il recente indirizzo della Suprema Corte, il pagamento di una retta, come nel caso delle scuole paritarie, per giustificare l’obbligo di versare la tassa. Anche se la scuola non produce utili e, anzi, dovesse chiudere l’esercizio in perdita. Un indirizzo rispetto al quale la Chiesa eccepisce che, retta o non retta, quella svolta dalle scuole paritarie è comunque un’attività senza fine di lucro. E che ora, per effetto degli arretrati Ici-Imu, molti istituti potrebbero essere costretti a chiudere i battenti. A meno di un intervento del legislatore sulla materia che riscriva le regole in maniera chiara. Lasciando meno spazio interpretativo alla magistratura.