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Con la trasparenza lo Ior diventa più piccolo

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Vatican Insider - pubblicato il 18/05/16
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di Francesco Peloso

 

La riforma delle finanze vaticane, le novità introdotte sul piano della trasparenza, della gestione, del management, della comunicazione interna e della governance economica vaticana nel suo insieme, stanno portando lo Ior, l’Istituto per le Opere di Religione, a un dimagrimento finanziario. Ai fattori macroeconomici infatti, cioè la crisi mondiale, e in particolare il ristagno delle economie europee, i problemi avuti da Grecia e Cina, le conseguenze sui mercati internazionali del crollo del prezzo del greggio, si aggiunge una riduzione della clientela e dei valori complessivi gestiti dall’istituto. Questi ultimi sono fattori dipendenti in misura consistente dall’opera di pulizia e aggiornamento portata avanti in questi anni; questo almeno fino a ora, in seguito potranno intervenire politiche di rilancio e investimento per valorizzare il patrimonio. Per comprendere meglio la portata del cambiamento – osservando da vicino i dati diffusi dallo Ior nel «Rapporto» sul 2015 – è bene partire dal 2012, quando le novità su antiriciclaggio e trasparenza hanno cominciato a entrare nel vivo.

Complessivamente i valori di terzi gestiti dall’Istituto sono passati – dal 2012 al 2015 – da 6,3 miliardi a 5,8; il che significa una riduzione di 500 milioni di euro. Nel dettaglio, sempre nello stesso periodo, i depositi dei clienti sono scesi da 2,3 a 2 miliardi di euro (meno 300 milioni), le gestioni patrimoniali sono rimaste le medesime (3,2 miliardi), la custodia dei titoli è calata da 0,8 miliardi a 0,6, ovvero meno 200 milioni. Ancora più significativo il dato dell’utile netto se si parte appunto dal 2012: in questo caso lo Ior è passato da 86,6 milioni di euro di utili, a 16,1 del 2015, con una diminuzione di 70,5 milioni. Si comprenderà facilmente che una tale situazione è destinata a influire sui bilanci della Santa Sede che ogni anno usufruiscono di circa 50 milioni versati dallo Ior.

Nel testo di presentazione del bilancio di quest’anno, il presidente del Consiglio di sovrintendenza dello Ior, Jean Baptiste de Franssu, spiega fra l’altro quali sono le dieci aree sulle quali si è sviluppato il lavoro dell’Istituto. Ed emergono alcuni aspetti interessanti. Fra le questioni all’ordine del giorno troviamo infatti quelle «relative alle risorse umane dello Ior: la crescita formativa del personale, l’introduzione di un codice di condotta, l’aumento della comunicazione interna, l’istituzione di mansionari, la revisione dei flussi di lavoro e la modifica dell’orario di lavoro». Quindi si sta cercando di «migliorare il servizio alla clientela», di «consolidare le infrastrutture informatiche dell’Istituto» e di «introdurre nuovi requisiti relativi agli anticipi alla clientela mentre le attività di prestito sono state sospese» (il che significa che in precedenza venivano effettuate).

Allo stesso tempo si sottolinea come sia necessario «rivedere la governance dell’Istituto, ove necessario, e lavorare all’emanazione di regolamenti interni, con l’aiuto di un gruppo di lavoro dedicato, in stretta collaborazione con la Commissione cardinalizia (di vigilanza, ndr). È stata esaminata anche la possibilità di revisione dello Statuto dello Ior, per verificare se e dove potrebbero essere introdotte possibili limitate modifiche». C’è poi un punto particolarmente delicato quando si indica l’obiettivo di «ristabilire una fattiva cooperazione con istituti di credito italiani e sbloccare con successo alcuni conti»; conti e denaro rimasti a lungo bloccati in virtù del fatto che, almeno formalmente, per il governo italiano il Vaticano è ancora uno stato a rischio riciclaggio. Di fatto l’operatività dello Ior con le banche italiane non è stata ancora recuperata in modo definitivo. Va detto però che Italia e Santa Sede hanno sottoscritto un’importante intesa di collaborazione sul piano fiscale; manca però un riconoscimento definitivo da parte del Ministero per l’Economia rispetto allo status del Vaticano in ambito di transazioni finanziarie.

Infine c’è il dato relativo al calo e alla ristrutturazione della clientela. Un processo, anche questo, che va avanti da alcuni anni. In particolare lo Ior registra alla fine del 2015, 14.801 clienti; secondo quanto reso noto dall’Istituto, fra 2013 e 2015, sono stati estinti 4.935 rapporti, una cifra un po’ superiore ai 4800 descritti dal rapporto dell’Aif (l’Autorità d’Informazione finanziaria) e da Moneyval, l’organismo del Consiglio d’Europa che monitora l’applicazione delle leggi antiriciclaggio da parte della Santa Sede. A tale proposito è comunque bene ricordare che nel giugno del 2012, l’allora direttore dello Ior Paolo Cipriani, incontrando la stampa all’interno del torrione di Niccolò V dove ha sede l’istituto, parlò di circa 25mila posizioni aperte corrispondenti a 33mila conti. C’è da dire che in genere il numero di conti non è molto significativo poiché a un unico cliente possono corrispondere più attività finanziarie. Tuttavia resta una discrepanza di cifre sul numero dei clienti allontanati dallo Ior. Infine bisognerebbe tenere conto dei 1400 nuovi rapporti aperti di cui dava notizia il sito web dell’Istituto fino a poche settimane fa.

In quanto alla composizione della clientela attuale, in ogni caso, il rapporto dello Ior segnala che «il gruppo più significativo è quello degli ordini religiosi, che nel 2015 hanno costituito quasi la metà dei nostri clienti (48%), seguiti dai dicasteri della Curia romana, gli uffici della Santa Sede e Stato Città del Vaticano e nunziature apostoliche (11%), enti di Diritto canonico (9%), da cardinali, vescovi e clero (8%), dalle diocesi (7%); il gruppo restante è formato da vari soggetti, tra cui dipendenti e pensionati del Vaticano e fondazioni di Diritto canonico».