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Papa Francesco alla Cei: il prete non ha agende da difendere

Pope Francis General Audience April 20, 2016

© Antoine Mekary / ALETEIA

Andrea Tornielli - Vatican Insider - pubblicato il 16/05/16

Il Pontefice traccia l’identikit del sacerdote, che non è un burocrate, non mira all’efficienza, non si scandalizza per le fragilità.

Non ha parlato di politica né ha citato la nuova legge sulle unioni civili. Non è tornato sulle emergenze sociali, come quella dell’immigrazione, che aveva trattato pochi giorni fa ricevendo il premio Carlo Magno. Papa Francesco, intervenendo di fronte ai vescovi italiani riuniti in assemblea, ha tracciato invece l’identikit del prete. Ha spiegato che il sacerdote, è uomo di pace, di relazioni, con una vita semplice, è sempre disponibile per la gente. Non è un burocrate o un anonimo funzionario, non mira all’efficienza né si scandalizza per le fragilità dell’animo umano. E in un passaggio del discorso, citando le strutture e i beni economici, ha invitato i vescovi a «mantenere soltanto ciò che serve per l’esperienza di fede e carità del popolo di Dio».

Un cambiamento d’epoca

Il «rinnovamento del clero» è il tema scelto per la discussione all’assemblea della Cei. Il Papa ha quindi proposto ai vescovi di mettersi in ascolto avvicinandosi a «qualcuno dei tanti parroci che si spendono nelle nostre comunità». Che cosa «dà sapore» alla sua vita? A questa domanda Francesco risponde ricordando che il contesto culturale è diverso da quello del passato perché «anche in Italia tante tradizioni, abitudini e visioni della vita sono state intaccate da un profondo cambiamento d’epoca». «Noi, che spesso ci ritroviamo a deplorare questo tempo con tono amaro e accusatorio, dobbiamo avvertirne anche la durezza: nel nostro ministero – aggiunge il Papa – quante persone incontriamo che sono nell’affanno per la mancanza di riferimenti a cui guardare! Quante relazioni ferite! In un mondo in cui ciascuno si pensa come la misura di tutto, non c’è più posto per il fratello».

Non si scandalizza per le fragilità

Su questo sfondo, la vita del prete «diventa eloquente, perché diversa, alternativa». Come Mosè, «egli è uno che si è avvicinato al fuoco e ha lasciato che le fiamme bruciassero le sue ambizioni di carriera e potere. Ha fatto un rogo anche della tentazione di interpretarsi come un “devoto”, che si rifugia in un intimismo religioso che di spirituale ha ben poco». «È scalzo, il nostro prete – ha continuato – rispetto a una terra che si ostina a credere e considerare santa. Non si scandalizza per le fragilità che scuotono l’animo umano: consapevole di essere lui stesso un paralitico guarito, è distante dalla freddezza del rigorista, come pure dalla superficialità di chi vuole mostrarsi accondiscendente a buon mercato. Dell’altro accetta, invece, di farsi carico, sentendosi partecipe e responsabile del suo destino».

Non è un burocrate

Il prete «con l’olio della speranza e della consolazione, si fa prossimo di ognuno, attento a condividerne l’abbandono e la sofferenza. Avendo accettato di non disporre di sé, non ha un’agenda da difendere, ma consegna ogni mattina al Signore il suo tempo per lasciarsi incontrare dalla gente e farsi incontro. Così, il nostro sacerdote non è un burocrate o un anonimo funzionario dell’istituzione; non è consacrato a un ruolo impiegatizio, né è mosso dai criteri dell’efficienza».

Stile di vita semplice

Ancora, «sa che l’amore è tutto. Non cerca assicurazioni terrene o titoli onorifici, che portano a confidare nell’uomo; nel ministero per sé non domanda nulla che vada oltre il reale bisogno, né è preoccupato di legare a sé le persone che gli sono affidate. Il suo stile di vita semplice ed essenziale, sempre disponibile, lo presenta credibile agli occhi della gente e lo avvicina agli umili, in una carità pastorale che fa liberi e solidali. Servo della vita, cammina con il cuore e il passo dei poveri; è reso ricco dalla loro frequentazione. È un uomo di pace e di riconciliazione, un segno e uno strumento della tenerezza di Dio, attento a diffondere il bene con la stessa passione con cui altri curano i loro interessi». Ed è l’amicizia «con il suo Signore a portarlo ad abbracciare la realtà quotidiana con la fiducia di chi crede che l’impossibilità dell’uomo non rimane tale per Dio».

Vicino alla sua gente

Per chi si impegna il prete? «Il presbitero è tale nella misura in cui si sente partecipe della Chiesa, di una comunità concreta di cui condivide il cammino. Il popolo fedele di Dio – specifica Francesco – rimane il grembo da cui egli è tratto, la famiglia in cui è coinvolto, la casa a cui è inviato. Questa comune appartenenza, che sgorga dal Battesimo, è il respiro che libera da un’autoreferenzialità che isola e imprigiona». Non parte innanzitutto perché ha una missione da compiere ma perché è «strutturalmente un missionario». Il pastore «è convertito e confermato dalla fede semplice del popolo santo di Dio, con il quale opera e nel cui cuore vive». Il suo tratto distintivo è «la comunione, vissuta con i laici in rapporti che sanno valorizzare la partecipazione di ciascuno. In questo tempo povero di amicizia sociale, il nostro primo compito è quello di costruire comunità». Per questo precisa Francesco, «l’attitudine alla relazione» è «criterio decisivo di discernimento vocazionale». Allo stesso modo, continua il Papa, «per un sacerdote è vitale ritrovarsi nel cenacolo del presbiterio», cioè insieme agli altri preti. «Questa esperienza – quando non è vissuta in maniera occasionale, né in forza di una collaborazione strumentale – libera dai narcisismi e dalle gelosie clericali; fa crescere la stima, il sostegno e la benevolenza reciproca».

Strutture e beni: no alla «pastorale di conservazione»

Francesco cita poi la gestione delle strutture e dei beni economici: «In una visione evangelica, evitate di appesantirvi in una pastorale di conservazione, che ostacola l’apertura alla perenne novità dello Spirito. Mantenete soltanto ciò che può servire per l’esperienza di fede e di carità del popolo di Dio».

Si dona con gratuità

Infine, il Papa ha parlato della «ragione ultima» del donarsi dei preti. «Quanta tristezza fanno coloro che nella vita calcolano, soppesano, non rischiano nulla per paura di perderci… Sono i più infelici!». Il prete invece, «con i suoi limiti, è uno che si gioca fino in fondo: nelle condizioni concrete in cui la vita e il ministero l’hanno posto, si offre con gratuità, con umiltà e gioia. Anche quando nessuno sembra accorgersene. Anche quando intuisce che, umanamente, forse nessuno lo ringrazierà a sufficienza del suo donarsi senza misura». È «uomo della Pasqua, dallo sguardo rivolto al Regno, verso cui sente che la storia umana cammina, nonostante i ritardi, le oscurità e le contraddizioni». Il Regno, cioè «la visione che dell’uomo ha Gesù», «è la sua gioia, l’orizzonte che gli permette di relativizzare il resto, di stemperare preoccupazioni e ansietà, di restare libero dalle illusioni e dal pessimismo; di custodire nel cuore la pace e di diffonderla con i suoi gesti, le sue parole, i suoi atteggiamenti».

Prima di cominciare il suo discorso, papa Francesco aveva scherzato: «Buon pomeriggio a tutti, eh, quest’anno ci sono tanti nuovi, anche c’è molto odore di olio, ancora tu non hai fatto 24 ore», alludendo a un vescovo appena ordinato. «Quanti nuovi ci sono?», ha poi chiesto. «Non li abbiamo contati», ha risposto il presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei), il cardinale Angelo Bagnasco, mentre dalla platea si levavano cifre, 36, 38. «Un po’ meno di quaranta», ha concluso Bagnasco.

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