Un disastro. E’ un disastro ambientale che non ha precedenti nella storia dell’intero continente sudamericano quello che si sta consumando in queste settimane sulle coste meridionali del Cile, una nazione già gravemente provata dagli eventi naturali a causa della sua posizione ai margini di una placca tettonica convergente a forte sismicità.
Il governo quantifica una perdita di almeno 100 mila tonnellate di salmone e una stima ancora maggiore è quella riferita a sardine, sgombri, acciughe, crostacei, molluschi e meduse. L’alterazione dell’ecosistema costiero sta provocando l’allontanamento di uccelli predatori, quali albatri e procellarie, che migrano alla ricerca di cibo, ma si contano già anche casi di spiaggiamento di grossi mammiferi come balene e leoni marini. Causa del disastro è la cosiddetta «Red Tide» o «Marea roja”»: un’esplosione incontrollata di alghe microscopiche, perlopiù dinoflagellate, che altera non solo il colore dell’acqua oceanica – un inedito rosso sangue – ma anche la composizione chimica per via del rilascio di tossine di origine batterica del genere Alexandrium, letali per la fauna e fonte di diverse patologie per l’uomo. Non per nulla si parla di HaBs (Harmuful algal Blooms), una «fioritura» di alghe in questo caso altamente nocive.
Un fenomeno non nuovo, anzi usuale per quella zona e per altre parti del mondo (ad esempio la Florida), come testimonia il monitoraggio continuo da satelliti degli oceanografi americani del NOAA (National Oceanic and Atmospheric Administration), ma sono le dimensioni – che qualcuno ha già definito bibliche – a rappresentare un’assoluta novità.
Gli scienziati non sembrano aver dubbi nell’attribuirne la responsabilità a El Niño versione 2016. Il fenomeno che sta rivoluzionando la circolazione oceanica mondiale è probabilmente il fattore chiave nella formazione della marea rossa: riscaldando l’oceano e aumentando (in aggiunta al riscaldamento dell’atmosfera) l’evaporazione dell’acqua che si arricchisce di nutrienti, essa crea le condizioni ideali per la fioritura algale. Uno dei tanti fenomeni legati ai cambiamenti climatici in atto.
Con ogni probabilità è destinata a crescere questa marea rossa, iniziata a gennaio (con temperature da 2 a 4°C superiori alla media del periodo) nell’indifferenza generale, che sta arrecando drammatiche conseguenze alla popolazione locale. L’economia basata sulla pesca è in ginocchio: il Cile, secondo produttore al mondo dopo la Norvegia per il salmone, non regge alla drastica diminuzione del prezzo (alcuni pesci riescono a sopravvivere, ma la loro crescita è notevolmente ridotta, la qualità del prodotto un’incognita).
Tra le zone interessate Puerto Montt e la cittadina di Ancud, un comune fondato nel 1768 nella parte più settentrionale dell’isola di Chiloé, nella regione di Los Lagos, oltre 1000 km a sud di Santiago. Lì si sono svolte già manifestazioni di protesta che venerdì scorso hanno raggiunto anche Valparaiso dove si sono radunate oltre tremila persone per chiedere aiuti di emergenza (dal 29 aprile la regione è dichiarata disastrata) dopo il blocco la pesca alla segnalazione di due episodi infettivi.
Solo l’intervento del vescovo della diocesi di San Carlos, monsignor Juan Maria Florindo Agurto Muñoz OSM, era riuscito a permettere il transito di camion di carburante e generi alimentari per fornire l’area di Chiloé.
Il governo ha offerto inizialmente un risarcimento di 100 mila pesos a famiglia (circa $ 151 USD), proposta giudicata insufficiente dai pescatori (elevata poi a 300) che chiedono altresì al Servizio Nazionale della Pesca la garanzia di un’indagine sullo stato dell’intera zona costiera. Annullando il divieto precedente, il viceammiraglio Schwarzenberg ha concesso a diverse aziende di acquacoltura di scaricare al largo della costa più di 5 tonnellate di salmoni e molluschi in decomposizione, un rischio per l’igiene pubblica. Anzi, in un’intervista radiofonica a Bio-Bio Chile, il chimico ambientale Iván Vega ipotizzava che lo scarico di salmoni morti finisca per allargare le dimensioni della marea rossa.
«Chiloè: il mare è stato ucciso» è il commento diffuso dal vicario apostolico di Aysen, monsignor Luigi Infanti de la Mora OSM, figlio di emigranti friulani, pubblicato sabato 13 maggio sul sito delle Pontificie Opere Missionarie (ma anche l’agenzia Fides e il Dominican Network forniscono informazioni da giorni).
«Ieri era Aysen, oggi Chiloé, e domani ci saranno altre crisi» dichiara con amarezza alludendo all’emergenza legata agli ambigui progetti delle 5 dighe nella Patagonia cilena, ora bloccati, e ricordando come «questi fatti non rappresentano un caso isolato, hanno cause e responsabili: sono gli effetti di un modello di sviluppo e industrializzazione pianificata per sfruttare le risorse naturali del sud e di tutto il Cile».
E’ un pugno nello stomaco l’accusa del vescovo: «Sono state privatizzate la terra, l’acqua e il mare, ma ben prima sono state privatizzate le coscienze e l’intera organizzazione sociale e oggi continuiamo a subirne le conseguenze». La denuncia: «Uno sfruttamento esagerato delle risorse che vengono consegnate alle multinazionali che cercano solo il proprio tornaconto, lasciando allo stremo un’intera regione».
«Quella del Cile non è solo una crisi ambientale, rappresenta anche una crisi morale». Se un modello economico rovina l’ambiente in cui viviamo, la nostra casa comune, se danneggia la nostra vita, la nostra cultura, le nostre tradizioni che sono la nostra più grande ricchezza e mina gravemente la dignità delle persone e dell’intera popolazione, questa è la morte. Perché degradare l’ambiente è ferire gravemente noi stessi».
Nelle parole di monsignor de la Mora l’eco di quanto scritto da papa Bergoglio nella Laudato Si’ (24, 25, 34, 36, 204) sui cambiamenti climatici e sui «disastri naturali causati dall’essere umano» in «una generale indifferenza di fronte a queste tragedie» (LS 25) o sulla «cura degli ecosistemi» che richiede uno sguardo che vada al di là dell’immediato» perché «il costo dei danni provocati dall’incuria egoistica è di gran lunga più elevato del beneficio economico che si può ottenere» (LS 36) portando ad autentiche «catastrofi derivate da crisi sociali» (LS 204).