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Assassinato dai cugini per essersi convertito al cristianesimo, ora gli vengono attribuiti dei miracoli

Hassan Hussein Ibrahim Hamdar – libano

n.karim / Flickr

Aleteia - pubblicato il 12/05/16

In esclusiva, la storia di Hassan Hussein Ibrahim Hamdar, noto come “Joseph”

L’edizione araba di Aleteia ha scoperto la storia di Hassan Hussein Ibrahim Hamdar, di Mrah Sghir, dipendente dal villaggio di Bechtelida, nel distretto libanese di Keserwan.

Suo padre era l’imam locale, lo zio Mohammad quello di un’altra regione. Suo cugino Hassan Hamdar era un giudice di dottrina sciita.

Mohammad Bin Hassan riconciliò Bechtelida e i suoi subordinati. La popolazione si unì attraverso il matrimonio con la dinastia degli Hussaini, che includeva quella dell’imam Ali e di Fatima, figlia del profeta Maometto. La caratteristica era un turbante blu.

Hassan emigrò a Beirut, Sidone e Tripoli, poi andò ad Amchit e visse tra i cristiani. Gli venne concesso il dono della conversione e del martirio.

Pur avendo subito nel corso della sua vita oppressioni e vicissitudini di ogni tipo, non offese e non derubò mai nessuno, né fu mai blasfemo. Era puro.

Andava sempre in chiesa per assistere alle celebrazioni religiose e ascoltare i sermoni e gli insegnamenti cristiani. Provava ammirazione per i cristiani e per il loro buon comportamento.

E così la grazia di Dio toccò il suo cuore e lo aiutò ad esprimere il suo desiderio di convertirsi al cristianesimo. Iniziò a imparare le verità cristiane e le preghiere di base.

Trascorse l’estate del 1918 con i suoi familiari e raccontò alla moglie il desiderio di convertirsi. Lei gli rispose: “Povero te! Se i tuoi parenti lo scoprono ti uccideranno subito!” Lui replicò: “Non temo questo tipo di morte”.

Tornò ad Amchit all’inizio del settembre 1918. Poi si verificò un incidente importante. Il bestiame entrò nel monastero dei fratelli marianisti e fece cadere la statua della Madonna. All’epoca nessuno osava toccare nulla in quel luogo, perché era sotto la dominazione turca. Senza alcuna paura, Hassan portò la statua in chiesa e recitò una novena.

Tutto questo accadde il 10 settembre 1918. La regina dei martiri ricompensò il suo servo fedele offrendogli il dono del martirio esattamente un anno dopo, il 10 settembre 1919.

La vita da cristiano

All’inizio del febbraio 1919, alla vigilia della festa di Nostra Signora, Hassan chiese a un sacerdote di battezzarlo il prima possibile.

Da allora la sua conversione portò lo scompiglio tra gli sciiti, che minacciarono di ucciderlo. Si portarono via la moglie e il figlio e chiamarono suo fratello Mohammad perché venisse da Baalbek. Se avesse ricevuto il Battesimo lo avrebbero ucciso.

Avevano anche minacciato di uccidere chiunque avesse contribuito alla sua conversione, ma Hassan non temeva le loro minacce.

Quando volle comprare una tunica per la Pasqua, chiese che dipingessero una grande croce sul petto. Andò poi al villaggio indossandola, perché tutti potessero vedere che presto si sarebbe convertito al cristianesimo.

Nel luglio 1919 andò dal patriarca maronita, che lo mandò dal superiore dell’Ordine maronita libanese, nel monastero di Al-Maunat.

Il 18 luglio molte persone, sia chierici che secolari, accorsero da Amchit e dal quartiere del suo villaggio per accompagnarlo nel Battesimo. Ricevette il sacramento con reverenza e adottò il nome Joseph su sua richiesta.

Il 19 luglio ricevette la Santa Comunione dopo il Battesimo e servì Dio andando ogni settimana a confessarsi e ricevendo quotidianamente la Santa Comunione, fino alla sua morte in martirio.

Giorno dopo giorno crebbe in virtù, e trascorreva sempre più tempo durante la notte di fronte alla Santa Eucaristia, pregando con fervore. Nel frattempo, non smetteva di essere bersaglio di continue minacce.

Verso il martirio

Lunedì 8 settembre 1919 si confessò e ricevette la Comunione. Il giorno seguente fece lo stesso, e poi il parroco Yousif Sibrine arrivò e lo accompagnò al suo villaggio. Nel percorso trascorsero la maggior parte del tempo recitando il Rosario.

Quando arrivarono, Joseph, dopo un breve riposo, andò da solo a visitare la chiesa e vi rimase fin dopo il tramonto. Il parroco andò a cercarlo e lo trovò che pregava inginocchiato davanti alla porta della chiesa.

Il 10 settembre assistette alla Messa e ricevette l’Eucaristia per l’ultima volta. Nel frattempo, i suoi parenti seppero del suo arrivo, ma il fratello era assente. Due dei suoi cugini arrivarono armati e aspettarono che tornasse.

A mezzogiorno, il parroco e Joseph presero la via per Amchit, e sulla strada alcune donne sciite imprecarono contro di loro e li minacciarono.

Al suo arrivo a Zardaq si presentarono i due cugini, che gli chiesero di tornare alla religione dei suoi avi.

Gli ricordarono anche che suo padre era uno sceicco e che, come leader religioso, gli avrebbe dato un’ingente somma di denaro, gli avrebbe comprato due mucche, lo avrebbe mandato a Baalbek e gli avrebbe restituito la moglie e l’unico figlio.

Se avesse rifiutato, lo avvertirono, sarebbe andato incontro alla morte.

Joseph non accettò la loro offerta, e quindi gli spararono vicino due volte per intimidirlo. Visto che insisteva nella sua lealtà alla fede cristiana, lo uccisero con un colpo al petto.

I miracoli

Durante le indagini di Aleteia su questa storia, un anziano sacerdote ha assicurato che dopo la morte di Joseph si sono verificati molti miracoli, soprattutto a favore di una delle famiglie che ha conservato la sua tunica.

Il corpo di Joseph è stato sepolto nel luogo in cui è stato ucciso, ma la mattina del giorno dopo è stato spostato in un altro luogo per nasconderlo. Attualmente non si sa dove si trovi.

Il sacerdote ha detto infine ad Aleteia che c’è stato un tentativo di inviare un dossier su di lui a Roma per via dei miracoli avvenuti, ma la questione non ha avuto seguito. Tutto quello che resta da fare è pregare e aspettare un segno di Dio.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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