Nel Vangelo «Gesù ci ricorda che nella casa del Padre non si rimane per avere un compenso, ma perché si ha la dignità di figli corresponsabili. Non si tratta di “barattare” con Dio, ma di stare alla sequela di Gesù che ha donato sé stesso sulla croce senza misura». Papa Francesco ha proseguito un ciclo di catechesi che sta dedicando al tema giubilare della misericordia spiegando, all’udienza generale in piazza San Pietro, la parabola del «padre misericordioso», nota come la parabola del figliol prodigo. Francesco ha pregato in particolare per il Brasile «in questi momenti difficili», ossia una crisi politica che potrebbe sfociare nell’impeachment alla presidente Dilma Roussef, augurandosi che il paese «proceda sui sentieri dell’armonia e della pace con l’aiuto della preghiera e del dialogo».
«Partiamo dalla fine, cioè dalla gioia del cuore del Padre, che dice: “Facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Con queste parole il padre ha interrotto il figlio minore nel momento in cui stava confessando la sua colpa: “Non sono più degno di essere chiamato tuo figlio…”. Ma questa espressione è insopportabile per il cuore del padre, che invece si affretta a restituire al figlio i segni della sua dignità: il vestito bello, l’anello, i calzari. Gesù non descrive un padre offeso e risentito che gli dice “me la pagherai!”, no, il padre lo abbraccia, al contrario, l’unica cosa che il padre ha a cuore è che questo figlio sia davanti a lui sano e salvo. L’accoglienza del figlio che ritorna è descritta in modo commovente: “Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò”. Cosa significa? Significa che il padre saliva sul terrazzo continuamente per guardare la strada e vedere se il figlio tornava. Lo aspettava. Quel figlio che aveva combinato di tutto, ma il padre lo aspettava. Cosa bella la tenerezza del padre…».
La misericordia del padre, ha detto il Papa, «è traboccante, incondizionata, e si manifesta ancor prima che il figlio parli. Certo, il figlio sa di avere sbagliato e lo riconosce: “Ho peccato … trattami come uno dei tuoi salariati”. Ma queste parole si dissolvono davanti al perdono del padre. L’abbraccio e il bacio di suo papà gli fanno capire che è stato sempre considerato figlio, nonostante tutto, ma è sempre suo figlio. È importante questo insegnamento di Gesù: la nostra condizione di figli di Dio è frutto dell’amore del cuore del Padre; non dipende dai nostri meriti o dalle nostre azioni, e quindi nessuno può togliercela. Nessuno può torglierci questa dignità, neppure il diavolo! Questa parola di Gesù ci incoraggia a non disperare mai. Penso alle mamme e ai papà in apprensione quando vedono i figli allontanarsi imboccando strade pericolose. Penso ai parroci e catechisti che a volte si domandano se il loro lavoro è stato vano. Ma penso anche a chi si trova in carcere, e gli sembra che la sua vita sia finita; a quanti hanno compiuto scelte sbagliate e non riescono a guardare al futuro; a tutti coloro che hanno fame di misericordia e di perdono e credono di non meritarlo… In qualunque situazione della vita, non devo dimenticare che non smetterò mai di essere figlio di Dio, di un Padre che mi ama e attende il mio ritorno. Anche nella situazione più brutta nella vita Dio mi attende, vuole abbracciarmi».
Quanto al figlio maggiore, «anche lui ha bisogno di scoprire la misericordia del padre. Lui è sempre rimasto a casa, ma è così diverso dal padre! Le sue parole mancano di tenerezza: “Ecco io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando… ma ora che è tornato questo tuo figlio…”. Parla con disprezzo. Non dice mai “padre”, “fratello”. Si vanta di essere rimasto sempre accanto al padre e di averlo servito; eppure non ha mai vissuto con gioia questa vicinanza. E adesso accusa il padre di non avergli mai dato un capretto per fare festa. Povero padre! Un figlio se n’era andato, e l’altro non gli è mai stato davvero vicino! La sofferenza del padre è come la sofferenza di Dio e di Gesù, quando ci allontaniamo o quando pensiamo di essere vicini e invece non lo siamo». Il figlio maggiore «rappresenta noi quando ci domandiamo se valga la pena faticare tanto se poi non riceviamo nulla in cambio. Gesù ci ricorda che nella casa del Padre non si rimane per avere un compenso, ma perché si ha la dignità di figli corresponsabili. Non si tratta di “barattare” con Dio, ma di stare alla sequela di Gesù che ha donato sé stesso sulla croce senza misura».
La «logica» del padre è la misericordia: «Il figlio minore pensava di meritare un castigo a causa dei propri peccati, il figlio maggiore si aspettava una ricompensa per i suoi servizi. I due fratelli non parlano fra di loro, vivono storie differenti, ma ragionano entrambi secondo una logica estranea a Gesù: se fai bene ricevi un premio, se fai male vieni punito. Questa logica viene sovvertita dalle parole del padre: “Bisognava far festa e rallegrarsi perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. Il padre ha recuperato il figlio perduto, e ora può anche restituirlo a suo fratello! Senza il minore, anche il figlio maggiore smette di essere un “fratello”. La gioia più grande per il padre è vedere che i suoi figli si riconoscano fratelli. I figli possono decidere se unirsi alla gioia del padre o rifiutare. Devono interrogarsi sui propri desideri e sulla visione che hanno della vita. La parabola – ha concluso il Papa – termina lasciando il finale sospeso: non sappiamo cosa abbia deciso di fare il figlio maggiore. E questo è uno stimolo per noi. Questo Vangelo ci insegna che tutti abbiamo bisogno di entrare nella casa del Padre e partecipare alla sua gioia, alla festa della misericordia e della fraternità. Fratelli e sorelle apriamo il nostro cuore, per essere “misericordiosi come il Padre”».
Al momento dei saluti conclusivi in lingua, il Papa ha pregato, in particolare, per il Brasile: «Il mio pensiero – ha detto Francesco – va alla vostra amata nazione. In questi giorni in cui ci prepariamo alla festa di Pentecoste, chiedo al Signore che effonda abbondantemente i doni dello spirito affinché il paese in questi momenti di difficoltà proceda sui sentieri dell’armonia e della pace con l’aiuto della preghiera e del dialogo. La vicinanza di nostra Signora di Aparecida come la buona madre che non abbandona mai sia di difesa e guida in questo cammino».
Con i pellegrini polacchi il Papa ha ricordato la particolare devozione di Giovanni Paolo II per la Madonna di Fatima.
Al Papa, a fine udienza, è stata presentata una stampante 3D e il progetto degli studenti dell’istituto Massimo di Roma per realizzare delle mini-fabbriche con stampanti 3D da inviare in Africa per stampare protesi per i bambini amputati e altre attrezzature mediche usando come materiale riciclato i tappi di bottiglia in plastica. Il progetto, «Crowd4Africa», progettato dal team di Making 3D Printers e realizzato dai ragazzi, invierà le prime mini-fabbriche al Lacor St. Mary Hospital in Uganda gestito dalla Fondazione Corti e al Centro Sanitario di Kenge in Congo. All’inizio dell’udienza il Papa ha invitato i fedeli presenti a San Pietro a pregare per gli ammalati: «Siccome c’era pericolo di pioggia gli ammalati sono nell’aula paolo VI e collegati con noi con il maxischermo, due posti ma una sola udienza, salutiamo gli ammalati che sono in aula Paolo VI».