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Francesco e il leader dei Bektashi: la via del dialogo per i Balcani

Vatican Insider - pubblicato il 11/05/16

Un’udienza alla guida di una confraternita religiosa sufi con cui la Santa Sede ha da tempo rapporti di amicizia. E proveniente da quell’Albania che durante il viaggio del settembre 2014 Francesco aveva citato espressamente come esempio di convivenza pacifica tra cristiani e musulmani. Sono i tratti essenziali che spiegano l’incontro tra il Pontefice e Baba Edmond Brahimaj – il leader spirituale dei Bektashi, il volto balcanico della corrente mistica dell’islam – avvenuto questa mattina presso lo studio dell’Aula Paolo VI, prima dell’udienza generale.  

Un incontro che non sorprende: il leader dei Bektashi aveva già partecipato agli incontri interreligiosi di Assisi e anche alla cerimonia della beatificazione di Madre Teresa. Eppure si è trattato lo stesso di un fatto molto significativo se osservato alla luce del contesto più generale del mondo musulmano di oggi. Perché proprio le correnti sufi sono oggi sono tra i gruppi più avversati dall’islamismo radicale; e – in modo particolare – quelle che come i Bektashi hanno nella loro dottrina punti di contatto importanti con l’islam sciita. 

Non è un caso che l’Isis – tanto in Siria quanto in Libia – abbia raso al suolo luoghi di culto di confraternite sufi, considerati «luoghi di apostasia» alla stessa stregua delle chiese. Ma anche al di là delle violenze più crude del sedicente Califfato, l’intolleranza nei confronti dei sufi è in crescita anche in aree come i Balcani. A marcare le distanze non sono solo il misticismo e le dottrine fratellanza, ma anche aspetti esteriori molto visibili: i luoghi di culto dei Bektashi, per esempio, non hanno minareti e muezzin, le loro donne non indossano il velo e partecipano alla preghiera nello stesso luogo degli uomini. Tutti aspetti che esistono da secoli, ma oggi in un Oriente sempre più allergico alle differenze vengono additati come uno scandalo da chi vorrebbe imporre il wahhabismo come unica rigidissima visione dell’islam. 

Del resto non è nemmeno una storia così nuova: l’origine dei Bektashi risale al XIII secolo in ambito Ottomano; ma lo spostamento definitivo del loro baricentro dalla Turchia a Tirana risale al 1925, quando in un ulteriore stadio dell’omogenizzazione forzata avviata dai Giovani Turchi, dopo armeni e assiri nel mirino di Ataturk finirono anche i curdi e le confraternite sufi, troppo poco ortodosse rispetto all’islam sunnita.  

Così i Bektashi sono sopravvissuti in Albania, nonostante la prova durissima attraversata pure da loro durante il regime comunista di Enver Hoxha. E ancora oggi nel contesto albanese i loro rapporti con gli imam sufi sono generalmente improntati all’amicizia. Ma non è così in alcuni Paesi vicini, dove il wahhabismo importato dai mujahiddin giunti per combattere nella ex Yugoslavia ha già cominciato a prenderli di mira. Il caso più clamoroso è stato nel 2002 in Macedonia l’occupazione del santuario di Harabati, nella città di Tetova, uno dei luoghi più importanti per la loro tradizione: i locali gruppi sunniti radicali l’hanno occupato e trasformato con la forza in una moschea. E a nulla sono valse le proteste della comunità bektashi. Senza dimenticare, poi, che i Bektashi vengono spesso accostati dagli studiosi delle confraternite sufi agli Aleviti, una minoranza turca numericamente molto significativa. Ma anche uno dei gruppi finiti pericolosamente in questi ultimi anni nel mirino di Erdogan. 

«Il Papa, lasciando da parte il protocollo, si è avvicinato da fratello a fratello, con una grande cordialità – ha detto Baba Edmond Brahimaj alla Radio Vaticana raccontando l’incontro di oggi – . Il suo è stato un messaggio di fraternità; abbiamo riaffermato il valore del dialogo, dell’incontro fraterno e dell’importanza che le comunità religiose hanno per la società odierna. Il Papa – ha detto ancora – ha ricordato l’incontro che lui ha avuto con tutte le comunità religiose in Albania, dove ha visto una ferma volontà dell’incontro, del dialogo fraterno, sincero, franco, per trasmettere a tutti i credenti la via dell’amore, dell’incontro e della pace che il Signore ci ha lasciato, perché non ci sono alternative alla via della pace e dell’incontro». Un messaggio che per i Balcani – vera frontiera europea della lotta al Califfato – ha oggi un’importanza tutta particolare. 

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