Così il pontefice durante l’omelia di oggi a Santa Martadi Alessandro De Carolis
Una chiamata che “costringe”, una spinta irresistibile a prendere la propria vita e a donarla a Cristo, di più: a “bruciarla” per Lui. C’è questo nel cuore di ogni apostolo. Era il fuoco che bruciava il cuore di San Paolo, è lo stesso fuoco che, constata il Papa, arde in quei “tanti giovani, ragazze e ragazzi, che hanno lasciato la patria, la famiglia e sono andati lontano, in altri continenti, ad annunciare Gesù Cristo”.
“Costretti” dallo Spirito
La riflessione di Francesco è ispirato al brano degli Atti degli Apostoli che racconta il congedo di Paolo dalla comunità di Mileto. Una scena toccante: Paolo sa, e lo dice, che non vedrà più quella comunità, i presbiteri di Efeso che ha mandato a chiamare e adesso gli sono attorno. È l’ora di andare a Gerusalemme, è lì che lo Spirito lo conduce, lo stesso Spirito del quale riconosce l’assoluta signoria sulla sua vita, che sempre lo ha spinto all’annuncio del Vangelo affrontando problemi e pene. “Credo – osserva il Papa – che questo brano ci evochi la vita dei nostri missionari” di tutte le epoche:
“Andavano costretti dallo Spirito Santo: una vocazione! E quando, in quei posti, andiamo nei cimiteri, vediamo le loro lapidi: tanti sono morti giovani, a meno di 40 anni. Perché le malattie del posto non erano preparati per sopportarle. Hanno dato la vita giovani: hanno ‘bruciato’ la vita. Io penso che loro, in quell’ultimo momento, lontani dalla loro patria, dalla loro famiglia, dai loro cari, abbiano detto: ‘Valeva la pena, quello che ho fatto!’”.
Missionari, gloria della Chiesa
“Il missionario va senza sapere cosa lo aspetta”, insiste il Papa, che cita il congedo dalla vita di S. Francesco Saverio narrato da José María Pemàn, scrittore e poeta spagnolo del ‘900. Una pagina che evoca quella di S. Paolo: “So soltanto – aveva detto l’Apostolo nel suo discorso di saluto – che lo Spirito Santo, di città in città, mi attesta che mi attendono catene e tribolazioni”. “Il missionario sa che non sarà facile la vita, ma va avanti”, commenta Francesco, che si commuove al pensiero degli apostoli di oggi:
“I missionari nostri, questi eroi dell’evangelizzazioni dei nostri tempi. L’Europa che ha riempito di missionari altri continenti… E questi se ne andavano senza tornare… Credo sia giusto che noi ringraziamo il Signore per la loro testimonianza. E’ giusto che noi ci rallegriamo di avere questi missionari, che sono veri testimoni. Io penso a come sia stato l’ultimo momento di questi: come può essere stato il congedo? Come Saverio: “Ho lasciato tutto, ma valeva la pena!”. Anonimi, se ne sono andati. Altri martiri e cioè offrendo la vita per il Vangelo. Sono la nostra gloria questi missionari! La gloria della nostra Chiesa!”.
Ragazzi, “bruciate” la vita per cause nobili
Una qualità del missionario, dunque, è la “docilità”, dice Francesco. Che conclude con una preghiera: che più dell’“insoddisfazione” che cattura i “nostri giovani di oggi” la voce dello Spirito “li costringa ad andare oltre, a ‘bruciare’ la vita per la cause nobili”:
“Io vorrei dire ai ragazzi e alle ragazze di oggi che non si sentono a proprio agio – ‘ma, non sono tanto felice con questa cultura del consumismo, del narcisismo…’: ‘Ma guardate l’orizzonte! Guardate là, guardate a questi nostri missionari!’. Pregare lo Spirito Santo che li costringa a andare lontano, a ‘bruciare’ la vita. E’ una parola un po’ dura, ma la vita vale la pena viverla. Ma per viverla bene, ‘bruciarla’ nel servizio, nell’annunzio, e andare avanti. E questa è la gioia dell’annuncio del Vangelo”.