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Confessioni di una brontolona

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HBRH/Shutterstock

Meg Hunter-Kilmer - pubblicato il 10/05/16

"Vivo nella negatività, Signore aiutami"
È avvedutezza per l’uomo rimandare lo sdegno ed è sua gloria passar sopra alle offese. —Proverbi 19:11 Fate tutto senza mormorazioni e senza critiche, perché siate irreprensibili e semplici, figli di Dio immacolati in mezzo a una generazione perversa e degenere, nella quale dovete splendere come astri nel mondo. — Filippesi 2:14-15

S. Girolamo è un mio caro amico, e non soltanto perché siamo entrambi ossessionati con la Bibbia. Abbiamo in comune anche alcuni aspetti della personalità, tra cui una particolare propensione ad arrabbiarmi.

È sicuramente incoraggiante guardare i santi che hanno lottato con peccati che sembrano giganteschi in confronto ai miei. San Nicola ad esempio ha tirato un pugno in faccia a un eretico, come sapete. Santa Teresa d’Avila ha urlato contro Dio. E San Colombano una volta si è lasciato andare all’ira a causa di una disputa su un salterio (secondo quanto tradotto da Girolamo) ed era così arrabbiato da iniziare una guerra santa che ha ucciso 3mila persone.

Sicuramente tutto questo mi fa sentire meglio riguardo alla mia inclinazione a urlare alle persone che vagano per gli aeroporti. Dopotutto sono in buona compagnia. Ma non sono le nostre condivise tentazioni ad attirarmi verso questi santi, tantomeno il mio sollievo nel sapere che qualche volta si sono lasciati andare – a volte in modo drammatico. È la testimonianza che è possibile lottare contro i nostri istinti più bassi, è la gioia data dal fatto che la misericordia di Dio è più grande dei nostri peccati, persino quando questi peccati costano la vita a migliaia di persone.

Come Girolamo e molti altri santi collerici, non sono lenta all’ira. Potrei non diventarlo mai, non ho il buon senso suggerito dai Proverbi e sono generalmente troppo concentrata su me stessa da trascurare la più minima delle offese. Ma volendo compiacere le persone, di solito riesco a non iniziare una rissa. Chi mi conosce superficialmente è spesso sorpreso dal fatto che io menzioni la mia collera.

Non i miei amici. Perché sebbene potrebbero non avermi sentita imprecare contro una persona o avermi vista tirare un pugno contro un muro, mi hanno ascoltata brontolare e lasciarmi andare a lamentele. Mi hanno sentita parlare male più e più volte delle persone che, in chiesa, hanno scelto il banco davanti al mio, quando la chiesa era quasi completamente vuota, per chiacchierare per mezz’ora. Sanno che non ho dimenticato i commenti sgradevoli sulla mia persona sentiti dieci ani fa. Mi ascoltano criticare ogni cosa. Ma lo faccio a cuor leggero, in modo canzonatorio e sono attenta a non citare per nome la persona coinvolta. È davvero una cosa sbagliata? Quello che faccio è semplicemente sfogarmi, scherzare o essere umana.

Certo, i santi hanno fatto di peggio, quindi so che c’è ancora speranza per me. Ma serbare rancore e stilare un’enciclopedia delle offese ricevute è scorretto e perverso tanto quanto il comportamento che mi ha offesa. Forse anche di più, considerando ciò che voglio essere. Sono chiamata a brillare e a emanare luce nel mondo, ad essere irreprensibile e innocente. Ma invece vivo nella negatività. Vedo il prossimo come lo zimbello da prendere in giro. Sono molto preoccupata perché spesso perdo la mia stessa dignità.

Il fatto è che la rabbia in sé non è un peccato, ma una sensazione. Il peccato è dato dalle azioni successive, nasce quando ci aggrappiamo a quella rabbia e le permettiamo di formare noi stessi. E non bisogna arrivare alle guerre sante o al ferire i propri avversari, vuol dire anche fare commenti cattivi o rifiutarsi di perdonare. Questo è quello che avviene quando brontolo e faccio ciò che Paolo condanna. Non importa se abbia ragione o meno, se l’altra persona si sia comportata in modo ridicolo o se tutta la situazione è stata ingiusta con me. Se mi lamento con qualcuno che non può sistemare le cose – e in effetti mi limito a lamentarmi, non a cercare consigli – vuol dire che devo portare le mie battaglie al Signore, non su Twitter. Più gli affido i miei brontolii, invece di farli ulteriormente miei, e più riesco a dominare la mia rabbia invece di permettere ad essa di dominare me.

Non devo necessariamente cambiare i peccati verso i quali sono portata, ma non è abbastanza limitarsi ad evitare di lasciarsi andare ai peccati mortali. Devo fuggire da tutti i tipi di peccati, persino quelli veniali. Continuerò quindi a chiedere al Signore di rendermi irreprensibile e innocente, andando di corsa al confessionale quando non lo sono. Perché non sono chiamata a essere mediocremente buona, sono chiamata a essere un’eccellente testimonianza dell’amore di Dio, proprio come ogni cristiano. Il che significa rifiutarsi di permettere al peccato di governare la mia vita, persino nelle piccole cose. Oggi io scelgo la pace, la misericordia e la pazienza. Io scelgo Cristo.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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