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La Chiesa ammette l’aborto nel caso di bambini malformati?

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Toscana Oggi - pubblicato il 09/05/16

Parlando con degli amici ho sentito affermare una cosa che mi sembra incredibile: la Chiesa avrebbe ammesso l’aborto nel caso che la madre aspetti un bambino malformato. Questo sentito dalla bocca di un sacerdote… e in tv! Personalmente non ci posso credere, e penso che questi amici abbiano capito male. Credo che l’aborto resti comunque un omicidio. Mi potete aiutare a fare chiarezza?

Paola Scotti Calcara

Risponde padre Maurizio Faggioni, docente di Teologia morale alla Facoltà teologica dell’Italia centrale.

Non so che cosa abbia detto esattamente il sacerdote cui fa riferimento la Lettrice e non posso, quindi, esprimere alcuna valutazione in proposito, ma, riguardo all’asserzione che «la Chiesa avrebbe ammesso l’aborto nel caso che la madre aspetti un bambino malformato», credo di poter dire con sicurezza che questo non corrisponda a verità.

Papa Francesco in più occasioni ha parlato dell’aborto in termini netti e inequivocabili, in piena sintonia con tutto il Magistero della Chiesa. Basti ricordare alcune parole appassionate di Evangelii gaudium in cui difende la dignità e il diritto ad esistere dei nascituri: «Tra questi deboli di cui la Chiesa vuole prendersi cura con predilezione, ci sono anche i bambini nascituri, che sono i più indifesi e innocenti di tutti, ai quali oggi si vuole negare la dignità umana al fine di poterne fare quello che si vuole, togliendo loro la vita e promuovendo legislazioni in modo che nessuno possa impedirlo. Frequentemente, per ridicolizzare allegramente la difesa che la Chiesa fa delle vite dei nascituri, si fa in modo di presentare la sua posizione come qualcosa di ideologico, oscurantista e conservatore. Eppure questa difesa della vita nascente è intimamente legata alla difesa di qualsiasi diritto umano. Suppone la convinzione che un essere umano è sempre sacro e inviolabile, in qualunque situazione e in ogni fase del suo sviluppo» (Evangelii gaudium, 213).

Riguardo, in particolare, all’aborto determinato dalla scoperta di malformazioni fetali, ricordo che 2-3 nati su 100 in Italia presentano anomalie maggiori (ad esempio il labbro leporino con o senza palatoschisi che è una discontinuità nel palato, o la mancanza di un arto o problemi della chiusura tubo neurale, come la spina bifida). Considerando, oltre alle malformazioni più importanti, anche le sindromi genetiche, le cromosomopatie (come la sindrome di Down), le malattie metaboliche e quelle da infezione contratta in gravidanza (come, un tempo, la rosolia) si giunge ad un 4-5% di anomalie congenite.

Molte di queste anomalie, attraverso opportuni esami, possono essere sospettate o diagnosticate entro il primo trimestre di gravidanza, mentre per altre si devono aspettare fasi più avanzate. Saranno bambini che nasceranno con situazioni di svantaggio fisico e mentale più o meno grave e che, a motivo della loro fragilità, dovrebbero essere accolti con tanto più amore e cura da parte di tutti.

Una malformazione o un altro handicap congenito non tolgono loro dignità e diritti, a meno che non basiamo il diritto alla vita e al rispetto sulle prestazioni e la produttività potenziale di una persona. Certamente la scoperta di un difetto nello sviluppo psicofisico nel proprio bambino può gettare una coppia di genitori nella angoscia più grande, in previsione sia dei disagi e delle sofferenze causate a lui dalla sua patologia, sia delle difficoltà che incontrerà per trovare un posto in società come le nostre, fortemente competitive e ostili verso i perdenti.

La «cultura dello scarto» – per usare una espressione del Santo Padre – li emargina fin dall’inizio e l’aborto eugenetico è lo strumento legale per eliminare il problema alla radice, in modo precoce, silenzioso e pulito. L’ipocrisia dei proclami sulla accoglienza e la stima per le persone Down, per esempio, è sbugiardata dal dato che da noi  l’80% dei bimbi Down vengono abortiti e che alcuni esami mirati vengono messi in atto in modo sistematico per individuare proprio questo difetto cromosomico. Accolti a parole, braccati ed eliminati nei fatti.

Il problema non sono le diagnosi prenatali in se stesse: conoscere per tempo lo stato di salute di un nascituro permette di predisporre, quando possibile e indicato, terapie adeguate, anche prenatali, o, comunque di preparasi psicologicamente ad una accoglienza che può essere delicata e persino combattuta. Il problema è la mentalità efficientista e discriminatoria che si è insinuata nelle società occidentali, nel mondo della medicina e, infine, nelle famiglie per cui una diagnosi indesiderata diventa con facilità l’anticamera dell’aborto.

Nell’antilingua che nasconde la verità delle cose, questi aborti vengono spesso definiti terapeutici, ma è evidente che non sono per niente terapeutici perché non curano nessuno ed eliminano, invece, creature deboli e prive di difese. Sono aborti eugenetici, destinati a migliorare le qualità psicofisiche della popolazione e a soddisfare l’attesa di avere un figlio perfetto: eu, infatti, significa buono e ghenos significa stirpe.

La legge italiana ammette l’aborto eugenetico nel primo trimestre citando esplicitamente all’art. 4, fra i motivi che autorizzano l’aborto, «previsioni di anomalie o malformazioni del concepito». Dopo il primo trimestre, la legge non permette l’aborto a motivo di patologie del feto, con l’eccezione – un po’ ambigua – di rilevanti anomalie o malformazioni del nascituro che determinino un grave pericolo per la salute fisica o psichica della donna. La illiceità dell’aborto eugenetico dopo il 90 giorno è stata confermata dalla Cassazione con una sentenza del luglio 2004 e ribadita con una sentenza del luglio 2006.  Queste disposizioni se, da una parte, mostrano un barlume di rispetto per la vita nascente, dall’altro mettono a nudo l’ingiustizia dell’aborto eugenetico anche nel primo trimestre: che differenza c’è, nel diritto al rispetto e alla vita, fra un feto Down di due mesi e mezzo e un feto Down di  6 mesi o un neonato Down di una settimana?

Papa Francesco, in occasione dell’anno santo della misericordia, ha voluto concedere a tutti i sacerdoti, senza distinzioni, la facoltà di sciogliere dalla scomunica e assolvere le donne che hanno abortito e coloro che hanno cooperato all’aborto. Questo gesto misericordioso è una mano tesa a chi ha sbagliato e un invito alla riflessione e al pentimento. In questa occasione il Papa ha definito l’aborto un «dramma» e «uno dei gravi problemi del nostro tempo», «vissuto da alcuni con una consapevolezza superficiale, quasi non rendendosi conto del gravissimo male che un simile atto comporta. Molti altri, invece, pur vivendo questo momento come una sconfitta, ritengono di non avere altra strada da percorrere».

Riprendendo alcune espressioni di san Giovanni Paolo II in Evangelium vitae, papa Francesco afferma: «Ciò che è avvenuto è profondamente ingiusto; eppure, solo il comprenderlo nella sua verità può consentire di non perdere la speranza». E rivolgendosi ai sacerdoti, conclude: «I sacerdoti si preparino a questo grande compito sapendo coniugare parole di genuina accoglienza con una riflessione che aiuti a comprendere il peccato commesso e indicare un percorso di conversione autentica per giungere a cogliere il vero e generoso perdono del Padre che tutto rinnova con la Sua presenza».

Se questo giustifica l’aborto, sia pure di feti malformati, lo lascio giudicare alla gentile Lettrice.

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