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Cosa pensano i Papi dell’Unione Europea?

Pope Francis – European Parliament

© PATRICK HERTZOG / POOL / AFP

Pope Francis arrives to deliver a speech at the European Parliament, on November 25, 2014, during a short visit at the European Parliament and the Council of Europe in Strasbourg, eastern France. Pope Francis began a lightning visit to European institutions in Strasbourg where he was expected to call for a "tired" Europe hit by economic crises and surging nationalism to reclaim a leadership role. AFP PHOTO / POOL / PATRICK HERTZOG

Lucandrea Massaro - Aleteia - pubblicato il 09/05/16

Oggi 9 maggio è la festa dell'Europa una buona occasione per farsi una idea di cosa ne pensi la Chiesa

Pochi giorni fa Papa Francesco ha ricevuto un importante riconoscimento, il “Premio Carlo Magno”, conferito annualmente dal Parlamento Europeo e consegnato al Pontefice dal Presidente della Commissione Europea Jean-Claude Juncker.

Nel discorso di ringraziamento il Papa è stato molto duro con l’Unione esplicitando in molti modi una posizione che fu anche quella dei suoi predecessori più diretti: Benedetto XVI e Giovanni Paolo II. Oggi – 9 maggio – è la “festa dell’Europa”, in ricordo della Dichiarazione Schumann.

COSA HA DETTO IL PAPA?

Francesco ha ricordato i padri fondatori del progetto europeo e di come dopo la Seconda Guerra mondiale essi «gettarono le fondamenta di un baluardo di pace, di un edificio» costruito da Stati uniti non «per imposizione, ma per la libera scelta del bene comune». Una «famiglia di popoli» diventata «più ampia», che però «in tempi recenti sembra sentire meno proprie le mura della casa comune, talvolta innalzate scostandosi dall’illuminato progetto architettato dai padri». «Siamo tentati – osserva il Papa – di cedere ai nostri egoismi, guardando al proprio utile e pensando di costruire recinti particolari». È un’Europa «che si va “trincerando”». «Che cosa ti è successo, Europa umanistica, paladina dei diritti dell’uomo, della democrazia e della libertà?», si domanda Francesco.

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«Con la mente e con il cuore, con speranza e senza vane nostalgie, come un figlio che ritrova nella madre Europa le sue radici di vita e di fede sogno un nuovo umanesimo europeo». Il Papa sogna «un’Europa che si prende cura del bambino, che soccorre come un fratello il povero e chi arriva in cerca di accoglienza perché non ha più nulla e chiede riparo». Un’Europa che «ascolta e valorizza le persone malate e anziane, perché non siano ridotte a improduttivi oggetti di scarto». Un’Europa «in cui essere migrante non sia delitto bensì un invito ad un maggior impegno con la dignità di tutto l’essere umano».

Molti i richiami ai grandi pensatori dell’Europa uniti, tutti – tra l’altro – figli del popolarismo come De Gasperi, Adenauer e Schumann.

COSA PENSA BENEDETTO XVI DELL’EUROPA?

Ratzinger è tornato più volte, nella sua veste di professore, di teologo, di Prefetto e infine di Pontefice sulla questione dell’identità Europea, sempre più percepita – come fa notare Bergoglio – come confusa, smarrita:

E’ evidente che l’Europa ha anche oggi nel mondo un grande peso sia economico, sia culturale e intellettuale. E, in corrispondenza a questo peso, ha una grande responsabilità. Ma l’Europa deve, […] trovare ancora la sua piena identità per poter parlare e agire secondo la sua responsabilità. Il problema oggi non sono più, secondo me, le differenze nazionali. Si tratta di diversità che non sono più divisioni, grazie a Dio. Le nazioni rimangono, e nella loro diversità culturale, umana, temperamentale, sono una ricchezza che si completa e dà nascita ad una grande sinfonia di culture.Sono fondamentalmente una cultura comune. Il problema dell’Europa di trovare la sua identità mi sembra consistere nel fatto che in Europa oggi abbiamo due anime: un’anima è una ragione astratta, anti-storica, che intende dominare tutto perché si sente sopra tutte le culture. Una ragione finalmente arrivata a se stessa che intende emanciparsi da tutte le tradizioni e i valori culturali in favore di un’astratta razionalità. La prima sentenza di Strasburgo sul Crocifisso era un esempio di questa ragione astratta che vuole emanciparsi da tutte le tradizioni, dalla storia stessa. Ma così non si può vivere. Per di più, anche la “ragione pura” è condizionata da una determinata situazione storica, e solo in questo senso può esistere. L’altra anima è quella che possiamo chiamare cristiana, che si apre a tutto quello che è ragionevole, che ha essa stessa creato l’audacia della ragione e la libertà di una ragione critica, ma rimane ancorata alle radici che hanno dato origine a questa Europa, che l’hanno costruita nei grandi valori, nelle grandi intuizioni, nella visione della fede cristiana.

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Il Papa emerito proseguiva poi:

[…], soprattutto nel dialogo ecumenico tra Chiesa cattolica, ortodossa, protestante, quest’anima deve trovare una comune espressione e deve poi incontrarsi con questa ragione astratta, cioè accettare e conservare la libertà critica della ragione rispetto a tutto quello che può fare e ha fatto, ma praticarla, concretizzarla nel fondamento, nella coesione con i grandi valori che ci ha dato il cristianesimo. Solo in questa sintesi l’Europa può avere il suo peso nel dialogo interculturale dell’umanità di oggi e di domani, perché una ragione che si è emancipata da tutte le culture non può entrare in un dialogo interculturale. Solo una ragione che ha un’identità storica e morale può anche parlare con gli altri, cercare una interculturalità nella quale tutti possono entrare e trovare una unità fondamentale dei valori che possono aprire le strade al futuro, a un nuovo umanesimo, che deve essere il nostro scopo. E per noi questo umanesimo cresce proprio dalla grande idea dell’uomo a immagine e somiglianza di Dio (Papaboys, 25 novembre 2014)

In occasione del Congresso dell’episcopato europeo nel marzo del 2007, ammoniva:

Da tutto ciò emerge chiaramente che non si può pensare di edificare un’autentica “casa comune” europea trascurando l’identità propria dei popoli di questo nostro Continente. Si tratta infatti di un’identità storica, culturale e morale, prima ancora che geografica, economica o politica; un’identità costituita da un insieme di valori universali, che il Cristianesimo ha contribuito a forgiare, acquisendo così un ruolo non soltanto storico, ma fondativo nei confronti dell’Europa. Tali valori, che costituiscono l’anima del Continente, devono restare nell’Europa del terzo millennio come “fermento” di civiltà. Se infatti essi dovessero venir meno, come potrebbe il “vecchio” Continente continuare a svolgere la funzione di “lievito” per il mondo intero? Se, in occasione del 50.mo dei Trattati di Roma, i Governi dell’Unione desiderano “avvicinarsi” ai loro cittadini, come potrebbero escludere un elemento essenziale dell’identità europea qual è il Cristianesimo, in cui una vasta maggioranza di loro continua ad identificarsi? Non è motivo di sorpresa che l’Europa odierna, mentre ambisce di porsi come una comunità di valori, sembri sempre più spesso contestare che ci siano valori universali ed assoluti? Questa singolare forma di “apostasia” da se stessa, prima ancora che da Dio, non la induce forse a dubitare della sua stessa identità? Si finisce in questo modo per diffondere la convinzione che la “ponderazione dei beni” sia l’unica via per il discernimento morale e che il bene comune sia sinonimo di compromesso. In realtà, se il compromesso può costituire un legittimo bilanciamento di interessi particolari diversi, si trasforma in male comune ogni qual volta comporti accordi lesivi della natura dell’uomo.

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E GIOVANNI PAOLO II?

Anche il Papa polacco aveva ben chiara la sfida rappresentata dall’Unione Europea, una sfida positiva che metteva fine alla guerra nel continente che aveva generato due guerre mondiali in appena 30 anni che aveva partorito prima il nazifascismo e poi il comunismo, due piaghe che il Wojtyla conosceva bene avendole subite entrambe nella sua amata Polonia, tuttavia – anche lui – ne temeva lo sbandamento morale, l’assenza di una ricerca fruttuosa del bene, ma solo del profitto e di una visione utilitaristica dell’uomo:

«È necessario stare in guardia da una visione del Continente che ne consideri soltanto gli aspetti economici e politici o che indulga in modo acritico a modelli di vita ispirati ad un consumismo indifferente ai valori dello spirito. Se si vuole dare durevole stabilità alla nuova unità europea, è necessario impegnarsi perché essa poggi su quei fondamenti etici che ne furono un tempo alla base, facendo al tempo stesso spazio alla ricchezza e alla diversità delle culture e delle tradizioni che caratterizzano le singole nazioni. Vorrei anche in questo nobile Consesso rinnovare l’appello che in questi anni ho rivolto ai vari Popoli del Continente: “Europa, all’inizio di un nuovo millennio, apri ancora le tue porte a Cristo!”» (discorso al Parlamento della Repubblica Italiana, 14 novembre 2002).

Oltre ai rischi, il Santo vedeva anche le possibilità e le responsabilità dell’Europa per il mondo

Concludendo, enuncerò tre campi in cui mi sembra che l’Europa unita di domani, aperta verso l’Est del continente, generosa verso l’altro emisfero, dovrebbe riprendere un ruolo di faro nella civilizzazione mondiale: – Innanzitutto, riconciliare l’uomo con la creazione, vegliando sulla preservazione dell’integrità della natura, della sua fauna e della sua flora, della sua aria e dei suoi fiumi, dei suoi sottili equilibri, delle sue risorse limitate, della sua beltà che loda la gloria del Creatore. – Poi, riconciliare l’uomo con i suoi simili, accettandosi gli uni gli altri quali europei di diverse tradizioni culturali o correnti di pensiero, accogliendo gli stranieri e i rifugiati, aprendosi alle ricchezze spirituali dei popoli degli altri continenti. – Infine, riconciliare l’uomo con se stesso: sì, lavorare per la ricostruzione di una visione integrale e completa dell’uomo e del mondo, contro le culture del sospetto e della disumanizzazione, una visione in cui la scienza, la capacità tecnica e l’arte non escludono ma suscitano la fede in Dio. (Discorso di Giovanni Paolo II al Parlamento Europeo, 11 ottobre 1998)

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