Aleteia logoAleteia logoAleteia
venerdì 19 Aprile |
Aleteia logo
Stile di vita
separateurCreated with Sketch.

Sapevate che esiste un’arte marziale tipo aikido ma cristiana?

systema

Global Systema

Louis Charles - pubblicato il 28/04/16

Amare i nemici? Non è facile quando il tuo nemico ti prende a calci!

Il systema(“sistema” in russo) è un’arte marziale inventata dai militari russi la cui base risiede nell’economia dei movimenti e nella calma dello spirito anche durante il confronto. In questo senso, presenta sorprendenti similitudini con altre arti marziali meno popolari – e anche poco valorizzate – tra gli esperti in materia di sicurezza, come l’aikido, il tai chi chuan e in generale la famiglia delle cosiddette arti marziali “interne”.

Tutto si basa sull’allenamento e sul controllo della respirazione. La respirazione è quella che dovrebbe aiutare a dissipare il dolore, sopportare i colpi, sfuggire all’“effetto tunnel” per restare pienamente coscienti di ciò che ci circonda e continuare ad avere una buona disposizione psicologica e fisiologica per poter resistere. Il systema non cerca di controllare il corso caotico del combattimento, ma di navigare attraverso le energie che si dispiegano in modo anarchico, in modo simile a un aliante o a un dirigibile che afferra le correnti d’aria ascendenti e gioca con loro per andare dove vuole. L’uso adeguato della respirazione e la preferenza che si accorda allo schivare gli attacchi frontali non rappresentano in sé una novità. Niente di nuovo sotto il sole delle arti marziali, e niente che distingua il systema da altre arti orientali, ma il fatto è che l’originalità del systema non risiede in questo.

La vera differenza è che, contrariamente ad altre arti marziali, non c’è quasi nessuna tecnica da imparare: è questo che lo rende interessante! Non impariamo alcuna tecnica specifica, ma i principi collegati al combattimento che sviluppano la nostra capacità di improvvisazione in qualsiasi circostanza. I colpi sono relativamente liberi e non ci sono atteggiamenti né sequenze predefiniti. La velocità dell’esercizio varia in funzione del livello dei combattenti. A poco a poco si scompongono gli attacchi reali e poi aumenta la velocità di esecuzione.

Accettare la realtà di se stessi per (ri)collegarsi alla realtà

Nella maggior parte delle arti marziali si cerca di evitare i colpi, schivandoli e bloccandoli. Partendo dal principio che fa meno male dare che ricevere, si cerca di dare colpi e di non riceverli. Raramente si insegna però a gestire i colpi che si ricevono.

Uno dei metodi è sopportare il dolore, indurire deliberatamente il corpo e rafforzare certe parti, come nella boxe thailandese o nel karate kyokushinkai. Al di là del fatto che queste pratiche sono distruttive e forse e soprattutto illusorie, proteggono solo dai colpi che si sono anticipati. Solo alcune parti del corpo sono protette. È il mito dell’elisir dell’invincibilità. La realtà, però, è che tutti siamo vulnerabili, e che l’elisir dell’invincibilità non esiste.

Ciò che è implicito in questo mito è che ci sono scuole di arti marziali che prosperano. In un certo senso è piuttosto comprensibile: qualsiasi essere umano normale ha paura dei colpi e prova un miscuglio di collera e umiliazione quando li riceve. Pretendere di essere capaci di schivarli, tuttavia, non è altro che un’illusione per mascherare la nostra paura, una menzogna che ci raccontiamo per tranquillizzarci. La realtà è molto più prosaica.

La triste realtà è che anche il miglior lottatore del mondo riceve dei colpi durante un combattimento. Nessuno può evitare tutti gli attacchi, soprattutto quando viene attaccato da vari assalitori. Sicuramente Bruce Lee era un genio delle arti marziali, e i combattimenti che esibiva nei suoi film non hanno eguali neanche oggi, ma si trattava di lotte coreografate e messe in scena, per il cinema, non di combattimenti reali! La maggior parte delle arti marziali mantiene tuttavia il silenzio su questa realtà.

La particolarità del systema è iniziare, paradossalmente, dall’imparare a ricevere i colpi. L’idea è partire dalla realtà, e la realtà è che essere capaci di addomesticare il dolore e la paura è la chiave di tutto. Non si tratta di indurire le membra, di imparare a ricevere in modo passivo e stoico o di far retrocedere ulteriormente i limiti del dolore. Non si tratta di cercare i colpi nè di sfuggirli, ma di imparare a riceverli e ad accompagnarli gentilmente all’uscita.

Per questo, dobbiamo innanzitutto accettare di guardare in faccia la realtà, e quindi di guardare noi stessi negli occhi. Bisogna prendere coscienza dell’esistenza dei blocchi psicologici, visto che sono all’origine dei blocchi fisici e della rigidità che ci rende ancora più vulnerabili in una situazione di aggressione.

Addomesticare il dolore e la paura del dolore

L’unico modo per non restare paralizzati dalla paura quando si viene colpiti e di ammortizzare così il potenziale della forza è imparare a respirare costantemente, soprattutto durante l’azione. Nel turbinio infernale in cui la paura ci trascina verso una tensione che a sua volta rafforza la paura, la respirazione è quella che può spezzare il circolo vizioso. La respirazione è di fatto la risorsa naturale più utile e più facile da mobilitare.

Per questo il systema comporta una gran quantità di esercizi di ricezione dei colpi usando la respirazione. La questione non è rafforzarsi, ovvero adattare il corpo e la mente per far fronte agli orrori della guerra, ma ricevere i colpi assorbendoli con un movimento circolare per farli uscire con l’espirazione. L’inspirazione permette di ricevere la violenza di un colpo, l’espirazione di espellere il dolore. L’alternanza delle due serve per far uscire emozioni come la paura, l’ira e l’autocompassione.

Io stesso l’ho sperimentato personalmente. È stato durante un esercizio di tre minuti che consisteva nel respirare con calma mentre si assorbivano i colpi. Prima di iniziare avevo paura, ma in ciò che ho sperimentato mentre mi concentravo solo sulla regolarità della respirazione non c’era traccia di dolore: se n’era andato.

Che sia stata una causa o una conseguenza, la mia mente era troppo occupata per far sì che la mia immaginazione anticipasse i colpi o conservasse la traccia del dolore nella memoria una volta che era già stato eliminato. Sono riuscito a verificare che l’immaginazione crea la paura, che la paura genera la rigidità e che la rigidità amplifica in tal modo la violenza dell’impatto che in un certo senso è questa a creare il dolore. La paura crea il dolore nella misura in cui trasforma in dolore quello che è iniziato come una corrente di energia inaspettata.

Questa presa di coscienza, però, è solo quella di un principiante. Sono ancora incapace di mantenere questo atteggiamento interiore in qualsiasi circostanza, soprattutto in caso di aggressione, ma ora so per esperienza che è possibile. Meglio! Dopo quei tre minuti il mio corpo aveva dei segni, ma sperimentava uno stato di benessere incongruente e inaspettato, come se fosse appena uscito da una sessione di massaggi.

Ecco l’altra esperienza fondamentale collegata al systema: con una buona disposizione interiore, la frontiera tra il dolore e il piacere sfuma. Scopriamo questo incredibile paradosso, quello dell’esistenza di alcuni colpi “benevoli” che rilassano anziché creare tensione. È il principio dei massaggi russi che pratichiamo nel systema. Alcuni colpi si danno per sopprimere o ridurre quelle tensioni. Questi colpi, molto specifici, rianimano la persona che li riceve, aumentano la circolazione sanguigna, apportano una sensazione di calore ed eliminano le tensioni.

Il systema non consiste solo nell’opporsi alla forza usando la flessibilità come nel judo o nell’aikido, ma nell’essere liberi nel proprio corpo e nella mente per adattarsi in tempo reale alle situazioni inaspettate, imprevedibili e mutevoli. È questo il motivo per il quale il systema non pretende di insegnare alcuna tecnica, visto che qualsiasi repertorio di tecniche è necessariamente limitato. Conterrebbe un numero finito di soluzioni, mentre la varietà dei problemi potenziali è infinita.

Dotandosi di un arsenale di tecniche, ci si impone un contesto tecnico, ovvero ci si chiude in un quadro al di fuori del quale ci si troverebbe sprovvisti quando la situazione non è quella adeguata, soprattutto se si è colti di sorpresa e si rimane paralizzati dallo stress.

Per natura, però, la vita e gli eventi non si sviluppano come avevamo previsto. Come diceva John Lennon, “la vita è quello che succede mentre sei impegnato a fare altri progetti”. Think out of the box è un consiglio eccellente, ma la possibilità di avere successo in questo è molto scarsa se la lucidità è offuscata e la capacità di iniziativa ostacolata. Al contrario, il systema cerca di metterci nella migliore disposizione possibile per poter improvvisare partendo dalla realtà concreta che ci viene imposta.

Liberi dalla paura

In effetti, la condizione di relax – e per definizione non si è rilassati quando si viene aggrediti – è quella che permette la reazione, visto che paradossalmente l’aggressore stesso offre la soluzione al suo attacco. Di contro, ogni proiezione, ogni anticipazione, ogni previsione ci fa abbandonare il momento presente. Il cervello analitico riprende il controllo, ma quando si vede sopraffatto ci priva di ogni capacità di improvvisazione. Il pensiero analitico si basa su esperienze già note e trae conclusioni standardizzate che bloccano la creatività.

La soluzione è nella recettività che permette di percepire l’interazione delle forze presenti: quelle del nostro corpo, ma soprattutto quelle del corpo del nostro aggressore, le zone in cui è bloccato e i suoi squilibri. Questa recettività non deve confondersi con la passività. Non si subisce negli eventi, al contrario, prendiamo l’iniziativa spostandoci in modo preventivo – senza cercare di fuggire – e sempre respirando regolarmente per mantenere i muscoli e il cervello ventilati. Solo in queste condizioni, e con allenamento – perché per mostrare questa recettività sul momento dev’essere stata sviluppata in precedenza –, la soluzione all’aggressione arriverà in modo naturale.

Il motivo per cui il systema non propone alcun allenamento fisso o combinazioni di movimenti è che un’aggressione – come qualsiasi tipo di catastrofe o crisi sistemica – è imprevedibile. Il systema non insegna posizioni di combattimento, ma a combattere in qualsiasi posizione, permette di colpire da angolazioni strane, a sorridere nel combattimento anziché adottare un’espressione feroce e contratta.

La pedagogia degli allenamenti si basa interamente sulla respirazione, sul rilassamento e sulla decelerazione dei movimenti anziché sulla velocità, visto che la lentezza è fondamentale per progredire. Solo controllando il flusso della battaglia a lenta velocità si può risvegliare la sensibilità e la coscienza di ciò che sta accadendo davvero al momento del confronto. Solo la lentezza permette di percepire il movimento, la distanza e le varie opzioni che non sono evidenti alla vista. La sfida è sviluppare un’intelligenza situazionale – ovvero l’intuizione – anziché cercare il rendimento immediato. Questo si manifesta grazie a un allenamento, a un lavoro effettuato a una velocità ridotta.

È un modo di abbandonare la zavorra che non pretende sistematicamente di risparmiarsi il dolore, ma di ridurne considerevolmente le conseguenze, l’intensità e la portata. È un modo di dare il benvenuto al dolore per espellerlo meglio, di imparare a gestire il dolore e di non temere di provarlo; così si preservano l’integrità emotiva e l’autostima, sia nella sconfitta che nella vittoria.

Il progresso nel systema dipende direttamente dalla nostra libertà interiore. Nel systema si progredisce man mano che si sviluppa la capacità di comprendere e di prendere rapidamente le decisioni. Per questo dobbiamo prima disfarci dello stress e dell’eccesso di tensioni, per sentirci a nostro agio e imparare così a respirare correttamente. Per riuscirci dobbiamo esserci liberati previamente di tutti gli ostacoli che ci impediscono di trovare la connessione con il nostro compagno: le nostre paure, i dubbi, le tensioni, le certezze, i pregiudizi, il nostro ego, i nostri paragoni, il nostro perfezionismo o la nostra voglia di vincere.

Questa libertà interiore deve tuttavia passare prima per una conversione del cuore.

Dalla conversione del cuore alla connessione con l’aggressore

Per acquisire questa libertà interiore bisogna smettere di vedere il colpo come un’aggressione – anche se si tratta oggettivamente di questo – e vederlo come un trasferimento di energia che ci ha raggiunti per errore, e restituire al mittente. Ciò vuol dire che chi attacca deve finire con quello che ci ha dato, come una palla di gomma lanciata con tutta la forza contro una parete solida e che si scaglia immediatamente contro chi l’ha lanciata senza che questi possa evitarlo. In modo simile, il nostro corpo può restituire l’energia, a condizione di permettere che circoli fino a tornare all’aggressore secondo certe modalità che gli risulteranno molto difficili, se non impossibili, da evitare.

Per riuscirci, però, bisogna prima cambiare la disposizione interiore, cambiare il punto di vista che abbiamo su noi stessi e sugli altri, ovvero convertire il cuore.

La paura produce rigidità, la fiducia fluidità. Spesso ci sono persone che ubriache sono uscite relativamente indenni da una rissa perché non avevano abbastanza paura da farsi male lottando contro l’energia cinetica; le costole flessibili assorbono l’impatto dei colpi, mentre se i muscoli sono tesi le costole si spezzano nell’impatto e possono provocare una perforazione del polmone.

La verità è che spesso ci facciamo male perché vogliamo controllare tutto in modo volontario e illusorio, anziché approfittare dei vantaggi delle forze presenti. La stessa onda che travolge uno yacht e lo inonda permette a un surfista di avanzare con il minimo sforzo e il massimo relax. Un corpo flessibile può assorbire uno stress molto superiore di un corpo rigido per la paura. Raccogliamo quello che seminiamo, e se seminiamo paura raccoglieremo dolore.

Per questo dobbiamo prima rinunciare a vedere il mondo in termini di vittorie e sconfitte, guardandolo come una circolazione di flussi di energia, spesso mal orientati. Bisogna rinunciare a vedere il mondo in termini di resa e vederlo in termini di relazioni.

L’obiettivo è riuscire a considerare l’aggressione fisica come consideriamo un incidente di traffico. Faremo tutto il possibile per evitarlo, per anticiparlo, per sterzare al momento giusto e per frenare in tempo. Non soffriremo, ma adotteremo misure perché avremo sviluppato un’intelligenza adattata a questo genere di situazioni – almeno così dimostra la patente – e cercheremo di giocare con le varie forze presenti, ma non prenderemo mai un incidente come un affronto personale, come uno sminuire il nostro valore o un attentato alla nostra dignità o al nostro ego.

Se c’è vittoria non sarà sinonimo di umiliazione. La sottomissione e la fuga comportano necessariamente una degradazione dell’autostima, ma noi saremo fuggiti da quella sensazione, perché qualunque sia il risultato non soffriremo, non ci sentiremo paralizzati dalla paura o dal dolore. Anche avendo perso a livello fisico ne usciremo vincitori emotivamente, visto che saremo sfuggiti alla trappola della rivalità mimetica, come dice il filosofo René Girard.

Non avremo considerato lo scontro come una competizione né come un gioco o una sconfitta, e per questo stesso motivo non affonderemo nell’autocritica o in ricordi traumatici, perché in precedenza avremo rinunciato alla logica dell’onore e della reso. In caso di vittoria avremo conservato l’integrità fisica, ma soprattutto quella emotiva, perché non avremo cercato di trarre la forza e l’energia dalla paura e dall’ira.

La logica del systema è una logica cristiana

Evidentemente per praticare il systema non è necessario credere in Dio, né credere nel fatto che Dio abbia inviato suo Figlio a redimere i nostri peccati e che poi sia morto e sia risuscitato il terzo giorno, come dicono le Scritture. All’iscrizione non è richiesto alcun certificato di Battesimo.

Se diamo per valido il fatto di ammettere che la fede cristiana non è principalmente un insieme di dogmi o un gioco dell’oca dei sacramenti (“Io sono arrivato fino alla Cresima”) ma un movimento di conversione del cuore e un pellegrinaggio terreno attraverso il quale ci trasformiamo progressivamente fino ad essere in condizioni di contrare quell’Altro che ci aspetta alla fine del cammino, allora credo che possiamo affermare con tranquillità che la logica del systema è una logica profondamente cristiana.

È chiaro che il fatto che il suo Paese di nascita sia la Russia, ortodossa per eccellenza, e non un Paese asiatico di cultura buddista non è una coincidenza. Sicuramente il systema si basa sulla respirazione, la rinuncia alla volontà di potere, all’orgoglio e all’illusione di poter sfuggire alla sofferenza. Quello che caratterizza il systema è il principio di connessione, o l’opzione di non spezzare la relazione con gli altri con il pretesto che ci aggrediscono. Il principio di connessione è la carità in azione.

È una sorta di oscillazione interna che entra in sintonia con l’aggressore. Un’oscillazione che si ottiene dopo essere stati emancipati dalla paura, dalla paura del dolore e da quella di perdere l’onore. È l’unico prezzo da pagare per entrare in connessione con il prossimo. Da quel momento diventiamo un’ombra e coordiniamo i movimenti con gli altri, di modo che nella comunicazione di quel duo entrambe le parti ricevano lo stesso flusso di energia che hanno inviato, attraverso movimenti fluidi e armoniosi. Nessuna situazione provocherà vergogna. Non ci saranno più sorprese, saremo solo nel posto giusto al momento giusto. I colpi liberati sono pesanti, profondi e rilassati, i pugni si posano in modo naturale sulle zone di tensione dell’avversario.

Stabilire un contatto, tuttavia, presuppone di lasciare le zavorre, lasciarsi andare, lasciare l’iniziativa all’altro, con il rischio, ovviamente, di permettere che l’altro ci sorprenda. Questo implica il fatto di armonizzare la nostra attenzione per comprendere meglio le intenzioni e tenere le distanze di sicurezza per essere realmente presenti. Un po’ come quando si dice che bisogna tenere vicini gli amici ma ancor più i nemici.

È un modo di guardare al mondo con benevolenza che si basa sulla fiducia. Non proiettiamo le nostre paure sul mondo esterno. Non si tratta però di essere ingenui, al contrario, perché è un modo di stare nel mondo, di accettarlo com’è – e il mondo è violento – ma senza approvare la violenza. È un modo di riconciliarsi con il mondo e di amarlo senza difenderlo né criticarlo. Stabilire la connessione è accettare il rischio di quella stessa relazione con qualcuno che a priori non ci augura niente di buono.

Ma in fondo non è amare anche i nostri nemici?

NB: Tutti coloro che provano curiosità o scetticismo – e molto probabilmente entrambi allo stesso tempo – possono informarsi sul sito web www.globalsystema.fr. Le dimostrazioni di systema che si vedono su Internet spesso lasciano però molti dubbi, perché ciò che accade è in gran parte impercettibile alla vista, cosa che in fondo non sorprende se ammettiamo che l’essenziale è invisibile agli occhi. Si tratta di interazioni che passano per molti segni sensoriali al di là dell’apparenza esteriore. Quanto alla vita interiore, è sicuramente un’esperienza di cui tener conto. Raccomando un corso di prova, senza impegno, per avere un’impressione personale. Come ha detto un celebre rabbino palestinese, “Venite e vedrete”.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

Tags:
rene girardrussia cristiana
Top 10
See More