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Sciiti e cattolici possono vivere uniti? Ecco come

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Vatican Insider - pubblicato il 26/04/16

Storie di convivenza tra cristiani e musulmani...

di Cristina Uguccioni

Questa storia ha inizio nel 1997 quando il giovane iraniano Muhammad Ali Shomali, musulmano sciita, che risiede a Manchester per il dottorato in Filosofia, si scopre desideroso di conoscere meglio il cristianesimo e decide di rivolgersi a Timothy Wright, monaco benedettino. Questi gli suggerisce di trascorrere una giornata nell’abbazia di Ampleforth di cui è abate. Muhammad vi si reca ripetutamente nel corso dei mesi: nasce una solida amicizia e padre Timothy gli propone, una volta conclusi gli studi, di tenere alcune conferenze sull’islam ai monaci della comunità.

Nel 2002, tornato in Iran, a Qom, Shomali invita l’amico. I due, insieme, decidono di organizzare una settimana di dialogo e riflessione coinvolgendo monaci benedettini e docenti sciiti di Qom. Il primo appuntamento è in Gran Bretagna, nel 2003. Negli anni successivi queste settimane di dialogo si ripetono anche in altre sedi (Qom, Assisi) aprendosi a monaci cattolici di altri ordini. Rimane invariata la formula: giornate di studio su un tema specifico indagato secondo diverse prospettive e affrontato attraverso relazioni parallele, ma anche momenti conviviali, visite turistiche e una conferenza finale, aperta al pubblico e agli studenti.

Dal 9 al 15 maggio prossimo il gruppo interreligioso – costituito da 12 sciiti, fra cui quattro donne, e 12 monaci e monache originari di diversi paesi – si incontrerà  a Qom. Nel corso degli anni sono stati affrontati diversi argomenti (per esempio: la Parola di Dio, il concetto di amicizia, la nozione di comunità): in maggio oggetto del dialogo sarà «la dignità dell’essere umano».

Il dialogo come strumento e fine
«L’obiettivo principale di queste settimane», spiega Shomali, che oggi ha 50 anni e dirige il Centro islamico di Inghilterra, il Seminario islamico di Londra, e l’Istituto internazionale di Studi islamici di Qom, «è il dialogo stesso, ossia la possibilità di incontrarsi, vivere insieme e confrontarsi in tutta libertà. Non è solo uno strumento, il dialogo è un fine per persone che credono in Dio, è un segno d’amore per Lui, per tutti i Suoi figli e per l’eredità ricevuta da Abramo. Nella nostra epoca, segnata da tensioni e contrapposizioni, il legame che ci unisce offre alle persone una buona notizia: si può appartenere a religioni diverse ed essere fratelli, rispettarsi e volersi bene. In un mondo secolarizzato, che giudica irrilevante la fede e non ne ha stima, io apprezzo il profondo senso di amore verso Dio dei monaci, comprendo di avere molto in comune con loro: per tutti noi una vita senza Dio, senza amore e misericordia verso il prossimo, è vuota, vana. Anche mia moglie, Mahnaz Heidarpour, docente del Seminario islamico di Londra e molto impegnata nel dialogo interreligioso, partecipa a questi incontri. I nostri tre figli, sin da quando erano piccoli, si sono abituati a vederci in compagnia dei cristiani. Sono convinto che lavorare insieme per il dialogo, come famiglia, sia estremamente importante e possa generare frutti duraturi».

Lealtà, franchezza, amicizia
L’unico italiano del gruppo è Guido Dotti, 62 anni, monaco della comunità di Bose, che di questa esperienza dice: «Oggi il dialogo è diventato di moda e spesso si riduce a confronti sterili, chiacchiere inconcludenti. Il nostro caso è diverso, per alcune precise ragioni: per l’amicizia costruita negli anni, che ci consente di parlare con franchezza, lealtà e benevolenza gli uni agli altri, per lo stile conviviale e informale dei nostri incontri, per la serietà e la profondità con cui ciascun relatore, con la sua specifica sensibilità e storia personale, affronta il tema stabilito e si dispone a discuterne, consentendo a ciascuno di scoprire il mondo spirituale dell’altro e di indagare il proprio. Una cosa è cercare di comprendere una religione solo dai libri, un’altra è farlo attraverso gli scritti, ma anche i gesti, le preghiere, le premure di chi ti sta accanto per intere giornate. L’intuizione di due autentici pionieri del dialogo – Wright e Shomali – ha dato vita a un’esperienza in cui la dimensione squisitamente teorica e quella pratica, offerta dalla vita in comune, se pur di breve durata, si intrecciano felicemente».

Gli uomini autenticamente religiosi
Mentre il monoteismo è stato per lungo tempo ritenuto la forma più evoluta della religione, il modo di concepire il divino più coerente con i principi della ragione, nella cultura occidentale contemporanea non è più così: ora il monoteismo appare dispotico e violento. Questi incontri e lo spirito che li caratterizza, sostengono all’unisono Dotti e Shomali, intendono mostrare che essere autenticamente religiosi, vivere la propria fede con passione e convinzione, non induce all’intolleranza né alla sopraffazione. «Se insieme, cristiani e islamici, lavoriamo per la pace, la giustizia, la cura dei più deboli – affermano – se mostriamo la bellezza di Dio, della fede e dell’amore per Lui, offriamo una testimonianza persuasiva opponendo un ostacolo serio a quanti ritengono che per assicurare al mondo stabilità e progresso sia necessario mettere al bando le religioni. Inoltre, chi si interroga con animo sincero e aperto su Dio forse ci presterà maggiore ascolto vedendoci lavorare insieme per un mondo più giusto».

Sassolini su un cammino
Pensando al futuro e ai frutti che questi incontri potranno portare, Dotti racconta: «Sin dall’inizio si è deciso di mettere a disposizione di tutti il lavoro compiuto in seno al gruppo: dopo ogni nostra settimana di studio vengono pubblicati gli atti, che includono tutte le relazioni. In principio la pubblicazione era di competenza di un monastero statunitense che in seguito non potè più continuare e passò quindi l’incarico all’Istituto di Studi islamici di Qom: una bella staffetta tra Usa e Iran compiuta in anni in cui tra i due paesi vi erano forti tensioni. Credo e spero che questi libri e lo spirito che anima i nostri incontri possano essere sassolini che altri raccoglieranno per proseguire nel cammino secondo i modi che il Signore ispirerà loro». Intanto, dice Shomali, «siamo a un passo dall’organizzare, come gruppo interreligioso, alcuni progetti caritativi: è un obiettivo al quale teniamo molto».

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

Tags:
dialogo islamo cristiano
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