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Quando tacere è un atto di misericordia

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Joanne McPortland - pubblicato il 19/04/16

Tenere a freno la lingua è a volte un'esigenza specifica dell'amore

In mezzo alle controversie che circondano la recente esortazione apostolica di papa Francesco, Amoris Laetitia, una sezione straordinaria è stata quasi completamente trascurata. Nel capitolo 4, “L’amore nel matrimonio”, il Santo Padre offre una toccante esegesi di un brano che viene letto spesso nei matrimoni: l’inno alla carità di San Paolo, tratto dalla seconda Lettera ai Corinzi.

Il testo trascende il matrimonio, è la misericordia in azione. L’amore che San Paolo celebra come la virtù più grande e più duratura dev’essere lo standard per ogni rapporto umano. È per questo che le riflessioni di papa Francesco (nei paragrafi 112-113 della Amoris Laetitia) sulla frase “la carità tutto scusa” mi hanno conquistato.

In primo luogo si afferma che “tutto scusa” (panta stegei). Si differenzia da “non tiene conto del male”, perché questo termine ha a che vedere con l’uso della lingua; può significare “mantenere il silenzio” circa il negativo che può esserci nell’altra persona. (…) Nel difendere la legge divina non bisogna mai dimenticare questa esigenza dell’amore (112).

Non si tratta, allora, di una bella cosa opzionale da mettere in pratica, ma di un’esigenza specifica dell’amore: “Tieni a freno la lingua”. Ben più spesso di quanto mi piaccia ammettere, il gesto misericordioso, il gesto amorevole da compiere è rimanere in silenzio.

Non è una nozione nuova. La Lettera di Giacomo non risparmia colpi sul potere distruttivo del discorso non misericordioso tra i primi cristiani.

Così anche la lingua: è un piccolo membro e può vantarsi di grandi cose. Vedete un piccolo fuoco quale grande foresta può incendiare! Anche la lingua è un fuoco, è il mondo dell’iniquità, vive inserita nelle nostre membra e contamina tutto il corpo e incendia il corso della vita, traendo la sua fiamma dalla Geenna (Giacomo 3, 5-6)

Oggi modificheremmo la descrizione di Giacomo includendo anche le cose scritte al computer o sui dispositivi elettronici, ugualmente suscettibili all’incendio infernale e ugualmente capaci di infiammare di malizia la vita.

Ecco allora solo alcune delle tante situazioni in cui devo praticare la misericordia tenendo a freno la lingua – ed espiando per le volte in cui non l’ho fatto.

  • Quando devo avere l’ultima parola. Che sia una discussione con un familiare per stabilire di chi sia un certo compito o chi lo abbia iniziato o una discussione politica on-line, so raramente quando fermarmi, ma nell’amore e nella misericordia non si tiene il punteggio (o dove saremmo mai noi peccatori?) Nessuno di noi ha ragione il 100% delle volte, e raramente le cose di cui discutiamo sono importanti anche al 10%. C’è un motivo per cui diciamo che certe persone sanno perdere – perché mostrano la grazia con il modo in cui mantengono la propria pace.
  • Quando mi lascio catturare da un pettegolezzo piccante. Papa Francesco definisce il fremito del pettegolezzo, soprattutto su qualcuno che non ci piace, “gioia oscura”. Confesso che mi tenta ancor più della cioccolata fondente, ma parlare male degli altri è gettare un fiammifero su una collina arida per la siccità. San Filippo Neri consigliò a una donna incline al pettegolezzo di spennare una gallina e poi di riprendere tutte le penne che aveva sparso per la strada, mostrandole come fosse difficile riparare alle maldicenze gettate in mezzo alla gente. Tenere a freno la mia lingua spesso significa rifiutarsi attivamente di ascoltare o di leggere pettegolezzi.
  • Quando penso di essere acuta. Sono cresciuta nella tipica famiglia irlandese in cui il sarcasmo era il presunto linguaggio dell’amore. Ci si aspettava che ci indurissimo di fronte alle provocazioni. La mia arguzia ha una punta acida che ha fatto pagare il suo scotto nei rapporti. In Molto rumore per nulla di Shakespeare, ai personaggi l’arguzia costa cara. “O Dio messere”, dice Benedick su Beatrice, “ecco una pietanza che non mi piace: io non posso sopportare Madonna Lingua”. Può essere troppo tardi per non essere quel piatto, ma posso lavorare sul rifiutarmi di servirlo su base quotidiana.
  • Quando cerco di essere d’aiuto! È una trappola in cui cadono molti di noi, cercando di far fronte al silenzio, alla tristezza o alle necessità altrui con un fiume di consigli non richiesti. In quasi ogni situazione di questo tipo, la risposta misericordiosa e che aiuta davvero è un silenzio ricettivo, una presenza che ascolta. Troppo spesso, invece, reagisco con link a siti web medici, psicanalisi amatoriale o (cosa peggiore di tutte) aneddoti su come la mia esperienza sia stata ben peggiore. Ciascuna di queste risposte non rispetta la persona che dico di aiutare. Ho bisogno di un promemoria – forse da mettere sulla scrivania – che mi dica di stare zitta e pregare.

In questo Anno Giubilare, e anche dopo, cercherò di tenere a freno la lingua, tacendo per misericordia. Pregherai per me? Sì, tu. Proprio ora.

[Traduzione dall’inglese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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