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I due requisiti perché un matrimonio diventi sacramento

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Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 18/04/16

Ecco perché anche un non credente può sposarsi in Chiesa

Un matrimonio naturale, ovvero un’unione tra un uomo e una donna, che sia unica, indissolubile, aperta alla vita in che modo diventa sacramento?

Verrebbe da rispondere molto banalmente: basta sposarsi in Chiesa e il gioco è fatto. Ma per arrivare a questo passo, e quindi per trasformare l’unione in sacramento, ci devono essere dei “requisiti” ben precisi.

Li spiega il teologo don Nicola Reali in “Quale fede per sposarsi in chiesa?” (edizioni Dehoniane Bologna).

IL PRIMO REQUISITO

Sono due, in particolare gli elementi che rendono un matrimonio sacramentale valido e differente da uno “semplicemente” naturale. Il primo, afferma Reali, è sicuramente il Battesimo. Affinché il proprio matrimonio sia sacramento, bisogna essere battezzati. Con la significativa avvertenza che occorre essere battezzati in una Chiesa cristiana, non necessariamente in quella cattolica. La Chiesa cattolica riconosce la sacramentalità anche dei matrimoni protestanti, ortodossi e anglicani.

IL PATTO TRA UOMO E DONNA

Il diritto canonico recepisce perfettamente questa istanza nell’attuale Codice, quando afferma: «Il patto matrimoniale con cui l’uomo e la donna stabiliscono tra loro la comunità di tutta la vita, per sua natura ordinata al bene dei coniugi e alla procreazione e educazione della prole, tra i battezzati è stato elevato alla dignità di sacramento» (can. 1055 § 1).

IL PESO DELLA FEDE

Occorre far notare, evidenzia l’autore, che a questa indiscutibile esigenza non si associa l’altrettanto indispensabile richiesta di far emergere il peso della fede personale di chi si sposa.Si potrebbe riassumere il tutto, spiega Reali, dicendo che, quando si è in presenza di un “contratto” (che brutto termine!) matrimoniale tra due battezzati naturalmente valido, automaticamente si verifica un sacramento. Se poi ci si crede oppure no, questo non conta.

NESSUN AUTOMATISMO

“Che esagerato! – sicuramente dirà qualcuno – È un’esposizione caricaturale di questo principio!”, evidenzia il teologo. L’obiezione è vera. Non si può descrivere l’identità tra contratto valido e sacramento come una sorta di automatismo del tutto sganciato dalla volontà delle parti. Non è vero che è così consequenziale, perché ciò che «genera» il matrimonio è il consenso degli sposi: l’intenzione di colui che si sposa determina il tipo di matrimonio che ne deriva, per cui ci può essere anche il caso di un consenso viziato da una volontà contraria alla dignità sacramentale del matrimonio.

L’IMPORTANZA DELLE PROPRIETA’ NATURALI

Dunque il consenso non è mai viziato dall’assenza totale di fede cristiana. Quest’ultima può compromettere lavalidità di un matrimonio solo se determina il rifiuto di una sua proprietà naturale. Facciamo degli esempi-limite, forzati, che faranno sicuramente strabuzzare gli occhi alla maggioranza dei lettori, ma che rispettano quella che è, attualmente, la normativa ecclesiale.

L’ESEMPIO DEL NON CREDENTE

Se un battezzato non-credente e non-praticante si accosta alle nozze senza credere che il matrimonio sia indissolubile, il suo matrimonio non è valido perché la sua mancanza di fede incide nel determinare una volontà contraria all’indissolubilità.


Diversamente, se lo stesso si sposa in Chiesa senza credere in Dio, in Gesù Cristo e nella Madonna, ma riconosce il valore dell’indissolubilità del matrimonio, il suo matrimonio è valido ed è un sacramento.

LA SIMULAZIONE DEL CONSENSO

Il teologo ci spiega che questi esempi sono coerenti anche con un passaggio enunciato dalla lettera apostolica Mitis ludex: “Tra le circostanze che possono consentire la trattazione della causa di nullità del matrimonio per mezzo del processo più breve secondo i cann. 1683-1687, si annoverano per esempio: quella mancanza di fede che può generare la simulazione del consenso o l’errore che determina la volontà, la brevità della convivenza coniugale (…) ecc..”.

In questo passaggio della lettera apostolica, evidenzia Reali, «non si dice che la mancanza di fede rende nullo un matrimonio, ma che la mancanza di fede può far simulare un consenso valido che in realtà valido non è. E non è valido non perché manca la fede, ma perché simula (fa finta) di aderire a ciò che rende valido un consenso (le proprietà naturali)».

IL SECONDO REQUISITO

Secondo elemento che trasforma il matrimonio naturale in sacramento, prosegue il teologo, è l’obbligo della forma canonica della celebrazione. È un aspetto molto importante, ai più sconosciuto, che identifica l’altro elemento (oltre il Battesimo) necessario affinché un matrimonio naturale possa diventare un sacramento.

LO STATUS GIURIDICO

La prescrizione celebrativa (dinanzi al parroco e a due testimoni), infatti, (al pari del Battesimo) circoscrive appena l’oggettività dello status giuridico di coloro che «contraggono» il matrimonio, senza tuttavia determinare l’identità del sacramento, che resta totalmente ed esclusivamente descritta dagli elementi naturali.

FORMA CELEBRATIVA PRECISA

Senza dilungarci sul Concilio di Trento, si può semplicemente dire che, da allora in poi, perché un matrimonio sia valido e abbia dignità sacramentale, occorre rispettare le prerogative naturali del matrimonio, essere battezzati e sposarsi secondo una forma celebrativa precisa, canonicamente definita.

UN OBBLIGO PER CATTOLICI

Tuttavia l’obbligo della forma canonica della celebrazione vale solo per i cattolici. In altre parole: un protestante, se rispetta le prerogative naturali del matrimonio, celebra sempre un sacramento; un cattolico deve anche osservare la forma canonica indicata. Di conseguenza, ciò che rende differente un matrimonio naturale da uno sacramentale, per tutti i cristiani è il Battesimo; per i cattolici, il Battesimo e la forma della celebrazione.

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