E Roma è anche la capitale o culla della Chiesa, perché è la città nella quale sono morti San Pietro e San Paolo, pilastri della Chiesa, una città che è stata fecondata dal sangue di tanti martiri.
Il latino era quindi la lingua universale, e la Chiesa si è estesa, consolidata erafforzata utilizzando questa lingua.
La Bibbia, i documenti ecclesiali e patristici, i concili e i libri erano dunque in latino per arrivare fino ai confini geografici del mondo.
La Chiesa, abbracciando tutte le Nazioni ed essendo destinata per vocazione divina a durare fino alla fine dei secoli, esige per sua stessa natura una lingua profonda, immutabile e universale.
La Chiesa deve disporre di una lingua che non solo le permetta la comunicazione ufficiale tra i membri di uno stesso contesto storico sparsi per il mondo, ma che leghi anche i cristiani di tutte le epoche tra loro.
E il latino è la lingua adatta, perché ne serve una che sia punto di riferimento per la conoscenza dei documenti istituzionali e non sminuisca il senso dei testi, perché tra gli altri vantaggi del latino c’è quello di essere molto preciso e concreto, e anche idoneo ad approfondire le verità teologiche.
Il latino – più ieri che oggi – è poi la lingua comune che permette che la liturgia o il culto sia lo stesso in qualsiasi angolo del mondo. Il latino viene infatti utilizzato come lingua liturgica ufficiale della Chiesa cattolica di rito latino.
La sua condizione di lingua “morta”, nel senso che non è soggetta a evoluzione, le conferisce una particolare utilità per gli usi teologici e liturgici, visto che è necessario che il significato delle parole resti costante.
In questo modo, i testi che vengono impiegati in queste discipline conserveranno il loro significato e il loro senso per i lettori di ogni epoca.
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]