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Come vivere tutte gli stadi del dolore prima della nascita di un figlio con problemi

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Sakhorn/Shutterstock

TOMMY TIGHE - pubblicato il 15/04/16

Applicare il modello Kübler-Ross per trovare la luce oltre l'oscurità

Ci sono pochi concetti nella psicologia moderna che sono rimasti nella cultura popolare meglio del modello di Elizabeth Kübler-Ross sugli stadi del dolore, sviluppato nel suo libro La morte e il morire, del 1969.

Lei ha successivamente specificato che il suo intento era di realizzare una progressione non lineare e non prevedibile, ma nonostante questo i suoi cinque stadi sono diventati parte della coscienza culturale. Sono la negazione, la rabbia, il patteggiamento (o contrattazione), la depressione e l’accettazione.

Ho pensato più volte a queste fasi durante quando abbiamo ricevuto una diagnosi prenatale fatale per il nostro quarto figlio.

Nel mio personale viaggio, anche se è ancora in corso, già vedo in me stesso e nella mia vita di preghiera le fasi proposte dal modello.

Negazione

Quando la mia famiglia è entrata nella buia stanza degli ultrasuoni, mia moglie di io abbiamo capito che qualcosa non andava. Il tecnico non ha cliccato né stampato immagini né ha speso il tempo che di solito ha speso per illustrare le varie caratteristiche del nostro bambino di 20 settimane o giù di lì. Ha invece guardato lo schermo con sorpresa e ha cliccato qualche tasto, rendendo ciò che stavamo vedendo di colori diversi.

Ci ha soltanto detto che avremmo dovuto fare un controllo con un dottore immediatamente dopo gli ultrasuoni, nient’altro.

Io però ho guardato lo schermo, e ho visto le parole che hanno iniziato questo processo che ha letteralmente stravolto la mia vita:

Non c’è per niente fluido.

Siamo entrati nell’ufficio dell’ostetrica-ginecologa di turno che non è stata affatto loquace. “Le cose non sembrano buone”, ha detto, seguito da uno sprezzante “Dovrete parlare di più con il vostro dottore, al prossimo appuntamento”.

Questo è quanto. Ecco tutto ciò che ci è stato detto.

Partendo dalle parole lette sullo schermo, però, sono riuscito a delineare su Google la situazione del nostro bambino, prima dell’appuntamento fissato per la settimana successiva.

Tutte le ricerche hanno puntato verso la medesima direzione: agenesia renale.

Quando ci siamo incontrati con lo specialista, lui ha confermato quello di cui noi abbiamo già avuto il sospetto.

Prima di quell’appuntamento, ho detto a Dio che i dottori hanno sbagliato tutto, che la posizione del bambino potrebbe aver diminuito la visibilità dei reni, e così via discorrendo.

Tutte scuse per contenere il fiume di emozioni, una negazione che non sarebbe potuta durare a lungo.

Rabbia

La prima volta in cui siamo andati a messa dopo aver ricevuto la notizia, il solo atto di sedersi sulle panche è stato un colpo al cuore.

A un certo punto il più piccolo dei nostri cuccioli ha avuto un mancamento, e io l’ho immediatamente portato sul retro della chiesa. Sono stato contento di alzarmi e andarmene via, se devo essere onesto, perché la sola vista del crocifisso mi ha fatto bollire il sangue.

C’era una vetrata del Sacro Cuore, con Gesù che aveva lo sguardo direttamente verso gli occhi di chiunque fosse interessato a guardare in alto.

In silenzio, in preghiera, ho urlato contro di Lui. Come ha potuto fare questo a noi? Come ha potuto permettere che questo accadesse? Ci siamo adoperati così tanto per essergli fedeli, e questo è il ringraziamento che abbiamo ottenuto?

La mia rabbia è stata intensa, mi ha letteralmente avvolto.

Non è stata una bella sensazione, ma questo è quello che ho provato. Gli avrei voluto lanciare contro qualsiasi cosa a portata di mano.

Patteggiamento

Ma la rabbia non è durata molto, ovviamente, perché è logorante.

Dopo che è passata, ho provato a usare le mie preghiere per patteggiare con Dio.

Quando ho percepito che un miracolo sarebbe stato improbabile, ho pensato che se gli avessi promesso qualcosa, forse avrebbe desiderato stravolgere il tempo e lo spazio e fare qualcosa di incredibile.

È iniziata la mia ricerca di merce di scambio, di qualcosa che gli avrei potuto promettere. Ovviamente tutte le mie idee avevano un grande se.

Se Dio avesse fatto un miracolo e salvato il mio bambino, io avrei iniziato a fare queste cose.

Depressione

A un certo punto la preghiera si è interrotta.

Non solo è diventato sempre più difficile pregare, ma anche quando ho raccolto le forze per farlo, mi è sembrato inutile. È stato come se nulla potesse funzionare. A mio favore va detto che a quel punto è diventato chiaro che Dio non aveva intenzione di compiere un miracolo, perciò non mi è sembrato aver senso continuare a implorare.

Nulla sembrava avere valore.

Accettazione

Ma dopo aver vissuto in quell’oscurità, ho iniziato a vedere una grande luce.

Dio ama la mia famiglia e il mio bambino Luke più di quanto noi avessimo mai potuto. La sua volontà per noi non è di punirci, bensì di chiamarci a far diventare più profonda la nostra relazione con lui.

Passiamo le nostre via a credere nella vita oltre la morte, nel potere salvifico del battesimo, nel valore della sofferenza redentiva, nella comunione dei santi, nell’anticipazione della resurrezione e in così tante altre verità della nostra fede. Continuiamo a credere a queste cose, ma lo facciamo senza vivere ciò in cui crediamo.

Nostro figlio Luke, anche se è ancora di sole 32 settimane, ci ha condotti dritti ai piedi della croce. Anche se non è ancora nato, è già circondato da tantissimi amici, parenti ed estranei che stanno chiedendo aiuto a Dio, sebbene alcuni di questi non abbiano detto a Dio una sola parola da anni. Se pure dovesse vivere soltanto per il tempo necessario per inalare e poi esalare il suo primo ed ultimo respiro, ha fatto molto più per aiutare mia moglie ed io a diventare più santi di quanto non abbiamo fatto noi reciprocamente nei nostri quasi nove anni di matrimonio.

Inizio quindi a vedere l’accettazione, l’unica risposta che mi sembra appropriata.

Accetto la volontà di Dio per la mia famiglia, e in modo particolare per il bambino che amo più di quanto le parole possano esprimere.

Sì, continuo a chiedere un miracolo a Dio, continuo a chiedergli di allontanare da me questo calice amaro, ma sento anche nel profondo della mia anima il completamento della preghiera che recita: “Non la mia volontà, ma la tua”.

Tommy Tigheè un hipster cattolico, marito e padre. Potete seguirlo su Twitter @theghissilent.

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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