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Un credente come deve accogliere i “consigli” del Papa in “Amoris Laetitia”?

Pope Francis during his weekly general audience Wednesday

© Antoine Mekary / ALETEIA

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 14/04/16

Si tratta di un documento che fa parte del Magistero infallibile oppure ordinario?

Ci scrive un lettore: “Se ho ben capito, l’ultima Esortazione Apostolica di Papa Francesco Amoris Laetitia sarebbe Magistero ordinario e in quanto tale avente un grado di “certezza”, ma non di assoluta infallibilità… giusto?”.

La stessa domanda in questi giorni ci è stata posta da numerosi lettori che vogliono comprendere meglio il valore da attribuire al documento del Papa.

Tra i più autorevoli esponenti della Chiesa Cattolica, si è espresso il cardinale Raymond Burke. Secondo il porporato americano, in questa Esortazione apostolica, “il Santo Padre sta proponendo ciò ritiene personalmente la volontà di Cristo per la sua Chiesa, ma egli non ha intenzione di imporre il suo punto di vista né di condannare coloro che insistono su quella che lui chiama ‘una cura pastorale più rigida’. La natura personale cioè non magisteriale del documento è evidente anche nel fatto che i riferimenti citati sono principalmente alla relazione finale della sessione del Sinodo dei Vescovi 2015, e agli indirizzi e alle omelie dello stesso papa Francesco. Non vi è alcuno sforzo costante di mettere in relazione il testo, in generale, o queste citazioni con il Magistero, i Padri della Chiesa e altri autori provati”(National Catholic Register, 11 aprile).

LA CONDIZIONE DELL’INFALLIBILITA’

Il teologo dogmatico della Lumsa Antonio Sabetta ci spiega: «L’infallibilità c’è solo se il papa dice esplicitamente ‘dichiaro solennemente, con l’autorità datami da Cristo che..’. Dato il tema, più pastorale che morale, è alquanto improbabile se non nulla la probabilità che si tratti di Magistero infallibile anche se, essendo magistero ordinario, chiede rispetto e accoglienza. Cioè ogni cristiano dinanzi ad una pronunciamento del Magistero ordinario è chiamato ad accogliere ciò che esso dice e a confrontarsi con esso».

CERTEZZE E CONSIGLI

Dunque come dovremmo accogliere la Amoris Laetitia? Il fatto di non essere un documento infallibile ne sminuisce il valore? Il teologo domenicano Giovanni Cavalcoli ha detto ad Aleteia che«nel documento del Papa vi sono dati di fede dogmatici e morali e certezze razionali, insieme con indicazioni o consigli pastorali. I primi vanno accolti con sicurezza. Invece, riguardo ai secondi, il Papa può esprimere opinioni discutibili».

Sul primo fronte «essa ribadisce le verità fondamentali di ragione e di fede, che riguardano il matrimonio e la famiglia, ne delinea le caratteristiche, le finalità e le proprietà così come le ha volute il Creatore, il Quale, mediante la missione e l’opera di Cristo, ha concesso alla Chiesa e alla società civile di legiferare con più precisione in materia, a seconda dei tempi e dei luoghi, tenendo conto della fragilità e peccaminosità umana conseguente al peccato originale, al fine di assicurare il più possibile alla famiglia il massimo dell’esercizio delle virtù, soprattutto della carità, che sboccia nella laetitia amoris» (Isola di Patmos, aprile 2016).

Sul secondo fronte, «il Papa mette altresì a confronto la vera e sana concezione della famiglia con certe idee, abitudini e pratiche aberranti e malsane, che contrastano col piano del Creatore, la giusta concezione dell’uomo e della donna, la retta ragion pratica, il progetto di Cristo, le leggi della Chiesa, il bene della società civile, il progresso umano e la stessa vera felicità della coppia, impedendo la laetitia amoris».

Quanto al linguaggio, chiosa Cavalcoli, «occorre fare attenzione, perché a volte non è chiaro ed ha bisogno di essere interpretato».

PRESUNTO “DISORIENTAMENTO”

Se noi credenti abbiamo il dovere di «confrontarci» con un pronunciamento di Magistero ordinario, e se il Papa all’interno di tale documento accosta «dati di fede» a «consigli pastorali», allora «in che senso questo testo richiede non solo la nostra attenzione di credenti battezzati, bensì il nostro assenso?».

«Spesso, ovviamente non sempre – risponde Giuseppe Lorizio, docente di teologia fondamentale della Pontificia Università Lateranense– la domanda è posta da chi si sente o si ritiene, non sappiamo quanto sinceramente, disorientato, non solo da quest’ultimo pronunciamento, ma da tutto lo stile e il Magistero dell’attuale vescovo di Roma. Si tratta dello stesso “disorientamento” che si è avvertito rispetto all’ultimo Concilio. Dunque va letto ed interpretato perché non incancrenisca».

E d’altra parte, prosegue Lorizio, «va sottolineato che il disorientamento è piuttosto una cifra della nostra situazione storica ed esistenziale, che la Chiesa è chiamata di volta in volta ad orientare, indicando semplicemente Il Cristo Signore e il suo Vangelo. Nel caso specifico – evidenzia – il teologo – non ho avvertito affatto disorientamento nel popolo santo di Dio, se non in alcune frange fondamentaliste, mentre nella gente credente ho avuto modo di registrare piuttosto gratitudine ed attenzione al messaggio sinodale prima e pontificio poi».

“PASTORALE” E “DOTTRINALE”

Una prima indicazione di prospettiva, «va espressa nel senso che, lungi dal riproporre una contrapposizione fra il livello dottrinale e quello pastorale dei documenti magisteriali, va perseguita e sempre di nuovo proposta un’interpretazione inclusiva della dottrina nell’agire ecclesiale. Pertanto l’aggettivo “pastorale” non indica qualcosa di meno di “dottrinale”, bensì include sempre la dottrina, anche allorché si rivolge alla prassi. Del resto non esistono formulazioni meramente dottrinali della fede, perché ogni verità di fede è sempre e comunque una verità storico-salvifica. E questa prospettiva interpretativa va applicata al Vaticano II, che spesso si è voluto relativizzare ritenendolo meramente pastorale, come agli altri interventi del Magistero».

Le indicazioni pastorali di questa Esortazione, prosegue Lorizio, «includono una dottrina, quale quella che nasce dalla Rivelazione e si sviluppa nell’insegnamento della Chiesa, esposta con un linguaggio vivo e gioioso (la perfetta letizia di Francesco), che non ignora i drammi e le ferite, ma su di essi si china non con atteggiamento di condanna, ma di pietas evangelica».

NESSUNO SCAVALCAMENTO DEL SINODO

In secondo luogo va sottolineato, aggiunge il docente della Lateranense, che «la prassi di esprimere i contenuti dei Sinodi attraverso un documento del Vescovo di Roma, in qualità di Pastore della Chiesa universale, nella forma dell’Esortazione apostolica non è da intendersi come un voler scavalcare la sinodalità stessa, bensì come un sigillo, che custodisce e conferisce autorevolezza massima ai lavori del Sinodo stesso. La prima di queste Esortazioni risale al 1974 ed è stata l’Evangelii nuntiandi di Paolo VI. Queste esortazioni hanno dunque valore di Magistero ordinario e chiedono l’assenso dei fedeli in quanto promulgate dal Vescovo di Roma e non vanno relativizzate e poste in subordine rispetto ad altri interventi».

UNA RACCOMANDAZIONE PER LA VITA DELLA CHIESA

Né il termine “Esortazione”, precisa il teologo, «deve far pensare a qualcosa di semplicemente parenetico, come ad esempio le omelie di santa Marta, ma a una raccomandazione di orientamento per la vita stessa della Chiesa tutta. Certamente non possiamo scorgere in questi pronunciamenti i tratti dell’infallibilità (ben difficile da realizzarsi ed esprimersi in senso stretto), ma manchiamo di onestà intellettuale se non li riteniamo veri e propri documenti del Magistero ordinario».


Del resto «era dello stesso genere la Familiaris consortio (1983), cui qualcuno incautamente si appella per gettare fango sull’attuale testo che affronta lo stesso tema. Inoltre l’aggettivo “apostolica” che si affianca al sostantivo “Esortazione” dice che qui è in gioco l’apostolicità della Chiesa, coralmente espressa nella sinodalità e nel servizio del Vescovo di Roma».

LA CHIAREZZA DI FRANCESCO

I criteri per interpretare il documento sono esposti dal pontefice nelle stesse premesse, «allorché ad esempio si invita all’equilibrio capace di superare sia “un desiderio sfrenato di cambiare tutto senza sufficiente riflessione o fondamento” sia “l’atteggiamento che pretende di risolvere tutto applicando normative generali o traendo conclusioni eccessive da alcune riflessioni teologiche” (n. 2). Ed inoltre mi sembra particolarmente significativo quel passaggio introduttivo, nel quale si afferma che “non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del Magistero“».

DIVERSITA’ DI INTERPRETAZIONE

Naturalmente, sottolinea ancora Lorizio, «nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano. Questo succederà fino a quando lo Spirito ci farà giungere alla verità completa (cfr Gv 16,13), cioè quando ci introdurrà perfettamente nel mistero di Cristo e potremo vedere tutto con il suo sguardo».Inoltre, «in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali. Infatti, “le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale […] ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato” (n. 3)».

I SACRAMENTI

Il punto che maggiormente ha suscitato interesse, ossia la questione dei sacramenti, così come viene richiamata in una nota, chiede attenzione e corretta interpretazione teologica: “A causa dei condizionamenti o dei fattori attenuanti, è possibile che, entro una situazione oggettiva di peccato – che non sia soggettivamente colpevole o che non lo sia in modo pieno – si possa vivere in grazia di Dio, si possa amare, e si possa anche crescere nella vita di grazia e di carità, ricevendo a tale scopo l’aiuto della Chiesa” (n. 305), testo accompagnato dalla famosa nota 351: “In certi casi, potrebbe essere anche l’aiuto dei Sacramenti. Per questo, «ai sacerdoti ricordo che il confessionale non dev’essere una sala di tortura bensì il luogo della misericordia del Signore» (Esort. ap. Evangelii gaudium [24 novembre 2013], 44: AAS 105 [2013], 1038).Ugualmente segnalo che l’Eucaristia «non è un premio per i perfetti, ma un generoso rimedio e un alimento per i deboli» (ibid., 47: 1039)”.

IL PECCATO E LA GRAZIA

In virtù di questi passaggi di Papa Francesco, «nell’esperienza del peccato e in quella della grazia infatti non si dà mai una astratta ed estranea oggettività (dogmatismo moralistico), né una mera soggettività (relativismo), bensì – conclude il teologo – si tratta sempre del rapporto fra la realtà oggettiva e la coscienza del soggetto. Ed è proprio per questo che nella sapienza e nella tradizione della Chiesa la riconciliazione passa attraverso la confessione personale dei peccati, in modo che il ministro possa illuminare il fedele ed aiutarlo nel discernimento in cui è in gioco questo rapporto. Come anche appartiene alla sapienza e alla tradizione ecclesiale considerare l’Eucaristia non solo panis angelorum ma, proprio perché nutrimento del corpo spesso ferito e martoriato, panis viatorum, altrimenti dovremmo aspettare di essere nella perfezione per poterci nutrire alla mensa eucaristica. Si tratta infatti – chiosa – del panis angelorum factus cibus viatorum. Così la Chiesa prega e così crede: lex orandi = lex credendi».

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