Siamo incostanti anche nei nostri affetti, figuriamoci nel nostro rapporto con Dio, ma la disciplina del cuore aiuta...
Quando lavoravo al telegiornale ero timidissima e molto impacciata perché allora – il mio lavoro è così, soprattutto per chi è agli inizi – mi veniva chiesto di occuparmi ogni giorno di una notizia diversa, di cui spesso sapevo, all’inizio, abbastanza poco. Con grandi attacchi di mal di pancia poi ovviamente cercavo di elaborare qualcosa di decente, e ammiravo i miei colleghi che si buttavano con coraggio in cose nuove. È un talento indispensabile per i giornalisti televisivi, che per forza di cose hanno tempi stretti e cambi di tema veloci. Un talento che io non ho: se non sono sicurissima di quello che dico non lo so nascondere, ho la certezza che mi compaiano automaticamente degli spinaci fra i denti se vado in giro a parlare di cose che non conosco quasi alla perfezione.
Invidiavo, invece, i grandi vecchi delle redazioni, quelli che seguivano un’inchiesta per anni, o quelli specializzati su un tema, che sull’argomento leggevano ogni singola virgola prodotta sull’orbe terracqueo. Questa premessa fuori tema è per dire che anche se mi piacerebbe talora fare la teologa, tanto mi interessa l’argomento Dio, e tanto mi infiammano certe castronerie che leggo sui giornali, non me la sento. Non ho gli strumenti culturali, dispongo solo del mio sensus fidei e di un catechismo fatto in parrocchia, e so bene di confrontarmi con persone molto più titolate di me. (Improvvisarmi ct di calcio, quello sì, lo faccio sempre quando guardo la Champions con Bernardo, e gli do pareri sempre illuminanti, tipo: “secondo me i celesti devono segnare da quella parte, verso la finestra”, o anche “ma guarda quello con la barba che sederone che ha”).
Posso però parlare di quello che vivo e che vedo vivere, questo sì. Sull’esperienza, sulla carne di ciascuno di noi non è che si possa discutere tanto. Tutto ciò per dire che pur avendo qualche mia idea sui temi della fede di cui si dibatte all’interno, ma anche molto all’esterno della Chiesa ultimamente, preferisco partire da quello che riguarda me, il mio cuore, e quello delle persone che mi raccontano qualche pezzetto della loro vita.
Io vedo chiaramente che c’è in me una inclinazione al male con la quale non posso smettere di combattere. La teoria la so tutta, so quello che devo fare, come e perché, lo so talmente bene che vado in giro a spiegarlo agli altri. Eppure non lo faccio. Non quanto vorrei, potrei, dovrei.