In Amoris Laetitia c’è un vero e proprio trattato per l’armonia tra gli sposi, un testo davvero toccante
« La carità è paziente,
benevola è la carità;
non è invidiosa,
non si vanta,
non si gonfia d’orgoglio,
non manca di rispetto,
non cerca il proprio interesse,
non si adira,
non tiene conto del male ricevuto,
non gode dell’ingiustizia
ma si rallegra della verità.
Tutto scusa,
tutto crede,
tutto spera,
tutto sopporta » (1 Cor 13,4-7).
[Ascolta l’Inno alla carità tratto dal film “San Paolo”, prodotto dalla Rai]
Si apre così il capitolo 4 dell’Esortazione “Amoris Laetitia”, l’inno paolino all’amore e in special modo all’amore coniugale. Questo lungo capitolo è – a tutti gli effetti – un Compendio del cattolicesimo circa il matrimonio e la vita amorosa di una coppia. In esso viene riversata davvero tutta la sapienza realista, ma mai cinica, della Chiesa sulla sponsalità. Moltissimi i richiami alle precedenti encicliche sul tema ed in particolare ai predecessori diretti di Papa Francesco, cioè Benedetto XVI e San Giovanni Paolo II.
Il testo si svolge di fatto come una catechesi che spiega le apparentemente semplici parole di San Paolo e su di esse edifica una riflessione molto profonda su come devono essere le relazioni tra gli sposi. E’ – a tutti gli effetti – il manuale per gli sposi e per i pastori che accompagnano gli sposi nel loro percorso di vita, sia nei corsi prematrimoniali ma, come insiste il testo in altri capitoli, anche dopo e durante la vita coniugale.
Si comincia con la pazienza:
[92] Essere pazienti non significa lasciare che ci maltrattino continuamente, o tollerare aggressioni fisiche, o permettere che ci trattino come oggetti. Il problema si pone quando pretendiamo che le relazioni siano idilliache o che le persone siano perfette, o quando ci collochiamo al centro e aspettiamo unicamente che si faccia la nostra volontà. Allora tutto ci spazientisce, tutto ci porta a reagire con aggressività. Se non coltiviamo la pazienza, avremo sempre delle scuse per rispondere con ira.
…la benevolenza…
[93] Paolo vuole mettere in chiaro che la “pazienza” nominata al primo posto non è un atteggiamento totalmente passivo, bensì è accompagnata da un’attività, da una reazione dinamica e creativa nei confronti degli altri. Indica che l’amore fa del bene agli altri e li promuove. Perciò si traduce come “benevola”
…si rifugge la gelosia…
[95] si rifiuta come contrario all’amore un atteggiamento espresso con il termine zelos (gelosia o invidia). Significa che nell’amore non c’è posto per il provare dispiacere a causa del bene dell’altro
[96] L’amore ci porta a un sincero apprezzamento di ciascun essere umano, riconoscendo il suo diritto alla felicità.
…non si vanta e non si gonfia d’orgoglio….
[97] Chi ama, non solo evita di parlare troppo di sé stesso, ma inoltre, poiché è centrato negli altri, sa mettersi al suo posto, senza pretendere di stare al centro.
[98] Gesù ricordava ai suoi discepoli che nel mondo del potere ciascuno cerca di dominare l’altro, e per questo dice loro: « tra voi non sarà così » (Mt 20,26). La logica dell’amore cristiano non è quella di chi si sente superiore agli altri e ha bisogno di far loro sentire il suo potere, ma quella per cui « chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore » (Mt 20,27). Nella vita familiare non può regnare la logica del dominio degli uni sugli altri, o la competizione per vedere chi è più intelligente o potente, perché tale logica fa venir meno l’amore. Vale anche per la famiglia questo consiglio: « Rivestitevi tutti di umiltà gli uni verso gli altri, perché Dio resiste ai superbi, ma dà grazia agli umili » (1 Pt 5,5).
…non manca di rispetto…
[99] l’amore non opera in maniera rude, non agisce in modo scortese, non è duro nel tratto. I suoi modi, le sue parole, i suoi gesti, sono gradevoli e non aspri o rigidi.
[100] Chi ama è capace di dire parole di incoraggiamento, che confortano, che danno forza, che consolano, che stimolano. Vediamo, per esempio, alcune parole che Gesù diceva alle persone: « Coraggio figlio! » (Mt 9,2). « Grande è la tua fede! » (Mt 15,28). « Alzati! » (Mc 5,41). « Va’ in pace » (Lc 7,50). « Non abbiate paura » (Mt 14,27). Non sono parole che umiliano, che rattristano, che irritano, che disprezzano. Nella famiglia bisogna imparare questo linguaggio amabile di Gesù.
…non cerca il suo interesse…
[101] questo inno all’amore afferma che l’amore “non cerca il proprio interesse”, o che “non cerca quello che è suo”. Questa espressione si usa pure in un altro testo: « Ciascuno non cerchi l’interesse proprio, ma anche quello degli altri » (Fil 2,4). Davanti ad un’affermazione così chiara delle Scritture, bisogna evitare di attribuire priorità all’amore per sé stessi come se fosse più nobile del dono di sé stessi agli altri. Una certa priorità dell’amore per sé stessi può intendersi solamente come una condizione psicologica, in quanto chi è incapace di amare sé stesso incontra difficoltà ad amare gli altri: « Chi è cattivo con sé stesso con chi sarà buono? […] Nessuno è peggiore di chi danneggia sé stesso » (Sir 14,5-6).
…non tiene conto del male ricevuto...
[103] L’indignazione è sana quando ci porta a reagire di fronte a una grave ingiustizia, ma è dannosa quando tende ad impregnare tutti i nostri atteggiamenti verso gli altri.
Ed ecco che i consigli del Papa perchè l’armonia in famiglia sia sempre la prima preoccupazione degli sposi:
[104] non bisogna mai finire la giornata senza fare pace in famiglia. « E come devo fare la pace? Mettermi in ginocchio? No! Soltanto un piccolo gesto, una cosina così, e l’armonia familiare torna. Basta una carezza, senza parole. Ma mai finire la giornata in famiglia senza fare la pace! »
[106] La verità è che « la comunione familiare può essere conservata e perfezionata solo con un grande spirito di sacrificio. Esige, infatti, una pronta e generosa disponibilità di tutti e di ciascuno alla comprensione, alla tolleranza, al perdono, alla riconciliazione. Nessuna famiglia ignora come l’egoismo, il disaccordo, le tensioni, i conflitti aggrediscano violentemente e a volte colpiscano mortalmente la propria comunione: di qui le molteplici e varie forme di divisione nella vita familiare ».
La chiave di volta non può che essere il perdono. Che non è “lasciar correre” ma un atteggiamento interiore che parte da una conversione interiore e da una richiesta a se stessi:
[107] Oggi sappiamo che per poter perdonare abbiamo bisogno di passare attraverso l’esperienza liberante di comprendere e perdonare noi stessi.
Ecco che l’amore irrompe nella casa degli sposi…
[110] Quando una persona che ama può fare del bene a un altro, o quando vede che all’altro le cose vanno bene, lo vive con gioia e in quel modo dà gloria a Dio, perché « Dio ama chi dona con gioia » (2 Cor 9,7)
Il Paragrafo 111 del capitolo 4 di Amoris Laetitia ci spiega come:
L’elenco si completa con quattro espressioni che parlano di una totalità: “tutto”. Tutto scusa, tutto crede, tutto spera, tutto sopporta. In questo modo, si sottolinea con forza il dinamismo controculturale dell’amore, capace di far fronte a qualsiasi cosa lo possa minacciare.
Le conseguenze di quanto detto sin qui rendono la coppia unita e solidale:
[113] Gli sposi che si amano e si appartengono, parlano bene l’uno dell’altro, cercano di mostrare il lato buono del coniuge al di là delle sue debolezze e dei suoi errori. In ogni caso, mantengono il silenzio per non danneggiarne l’immagine. Però non è soltanto un gesto esterno, ma deriva da un atteggiamento interiore. E non è neppure l’ingenuità di chi pretende di non vedere le difficoltà e i punti deboli dell’altro, bensì è l’ampiezza dello sguardo di chi colloca quelle debolezze e quegli sbagli nel loro contesto; ricorda che tali difetti sono solo una parte, non sono la totalità dell’essere dell’altro.
Il Papa ricorda tanto agli sposi quanto ai pastori che:
[122] non si deve gettare sopra due persone limitate il tremendo peso di dover riprodurre in maniera perfetta l’unione che esiste tra Cristo e la sua Chiesa, perché il matrimonio come segno implica « un processo dinamico, che avanza gradualmente con la progressiva integrazione dei doni di Dio »
[135] Non fanno bene alcune fantasie su un amore idilliaco e perfetto, privato in tal modo di ogni stimolo a crescere. Un’idea celestiale dell’amore terreno dimentica che il meglio è quello che non è stato ancora raggiunto, il vino maturato col tempo. Come hanno ricordato i Vescovi del Cile, « non esistono le famiglie perfette che ci propone la pubblicità ingannevole e consumistica. In esse non passano gli anni, non esistono le malattie, il dolore, la morte […]. La pubblicità consumistica mostra un’illusione che non ha nulla a che vedere con la realtà che devono affrontare giorno per giorno i padri e la madri di famiglia ».
[137] È più sano accettare con realismo i limiti, le sfide e le imperfezioni, e dare ascolto all’appello a crescere uniti, a far maturare l’amore e a coltivare la solidità dell’unione, accada quel che accada.
E’ un monito che ricalca la critica alla famiglia consumistica proposta dai mass media: non esiste né la “famiglia Mulino Bianco”, ma neppure la “famiglia angelicata”. Essere una famiglia cristiana non vuol dire non avere difetti o imperfezioni. La famiglia cristiana è chiamata alla santità, ma santità e perfezione non sono sinonimi e comunque è un processo, lungo, laborioso, fatto di cadute e di progressi.
[126] Nel matrimonio è bene avere cura della gioia dell’amore. Quando la ricerca del piacere è ossessiva, rinchiude in un solo ambito e non permette di trovare altri tipi di soddisfazione. La gioia, invece, allarga la capacità di godere e permette di trovare gusto in realtà varie, anche nelle fasi della vita in cui il piacere si spegne. Per questo san Tommaso diceva che si usa la parola “gioia” per riferirsi alla dilatazione dell’ampiezza del cuore.
E di nuovo entra in gioco nelle parole del pontefice la sessualità vissuta come parte essenziale della vita di coppia, non come “di più” ma con la consapevolezza che il piacere legato all’amore fisico è dono di Dio, e che l’altro, il coniuge, è Creatura e in quanto tale detentrice di una dignità che non va mai messa in gioco: della sessualità l’unica parte da mettere sotto controllo è l’idea del possesso, della considerazione dell’altro-da-sé come oggetto.
[148] L’educazione dell’emotività e dell’istinto è necessaria, e a tal fine a volte è indispensabile porsi qualche limite. L’eccesso, la mancanza di controllo, l’ossessione per un solo tipo di piaceri, finiscono per debilitare e far ammalare lo stesso piacere, e danneggiano la vita della famiglia. In realtà si può compiere un bel cammino con le passioni, il che significa orientarle sempre più in un progetto di autodonazione e di piena realizzazione di sé che arricchisce le relazioni interpersonali in seno alla famiglia. Non implica rinunciare ad istanti di intensa gioia, ma assumerli in un intreccio con altri momenti di generosa dedizione, di speranza paziente, di inevitabile stanchezza, di sforzo per un ideale. La vita in famiglia è tutto questo e merita di essere vissuta interamente.
[150] Dio stesso ha creato la sessualità, che è un regalo meraviglioso per le sue creature. Quando la si coltiva e si evita che manchi di controllo, è per impedire che si verifichi « l’impoverimento di un valore autentico ». San Giovanni Paolo II ha respinto l’idea che l’insegnamento della Chiesa porti a « una negazione del valore del sesso umano » o che semplicemente lo tolleri «per la necessità stessa della procreazione». Il bisogno sessuale degli sposi non è oggetto di disprezzo e «non si tratta in alcun modo di mettere in questione quel bisogno»
[151] La sessualità non è una risorsa per gratificare o intrattenere, dal momento che è un linguaggio interpersonale dove l’altro è preso sul serio, con il suo sacro e inviolabile valore. In tal modo « il cuore umano diviene partecipe, per così dire, di un’altra spontaneità ». In questo contesto,l’erotismo appare come manifestazione specificamente umana della sessualità. In esso si può ritrovare «il significato sponsale del corpo e l’autentica dignità del dono».
[153] In questa epoca diventa alto il rischio che anche la sessualità sia dominata dallo spirito velenoso dell’“usa e getta”. Il corpo dell’altro è spesso manipolato come una cosa da tenere finché offre soddisfazione e da disprezzare quando perde attrattiva. Si possono forse ignorare o dissimulare le costanti forme di dominio, prepotenza, abuso, perversione e violenza sessuale, che sono frutto di una distorsione del significato della sessualità e che seppelliscono la dignità degli altri e l’appello all’amore sotto un’oscura ricerca di sé stessi?
[156] Riprendiamo la sapiente spiegazione di san Giovanni Paolo II: «L’amore esclude ogni genere di sottomissione, per cui la moglie diverrebbe serva o schiava del marito […]. La comunità o unità che essi debbono costituire a motivo del matrimonio, si realizza attraverso una reciproca donazione, che è anche una sottomissione vicendevole»
A corollario di questo, con grande sapienza e realismo, il Papa avverte che oggi, più che mai, il matrimonio è la scelta continua dell’altro. E’ una sfida al conoscersi ogni momento di più e meglio perché – col prolungarsi della vita – è necessario approfondire i motivi della relazione, trasformarli, in ossequio alle varie fasi della vita:
[163] prolungarsi della vita fa sì che si verifichi qualcosa che non era comune in altri tempi: la relazione intima e la reciproca appartenenza devono conservarsi per quattro, cinque o sei decenni, e questo comporta la necessità di ritornare a scegliersi a più riprese. Forse il coniuge non è più attratto da un desiderio sessuale intenso che lo muova verso l’altra persona, però sente il piacere di appartenerle e che essa gli appartenga, di sapere che non è solo, di aver un “complice” che conosce tutto della sua vita e della sua storia e che condivide tutto. È il compagno nel cammino della vita con cui si possono affrontare le difficoltà e godere le cose belle. Anche questo genera una soddisfazione che accompagna il desiderio proprio dell’amore coniugale. Non possiamo prometterci di avere gli stessi sentimenti per tutta la vita.
Con una chiosa che commuove:
[164] Ci si innamora di una persona intera con una identità propria, non solo di un corpo, sebbene tale corpo, al di là del logorio del tempo, non finisca mai di esprimere in qualche modo quell’identità personale che ha conquistato il cuore.