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Non si può separare la culla dalla croce

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Judy Landrieu Klein - pubblicato il 08/04/16

Una madre riflette con devozione sulla dipendenza di suo figlio

Possono separare la Festa dell’Annunciazione dal Venerdì Santo, ma non possono spostare la culla dalla croce. Non se si è genitori.

Quando sei madre, in particolare, ci saranno parti travagliati e dolorosi per il resto della tua vita: partorire una nuova vita, partorire delle morti necessarie, aiutare a partorire ogni risurrezione attesa.

“Devi andare dietro a quella bimba e prenderla prima che cada. Altrimenti si farà male”, ha detto di recente mia sorella parlando della mia nipotina Rose, di appena 10 mesi. Cammina dappertutto senza alcun buon senso; Rose è un incidente in attesa di compiersi. Forse ci stiamo invecchiando, ho pensato, se iniziamo a immaginare di poterle risparmiare i bernoccoli e le sbucciature della vita. Perché va da sé che i bambini hanno bisogno di cadere e di rialzarsi per poter imparare a camminare liberamente.

E poi c’è Maria sulla Via Dolorosa, che guarda Gesù cadere di continuo sotto il peso della croce. Le trafissioni profetizzate a Gesù quando era nella mangiatoia devono aver avuto un forte impatto durante il cammino e la più benedetta delle madri non ha potuto smussare la punta affilata della spada, né attutire il dolore della caduta. Guardare da lontano il peso del mondo schiacciare le sue spalle deve aver di certo fatto male a Maria visceralmente, mentre anch’essa portava il peso nato dal frutto del suo grembo.

Ma questa sofferenza era necessaria per la resurrezione a venire, e la dolorosa salita al colle avrebbe condotto alla vita.

La culla e la croce non sono mai state ideate per essere separate; le doglie del parto, la spinta in avanti, la morte del vecchio ordine, una nuova vita. È un ciclo di morte e gloria, del quale Cristo ha mostrato l’autentico paradosso: “Gesù rispose: «È giunta l’ora che sia glorificato il Figlio dell’uomo. In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo la conserverà per la vita eterna” (Giovanni 12:23-25).

Ora vedo il mio amato figlio cadere sotto il peso schiacciante della sua croce, soffrendo nel crogiolo di una dipendenza, una volta interrotta, che sta ora puntando di nuovo le proprie grinfie su di lui. Mescolo le mie lacrime con quelle di Maria e prego Dio affinché anche questo travaglio possa portare una nuova nascita e una resurrezione, mentre unisco il mio cuore a quello di Gesù.

“Fai tu quello che lui non riesce a fare, Signore”, prego costantemente. “Che il potere della tua morte e resurrezione lo richiamino alla vita”. E poi aspetto un’altra ora, un altro giorno, affinché lui scelga la vita.

Ogni cosa in me vuole frenare la sua rovinosa caduta; il cuore di una mamma è sempre predisposto per salvare un figlio che sta per farsi male. Ma ostacolare il suo cammino verso il Calvario vuol dire ostacolare la strada della liberazione.

Prego affinché io possa – e così ogni genitore ferito – assumere la graziosa postura di Maria lungo la Via Dolorosa; con i piedi per terra, gli occhi fissi su Dio, e una preghiera sussurrata di fiducia e arrendevolezza che parte dal cuore e si diffonde attraverso le labbra.

Sì, la culla e la croce sono inesorabilmente connesse, e non è una coincidenza che quest’anno ce lo ricorda persino la sacra ricorrenza del 25 marzo. Preferisco che in questa stagione Annunciazione e Crocifissione coincidano, che ogni cosa sia al suo posto, confidando che entrambe le fonti di vita siano offerte gratuitamente a tutti, invitandoci a dire .

[Traduzione dall’inglese a cura di Valerio Evangelista]

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