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Che succede quando invochiamo il potente Nome di Gesù?

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Shutterstock / Asier Romero

La-Oracion.com - pubblicato il 04/04/16

Invocarlo è entrare in comunione con Lui e con il suo insegnamento, perché si sa e si crede che è vivo

Il consiglio di agire nel nome di Gesù può sembrare una cosa antica, un tentativo di usare il suo nome come una specie di talismano, come una parola magica. Le autorità dei tempi degli apostoli credevano così, e proibirono a Pietro e a Giovanni di pronunciare quel nome.

àLa virtù del nome di Gesù non implica una forza esoterica, ma il segno trascendente si verifica per la fede nella persona del Signore.

àQuando San Paolo afferma “àNel nome di Gesù ogni ginocchio si pieghi nei cieli, sulla terra e sotto terraà” (Fil 2,10), non sta parlando di una formula segreta, ma del trionfo di Cristo su tutti i poteri, una volta che ha realizzato il progetto di Dio, suo Padre, e ha sottomesso tutti i suoi nemici, compresa la morte.

àSan Paolo testimonia come dopo il suo incontro con il Signore, sulla via di Damasco, abbia scoperto che non c’è un altro che possa salvare e abbia raccontato ai discepoli “àcome durante il viaggio aveva visto il Signore che gli aveva parlato, e come in Damasco aveva predicato con coraggio nel nome di Gesùà” (At 9, 27)

àInvocare il nome di Gesù

àPronunciare il nome di Gesù è invocare la sua presenza, credere in Lui, ed è la forza della fede nella sua persona che dà forza e coraggio, anche per condividere con Lui il cammino della Croce.

àSan Giovanni afferma: “àQuesto è il suo comandamento: che crediamo nel nome del Figlio suo Gesù Cristo e ci amiamo gli uni gli altri, secondo il precetto che ci ha datoà” (1 Gv 3, 23).

àIn questa affermazione si riassumono le due dimensioni essenziali, quella trascendente e quella sociale, quella teologale e quella dell’alterità fraterna.

àInvocare il nome di Gesù è entrare in comunione con Lui e con il suo insegnamento, perché si sa e si crede che è vivo. Da questo dipende il fatto di avere vitalità, esperienza del risorto, ragione evangelizzatrice, fecondità apostolica.

àL’affermazione del Vangelo è contundente, e da essa dipendono i frutti dell’evangelizzatore. Dice Gesù: “Senza di me non potete far nulla” (Gv 15, 5).

àQuante pretese di agire in modo emancipato, anche se è per compiere opere buone! Perché nel caso di agire a favore degli altri non è per bontà, ma per grazia ricevuta.

àRivendicare come proprio quello che è di Dio significa nella migliore delle ipotesi incoscienza, quando non presunzione, vanità o protagonismo narcisistico.

àLa parabola della vita e dei tralci è un’immagine intuitiva che il Vangelo ci offre e che dovrebbe curare la nostra prepotenza.

àQuanto è triste vedere gli agenti di pastorale sconfitti dopo aver lavorato incessantemente! Ma è possibile che sia dovuto al fatto che lo hanno fatto a nome proprio.

àPotremo rimanere nella gioia e nella pace nel compito di annunciare il Vangelo solo se restiamo legati a Dio e agiamo nel suo nome.

à[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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