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Perché si accusa la Chiesa di essere contraria alla donazione di organi?

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Africa Studio/Shutterstock

Observatorio de Bioética - pubblicato il 15/03/16

La Chiesa la ritiene una forma di carità, sempre che si salvaguardino la vita e la dignità del donatore

Il 17 febbraio scorso, è stato pubblicato sul quotidiano spagnolo El País un articolo intitolato “Trapianti fermi in nome di Dio”, nel quale il dottor Rafael Matesanz, coordinatore dell’Organizzazione Nazionale per i Trapianti di Spagna, affermava che la Chiesa cattolica, con la sua dottrina, può frenare i trapianti di organi e che “anche oggi la Chiesa cattolica continua ad esercitare pressioni per impedire alcuni tipi di trapianti in Paesi come l’Italia e la Polonia”.

“Per tre anni”, si legge, “sono stato consulente di trapianti in Toscana, e lì si nota l’influenza del Vaticano in Italia, perché non si è riusciti a introdurre la donazione per arresto cardiaco a causa delle pressioni della Chiesa cattolica”.

Queste affermazioni sostengono il messaggio, neanche tanto subliminale, per cui la Chiesa cattolica può frenare la donazione di organi per i trapianti.

Ma qual è la verità dei fatti in relazione alla dottrina della Chiesa cattolica sulla donazione di organi?

Morte neurologica di un paziente o morte cerebrale

Nel 1956 sono stati pubblicati i primi casi relativi a pazienti assistiti in terapia intensiva e sottoposti a ventilazione artificiale in cui si manifestava un blocco totale dell’attività cerebrale, il che ha portato alla necessità di determinare i criteri clinici per definire la morte neurologica di un paziente, evitando così la futilità terapeutica in questi casi e definendo allo stesso tempo il momento in cui si potesse realizzare l’estrazione degli organi per la donazione.

Solo nel 1957, però, si è iniziato a definire i primi criteri etici da seguire in questa pratica.

Sembra che il primo a presentare questa necessità sia stato il dottor Bruno Hide, che durante un congresso di anestesiologia svoltosi a Roma in quell’anno esortò papa Pio XII a pronunciarsi su varie questioni bioetiche fino a quel momento non ben definite. Una di queste era la determinazione del momento della morte di un paziente e la misura in cui questo criterio clinico poteva influire moralmente sull’ottenimento di organi per i trapianti.

Pio XII rispose che, anche se il problema della determinazione della morte di un paziente trascende l’aspetto meramente clinico, la decisione di stabilire il criterio della morte di un paziente che ancora respira ma è in stato di incoscienza “dipende solo dai medici e in particolare dagli anestesisti. Ciò significa che la risposta non può basarsi su alcun principio religioso né morale, per cui in questo senso non è competenza della Chiesa, trattandosi di un problema strettamente medico”.

Si potrebbe dire che in quel momento l’unica cosa richiesta dalla Chiesa era un rispetto totale della dignità della persona nella situazione clinica concreta.

Solo nel 1968 un comitato della Harvard Medical School, guidato dal professor Henry Beecher, ha stabilito i criteri per definire la morte di un paziente basandosi su considerazioni neurologiche (JAMA 205; 337-340, 1968). Stabilire questo criterio aveva fondamentalmente due obiettivi: evitare la futilità terapeutica per i pazienti con danno cerebrale irreversibile in terapia intensiva e far sì che i pazienti che rispondevano a quei criteri potessero diventare donatori di organi.

Quanto alla condotta della Chiesa relativamente a queste pratiche, sembra interessante sottolineare che l’unico riferimento bibliografico incluso nel rapporto del comitato fu il discorso del 1957 di papa Pio XII.

Dalle dichiarazioni del pontefice del 1957 non sono stati pubblicati altri documenti papali o del magistero ecclesiastico riferiti alla definizione dei criteri di morte di un paziente fino al 1986, anno in cui, in occasione dei tentativi in vari Paesi di legalizzare l’eutanasia, si è chiesto alla Pontificia Accademia delle Scienze un rapporto sugli aspetti clinici e morali della morte cerebrale.

L’Accademia ha pubblicato un documento in cui si stabiliva che una persona è morta “quando ha subito una perdita irreversibile di coordinamento delle sue funzioni fisiche”, ovvero “che la morte si verifica quando: a) le funzioni spontanee del cuore e la respirazione sono cessate definitivamente e b) quando si è verificata la cessazione irreversibile di tutte le funzioni cerebrali, concludendo che “la morte cerebrale è il vero criterio di morte, perché il blocco definitivo delle funzioni respiratorie conduce alla morte cerebrale”.

Nel 1989 un secondo Rapporto della stessa Accademia sul medesimo tema ha confermato le conclusioni precedenti. Ad ogni modo, conviene segnalare che anche se le opinioni della Pontificia Accademia delle Scienze non rappresentano l’opinione della Chiesa, questi due documenti apportano informazioni sufficienti perché chi desidera formulare un giudizio morale su questi fatti possa farlo, oltre a sostenere quanto affermato da Pio XII nel 1957.

Ci sembra però che un documento che esplicita il criterio della Chiesa cattolica sulla donazione di organi sia il discorso di papa Benedetto XVI ai partecipanti a un Congresso Internazionale sulla donazione di organi, organizzato dalla Pontificia Accademia per la Vita, in cui il pontefice affermava:

“La donazione di organi è una forma peculiare di testimonianza della carità. In un periodo come il nostro, spesso segnato da diverse forme di egoismo, diventa sempre più urgente comprendere quanto sia determinante per una corretta concezione della vita entrare nella logica della gratuità”.“I trapianti di tessuti e di organi rappresentano una grande conquista della scienza medica e sono certamente un segno di speranza per tante persone che versano in gravi e a volte estreme situazioni cliniche”.“Se il nostro sguardo si allarga al mondo intero è facile individuare i tanti e complessi casi in cui, grazie alla tecnica del trapianto di organi, molte persone hanno superato fasi altamente critiche e sono state restituite alla gioia di vivere. Questo non sarebbe mai potuto avvenire se l’impegno dei medici e la competenza dei ricercatori non avessero potuto contare sulla generosità e sull’altruismo di quanti hanno donato i loro organi”.“È utile, soprattutto nel contesto odierno, ritornare a riflettere su questa conquista della scienza, perché non avvenga che il moltiplicarsi delle richieste di trapianto abbia a sovvertire i principi etici che ne stanno alla base. Come ho detto nella mia prima Enciclica, il corpo non potrà mai essere considerato un mero oggetto (cfr. Deus caritas est, n. 5); la logica del mercato, altrimenti, avrebbe il sopravvento”.“Per quanto riguarda la tecnica del trapianto di organi, ciò significa che si può donare solamente se non è mai posto in essere un serio pericolo per la propria salute e la propria identità e sempre per un motivo moralmente valido e proporzionato”.“Avviene spesso che la tecnica del trapianto di organi si compia per un gesto di totale gratuità da parte dei parenti di pazienti di cui è stata accertata la morte. In questi casi, il consenso informato è condizione previa di libertà, perché il trapianto abbia la caratteristica di un dono e non sia interpretato come un atto coercitivo o di sfruttamento. È utile ricordare, comunque, che i singoli organi vitali non possono essere prelevati che ex cadavere, il quale peraltro possiede pure una sua dignità che va rispettata”.“La scienza, in questi anni, ha compiuto ulteriori progressi nell’accertare la morte del paziente. E’ bene, quindi, che i risultati raggiunti ricevano il consenso dall’intera comunità scientifica così da favorire la ricerca di soluzioni che diano certezza a tutti. In un ambito come questo, infatti, non può esserci il minimo sospetto di arbitrio e dove la certezza ancora non fosse raggiunta deve prevalere il principio di precauzione”.“In questi casi, comunque, deve valere sempre come criterio principale il rispetto per la vita del donatore così che il prelievo di organi sia consentito solo in presenza della sua morte reale (cfr. Compendio del Catechismo della Chiesa Cattolica, n. 476)”.

Sostenere quindi che la Chiesa cattolica disapprova la morte encefalica come morte della persona e che questo atteggiamento può generare una diminuzione della donazione di organi per i trapianti, come – a nostro giudizio in modo infondato – si afferma nell’articolo di El País commentato all’inizio di questo contributo, presuppone il fatto di non riconoscere le dichiarazioni della Chiesa cattolica su questa materia, sempre favorevoli alla donazione di organi anche se seguendo sempre criteri scientifici che garantiscano la morte encefalica globale del paziente.

Salvaguardare il diritto alla vita di ogni essere umano non è andare contro il progresso, mentre attentare contro di esso è l’atteggiamento più regressivo possibile.

Di Justo Aznar e Julio Tudela, Osservatorio di Bioetica, Università Cattolica di Valencia

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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