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La rinascita di una ragazza sorda e cieca grazie a suor Margherita

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 07/03/16

E' uscito nelle sale il 3 marzo il film di Jean-Pierre Améris ambientato nel XIX secolo

Molti, anche grazie al film

di Arthur Penn (tratto dall’opera teatrale di William Gibson) conoscono la straordinaria vicenda della statunitense Helen Keller (1880-1968), sorda e cieca da quando aveva 19 mesi, che grazie all’aiuto della sua istitutrice imparò a interagire con il mondo, diventando poi scrittrice, insegnante e attivista per i diritti dei disabili (Ansa, 28 febbraio).

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Una storia simile, negli stessi anni, accaduta in Francia a una quattordicenne sordo-cieca, viene raccontata con grande intensità e un tocco di leggerezza in Marie Heurtin – Dal buio alla luce di Jean-Pierre Améris, con Ariana Rivoire (che nella vita è realmente sorda) e Isabelle Carré.

L’AIUTO DELLE SUORE

Nata nel 1885 sorda e cieca, la quattordicenne Marie Heurtin è incapace di comunicare. Il padre di Marie, un umile artigiano, disperato, si reca presso l’istituto di Larnay vicino Poitiers, affinché delle suore si prendano cura della ragazzina (Panoama, 6 gennaio).

“PICCOLO E SELVAGGIO ANIMALE”

Impaurita e turbolenta, Marie è intrattabile. Nonostante lo scetticismo della Madre Superiora, la giovane suor Margherita, prende questo “piccolo e selvaggio animale” sotto la sua ala e fa di tutto per condurla fuori dal buio e dal silenzio. Riuscirà, nonostante i fallimenti e i tentativi di scoraggiamento, armata della sua gioiosa fede e dell’amore per Marie.

LA LINGUA DEI SEGNI

Dopo molti mesi di battaglie e duro lavoro, suor Margherita riesce finalmente a fare un primo passo nell’insegnarle il linguaggio dei segni.

Attraverso le dita si instaura un contatto di pazienza e fiducia, una specie di corrente soprannaturale che lavora e opera su Marie fino a condurla ad apprendere tutti i segni dell’alfabeto muto.

LA SVOLTA DI MARIE

Marie Heurtin avrebbe poi imparato il Braille, l’uso della macchina da scrivere, il domino e altri giochi, il cucito, il lavoro a maglia, la storia e la geografia, lo scorrere del tempo, diventando una delicata giovane donna (La Stampa, 1 marzo).

IL MESSAGGIO “NASCOSTO”

Scrive Tempi.it (29 febbraio): dopo aver guardato la storia nel suo svolgersi cronachistico, occorre mettersi di sbieco per poterne vedere anche il messaggio, che non è solo quello della sua morale edificante. Potrebbe bastarci, in fondo, sapere che c’è gente di buon cuore che si prende cura di gente sfortunata

LA FRAGILITA’ E L’INCOMPIUTEZZA

Man mano che Marie impara a dare i nomi alle cose e che a tal profumo, forma, gusto corrisponde il pomodoro, impara anche il limite, l’incompiutezza, la fragilità congenita del segno. Mentre scopre che ogni cosa è compiuta (nasce, ha un nome, è riconoscibile, ha un posto nel creato) scopre anche che quella stessa cosa è incompiuta, appassisce e finisce: o perché finisce lei o perché finiamo noi.

LìOCCHIO PROFETICO

Il paradosso più interessante di Marie Heurtin è che l’occhio profetico è quello di una cieca, che impara a vedere anche quel che non si vede. A conoscere, meglio di chi potrebbe farlo per facoltà fisica, che il finito di ciò che ci passa sotto le dita è la più grande prova della necessità che qualcosa d’altro ci completi, ci porti a compimento, ci redima. Occorre un occhio profetico, cioè che sappia vedere fino all’ultimo orizzonte, per rendersi conto che l’incompiuto non è una tagliola, ma attesa di compimento. E occorre un’educazione per accettarlo e trasmetterlo. È quello che Marie, divenuta educatrice, insegnerà a suor Marguerite e alle altre Marie che già bussano alla porta del convento.

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