Se non ne hai bisogno ora ne avrai bisogno in seguito, dice Sant’Ignazio
Nel più profondo del nostro essere ci sono due esperienze molto forti se viviamo in sintonia con quello che ci accade, se non siamo “dispersi”: da un lato la consolazione, che proviene dallo Spirito Positivo, dall’altra la desolazione, che ha origine nello spirito negativo.
Sant’Ignazio le descrive entrambe, ma per la consolazione dice meno, offrendo solo due consigli per chi è consolato.
Parla invece molto di più per i desolati, descrivendo la desolazione come un’oscurità dell’anima, un turbamento, un’attrazione per le cose basse e mondane, un’inquietudine per agitazioni e tentazioni varie e abbondanti che spingono a sfiducia, disperazione e malvagità.
Quando si è desolati, l’anima è debole, tiepida, come separata da Dio. Desolato vuol dire quindi lontano da Dio.
A una monaca che sperimentava questa desolazione interiore, Sant’Ignazio descrive in una lettera le caratteristiche della desolazione:
“Il nemico ci fa sviare da ciò che abbiamo iniziato, cerca di abbatterci nell’animo, in noi c’è tiepidezza senza sapere perché ci sentiamo così, non possiamo pregare con devozione né ascoltare le cose di Dio con piacere interiore. Sentiamo come se fossimo dimenticati da Dio, arriviamo a pensare di essere del tutto lontani da Dio, niente ha senso, né quello che abbiamo fatto né ciò che vorremmo fare, è come se tutto cadesse nel vuoto, arriviamo a diffidare di tutto“.
Ignazio dà solo due indicazioni a coloro che sono consolati: di stare attenti per essere preparati quando arriverà il momento della desolazione (chi è consolato deve pensare a come agirà quando sarà desolato) e di non affrettarsi a prendere decisioni troppo generose.
Offre più indicazioni sulla desolazione, e per questo affronteremo maggiormente questo aspetto.
La descrizione fenomenologica di Ignazio di come veniamo colti nei nostri stati d’animo lontani dal cammino della grazia o tentati per allontanarci da questo è incredibilmente intuitiva.
A chiunque si riconosca come una persona fragile, debole e peccatrice, il sano riconoscimento di questa realtà fa bene al momento di dare un volto alla nostra condizione reale e da questa situazione cercare in Dio, con pace, il modo per percorrere altre vie.
I sintomi della desolazione
Il desolato tende a chiudersi in se stesso. Gli costa amare, la carità diventa un supplizio, gli altri perdono importanza, scompaiono dal suo cuore, la persona inizia a volersi mordere la coda, a girare su se stessa.
Tornano all’improvviso alla mente offese, rancori, insuccessi, tendenza a sminuirsi, a non sentire l’amore di Dio.
Nel film Il Rito, ha richiamato la mia attenzione come il diavolo, quando parla attraverso coloro che sono posseduti dal suo spirito, ricordi i peccati del passato e lavori sul senso di colpa.
Quando è lo Spirito Positivo a mostrare il peccato, la persona sente uno sprone che la fa uscire da sé; quando è invece lo spirito negativo a farlo, arriva il rimorso.
Alcune espressioni tipiche di quando siamo desolati sono “Basta”, “Sono stufo”, “Ora mollo tutto”, “È tutto inutile”, “Nessuno mi aiuta”, “Tutto è perduto”.
C’è poi un altro aspetto, quello della scarsa valutazione di se stessi – “Non valgo niente”, “Non servo a niente”, “Nessuno mi vuole bene”, “Nessuno capisce cosa mi succede” -, o ancora quando si ha una responsabilità di fronte ad altri nella guida, nell’educazione, nella paternità o maternità, nella guida pastorale e ci si sente traditi nell’esercizio del proprio compito e si vuole rinunciare al ruolo che si aveva.
Allo stesso modo, anche chi viene guidato a volte può pensare di non essere considerato: “Nessuno ha fiducia in me”.
Cos’è allora la desolazione? È uno stato di tentazione. Il desolato ha l’animo increspato come un’insalata messa nel congelatore.
Lo stato di desolazione non è una tentazione puntuale, sola o isolata, ma è proprio questo, uno stato, in cui tutto ciò che abbiamo descritto è espresso con tratti diversi e molto più di quello che potremmo dire.
Lottare contro la desolazione: pazienza e umiltà
Di fronte alla desolazione, Ignazio mette al primo posto la pazienza. Non tanto “avere” pazienza, quanto “stare in” pazienza, ovvero uno stato.
Il desolato sente l’assenza di Dio, che apparentemente si è addormentato sulla barca o non ci ascolta, per cui “stare in pazienza” è importante.
C’è poi l’arma dell’umiltà, la terra sconosciuta dallo spirito negativo, che è superbo.
Quando di fronte alle difficoltà, alle desolazioni o alle prove ci poniamo come autosufficienti o orgogliosi, entriamo nel campo della superbia, in cui il male è più forte di noi.
L’umiltà si manifesta in due gesti, il primo dei quali è pregare. L’umile prega, mentre il superbo non prega perché pensa di non aver bisogno di nulla.
Quando si è desolati, Ignazio raccomanda di pregare un po’ di più, e “non solo per resistere, ma per vincere”. Si offrono quei cinque minuti in più, che sembrano eterni.
Il secondo aspetto in cui si manifesta l’umiltà è la richiesta di aiuto. Ignazio dice che lo spirito negativo cerca di metterci a tacere, di passare inosservato e di far sì che il tentato non parli con chi non lo può aiutare.
Ignazio ha una regola d’oro: nei momenti di desolazione non fare mai grandi cambiamenti, ovvero non cambiare i propositi, soprattutto quelli più grandi, gli stati di vita, le decisioni prese.
Dall’altro lato, Ignazio raccomanda di cambiare molto contro la tentazione. Ad esempio, se quando siamo desolati tendiamo a non pregare, dobbiamo fare il contrario, ovvero pregare di più; se ci chiudiamo nella nostra stanza, dobbiamo allora uscire e incontrare gente.
Dobbiamo anche rendere le nostre tentazioni oggetto di preghiera, raccontare al Signora cosa stiamo vivendo e cosa ci sta accadendo.
Di Javier Soteras
Articolo pubblicato per Radio Maria Argentina
[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]