A tre anni dalla beatificazione del prete ucciso dalla mafia fedeli divisiUn beato…a frammenti. Don Dino Puglisi, ucciso dalla mafia il 15 settembre del 1993, beatificato dalla Chiesa il 25 maggio del 2013 è venerato nella sua Sicilia già come un santo. La presenza delle sue reliquie nelle parrocchie siciliane raggruppa imponenti partecipazioni di fedeli e curiosi.
Ora però si riaccende il dibattito sull’opportunità o meno di questi eventi. Ovvero l’estrazione di parti del suo corpo per diventare reliquie ed essere oggetto di venerazione da parte di chi non può raggiungere la sua tomba, è una pratica da avallare o meno?
“SE FOSSE VOSTRO FRATELLO CHE FARESTE?”
Non l’ha mai approvata suo fratello Francesco, che racconta a La Repubblica (3 marzo). «Hanno convocato noi parenti quando la salma è stata traslata dal cimitero alla cattedrale. Ci hanno detto che le sue reliquie erano richieste da tutto il mondo. Ho obiettato che si trattava di una usanza barbara. “Cosa farete, taglierete a pezzetti mio fratello e ve lo venderete?” ho chiesto. Allora si sono limitati. Ma qualche pezzetto lo hanno prelevato. Hanno tagliato le costole. Allora mio fratello maggiore è intervenuto. Ha detto: “Adesso basta”. Non voglio criticare. Ma ho detto loro: “Se fosse vostro fratello, lo fareste tagliare a pezzetti?”. In passato tutto questo è stato fatto con i parenti del santo ormai deceduti. Stavolta, purtroppo, noi eravamo vivi. Dunque, non potevano procedere senza permesso. Ma da allora ci hanno trattato come nemici. Forse le reliquie servivano a richiamare l’attenzione dei fedeli sulle opere di mio fratello. Ma ora seguire veramente il suo esempio significherebbe fare le cose, perché lui le cose le faceva per davvero».
“NESSUN INCONTRO IN PRESENZA DI RELIQUIE”
La Repubblica raccoglie anche la testimonianza di Rosaria Cascio, insegnante, cresciuta nei gruppi giovanili di padre Puglisi, impegnata a divulgare le opere e i metodi del parroco di Brancaccio, batte lo stesso tasto: «Da un paio d’anni vengono mandate in giro per parrocchie. Io mi sono rifiutata di fare incontri in presenza delle reliquie. Perché? I bambini andavano a vederle solo per curiosità, le donne toccavano la teca con i fazzoletti di carta e poi li baciavano come fossero stati beatificati a loro volta, i fazzolettini di carta… queste sono usanze medioevali».
LA VENERAZIONE DI FRAMMENTI DEL CORPO
Su Tuttavia.eu, giornale on line della Pastorale della pastorale della cultura e dell’educazione dell’arcidiocesi di Palermo (marzo 2014), un’altra insegnante, Valentina Chinnici, osserva: «Da insegnante – e da cattolica – che ha portato con sé i propri ragazzi, molti dei quali musulmani, indù o non credenti, non posso fare a meno di domandarmi quale sia la funzione, per la Chiesa del terzo millennio, della venerazione di una reliquia».
«A cosa serve insomma una reliquia? A ricordare che il beato è vissuto davvero e che la sua testimonianza è autentica? Se è questo il motivo, non bastava forse la testimonianza di quanti lo hanno conosciuto e ne diffondono a tutt’oggi le parole e i gesti? Se si voleva un qualcosa di tangibile, non sarebbe bastato, per esempio, il testo della Bibbia che è stato sepolto con lui nella sua stessa bara, a dire l’amore immenso che padre Pino nutriva per le Scritture?».
“MAI SOTTO LE LUCI DEI RIFLETTORI”
Era veramente necessario, prosegue l’insegnante, «asportare quel frammento osseo, esporlo in una solenne urna d’argento e farlo girare per vie e parrocchie, in cortei guidati dalle confraternite? Proprio lui, Padre Puglisi, che certa mentalità devozionistica aveva combattuto, tanto che, come testimonia un amico: “Si era dovuto confrontare duramente due anni addietro quando, appena arrivato a Brancaccio, aveva dovuto controbattere alle richieste di dar vita ad una festa grande e dispendiosa in onore del santo. Lui aveva messo alla porta quegli uomini ritenendo scandaloso che in un quartiere così povero fosse possibile pensare a sperperare tanto denaro in inutili luminarie e in rumorosi fuochi pirotecnici. Modesto ed umile, padre Puglisi evitava sempre le luci dei riflettori, anche quando operava in prima fila”».
TAPPA IN 178 PARROCCHIE
Il frammento della costola del beato Pugliesi ha fatto tappa in 178 parrocchie, cioè tutte quelle che ricadono sotto l’arcidiocesi di Palermo. Come spiega diocesipa.it (agosto 2014), portale on line della diocesi di Palermo: «Dalla parrocchia di san Gaetano, a Brancaccio, a quella di Godrano: l’ultima chiesa e la prima in cui il beato padre Pino Puglisi ha svolto il suoministero sacerdotale sono state il punto di partenza e di arrivo della peregrinatio della reliquia del sacerdote ucciso dalla mafia».
UN PERCORSO “MULTIMEDIALE”
L’iniziativa è stata organizzata dalla curia per dare l’opportunità ai fedeli di conoscere meglio la figura del sacerdote ucciso dalla mafia. «Spesso – spiegava l’allora vescovo ausiliare, monsignor Carmelo Cuttitta – è conosciuta sommariamente. Così abbiamo deciso di attivare questo percorso». Un percorso in cui la reliquia è stata accompagnata anche da una mostra itinerante; in pratica, alcuni pannelli con messaggi, riflessioni e la presentazione della figura di padre Puglisi sono stati esposti nelle chiese dove è stata accolta la reliquia. Le comunità parrocchiali, invece, hanno organizzato per l’occasione anche conferenze e musical sul primo martire ucciso dalla mafia».
“FAR CONOSCERE LA SUA TESTIMONIANZA”
Un “modello” che dal 2014 ad oggi è proseguito anche in alter diocese siciliane e che ha un obiettivo preciso. «Attraverso la presenza della reliquia – è la tesi di monsignor Cuttitta – i fedeli hanno la possibilità di conoscere la testimonianza martiriale del sacerdote e la sua persona perché la sua figura non venga ridotta a un santino».