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La parabola di Umberto Eco, dall’Azione Cattolica ad un ateismo “inquieto”

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Flickr/Alessio Jacona/CC

Gelsomino Del Guercio - Aleteia - pubblicato il 23/02/16

L'intellettuale e semiologo si è però sempre espresso a difesa dell'intervento della Chiesa sui temi sociali. Parlando anche di divorzio e omosessuali

Da militante e attivista dell’Azione Cattolica, credente e praticante, ad ateo “turbato”. Si può’ sintetizzare cosi il rapporto tra Umberto Eco e la religione cattolica. Una transizione che prese forma dopo il 1954, anno della sua sua laurea in filosofia all’Università di Torino, e il 1962

“L’ABBANDONO DELLA FEDE”

Scrive Alessandro Zaccuri su Avvenire (21 febbraio):

L’inizio vero della storia, forse, sta proprio qui, in questi otto anni di passione (Sette anni di desiderio è, com’è noto, il titolo di una sua raccolta di scritti giornalistici apparsa nel 1983) che stanno fra la discussione della tesi su “Il problema estetico in Tommaso d’Aquino”, relatore Luigi Pareyson, e la pubblicazione di “Opera aperta”, il saggio nel quale il metodo dell’Aquinate viene messo a servizio delle avanguardie novecentesche.

«La perdita della fede è qualcosa di difficilmente ponderabile – ammetteva Eco in un’intervista ad “Avvenire” del 1994 –. Si potrebbe anche tentare

di offrire, provocatoriamente, una teologia alternativa, come a dire: non sono io che ho smesso di credere in Dio, è Dio che ha smesso di credere in me. Resta il fatto che allontanarsi da una religione rivelata non significa abbandonare la dimensione religiosa, la dimensione della domanda».

“CI RITROVEREMO IN PARADISO”

Lo storico e saggista Franco Cardini ricorda sempre su Avvenire (21 febbraio) una delle sue conversazioni con Eco:

Scherzavamo sul suo giovanile cattolicesimo e sul mio pertinace “clericalismo”. Io gli davo dell’“apostata”, lui a sua volta dava a me del “superstizioso”. Poi mi disse: «E comunque io ti fregherò: andrò in paradiso prima di te»; «Non ti faranno entrare»; «Lo dici tu: Dio lo conosco, abbiamo letto gli stessi libri (era una sua vecchia battuta: alludeva appunto a Gilson, a Marrou, a De Lubac…); e poi sono amico di san Tommaso…»; «…ti ci sei arruffianato… »; «…è quello che ti dicevo: li conosco, sono vecchi amici: vuoi che mi lascino fuori? Ma non temere: ti aspetterò sul portone, anche se sei un vecchio fascista».

IL DIRITTO AD INTERVENIRE

Un laico turbato (Uccronline.it, 22 febbraio), non certo un ateo, che proclamava il diritto della Chiesa ad intervenire pubblicamente nella società: «Quando una qualsiasi autorità religiosa di qualsiasi confessione si pronuncia su problemi che concernono i princìpi dell’etica naturale, i laici debbono riconoscerle questo diritto: possono consentire o non consentire sulla sua posizione, ma non hanno nessuna ragione per contestarle il diritto di esprimerla, anche se si esprime come critica al modo di vivere del non credente. Non ritengo esista il diritto inverso».

DIVORZIO E OMOSESSUALI

I laici, secondo Eco, «non hanno diritto di criticare il modo di vivere di un credente. Non vedo perché debbano scandalizzarsi perché la Chiesa cattolica condanna il divorzio: se vuoi essere cattolico non divorzi, se vuoi divorziare fatti protestante. Io confesso che sono persino irritato di fronte agli omosessuali che vogliono essere riconosciuti dalla Chiesa, o ai preti che vogliono sposarsi» (In cosa crede chi non crede, Liberal Libri 1996, p. 13).

LE LETTERE AL CARDINALE

Celebri anche le lettere che scrisse al cardinale Carlo Maria Martini. Scrisse di Gesù: «Se Cristo fosse pur solo il soggetto di un grande racconto, il fatto che questo racconto abbia potuto essere immaginato e voluto da bipedi implumi che sanno solo di non sapere, sarebbe altrettanto miracoloso (miracolosamente misterioso) del fatto che il figlio di un Dio reale si sia veramente incarnato. Questo mistero naturale e terreno non cesserebbe di turbare e ingentilire il cuore di chi non crede».

L’ETICA E LA SALVEZZA

Così, «io ritengo che un’etica naturale – rispettata nella profonda religiosità che la anima – possa incontrarsi coi princìpi di un’etica fondata sulla fede nella trascendenza, la quale non può non riconoscere che i princìpi naturali siano stati scolpiti nel nostro cuore in base a un programma di salvezza» (In cosa crede chi non crede, Liberal Libri 1996, p. 25).

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