separateurCreated with Sketch.

Riabilitazione e danza: quando la fragilità balla

whatsappfacebooktwitter-xemailnative
Opus Dei - pubblicato il 19/02/16
whatsappfacebooktwitter-xemailnative

Santa Cecilia, una scuola di danza all’avanguardiaDal 1964 Isabel Albors insegna danza classica alla sua scuola, Santa Cecilia. Ma dalla metà degli anni ’90 ha scoperto quello che è stato il migliore progetto della sua carriera, quando tra gli iscritti a Santa Cecilia hanno iniziato a esserci anche alcuni bambini con bisogni speciali.

Il primo è stato Alex, che soffriva di paralisi cerebrale. Aveva 4 anni, era stato dimesso con un certificato medico e la raccomandazione di sottoporsi a riabilitazione. Sua madre, un’infermiera, ha conosciuto Santa Cecilia per caso. Inizialmente a Maribel sembrò strano portare suo figlio in riabilitazione in una scuola di danza. Ma ciò che la convinse definitivamente è stato il fatto che, in seguii a una prima intervista, quell’insegnante iniziò a leggere quanto più possibile sulla paralisi celebrale, impostando un piano speciale di esercizi per il bambino. A 23 anni Alex, un patito del Barcellona e del cinema, continua la sua terapia settimanale. “Noi non dimettiamo nessuno”, dice Isabel.

A seguire fu Jordi, un bambino appena operato per una spina bifida. “Non vale la pena fare la riabilitazione, trattatelo come un bambino normale”, consigliarono alla sua famiglia. Ma sua zia – che lavorava nella scuola – ne parlò con Isabel, che si mise subito al lavoro. I genitori arrivarono con il materiale provvisto dagli specialisti – che prevedevano incontinenza e un ritardo cognitivo – e con una sedia a rotelle… La risposta di Isabella è stata: “Mettiamo via questi libri e iniziamo a lavorare: quando comparirà un ostacolo cercheremo una soluzione”. Ora Jordi sta facendo il liceo e le uniche ruote che usa sono quelle della bici.

“Io non li ho cercati. Sono venuti e li ho accolti”

Anche se essere madre di cinque figli e direttrice della scuola di danza le lasciava poco tempo per altre attività, Isabel ha sempre avuto in cuore il desiderio di andare oltre nel suo ambiente professionale.

Anni prima di iniziare a lavorare con questi bambini, si era interessata di anatomia e psicomotoria. “Ho iniziato a studiare e a frequentare corsi – presso l’Istituto Medico dello Sviluppo Infantile di Barcellona e presso l’Università di Saragozza – per imparare sullo sviluppo motorio e cognitivo e per poter capire se i miei alunni avessero qualcosa che non andasse ai piedi, alle spalle, alla vista…”.

Poi accettò una proposta per insegnare educazione motoria in una scuola materna. Così, quando i primi bambini con bisogni speciali arrivarono a Santa Cecilia, Isabel aveva già decenni di studio e di lavoro sul tema.

Coincidenze? Lei afferma che tutto è stato provvidenziale. “È Dio che ha fatto tutto questo. Negli ultimi vent’anni la scuola di danza ha visto passare più di sessanta bambini con vari tipi di disabilità. Non li ho cercati. Sono semplicemente venuti, e noi li abbiamo accolti. E ogni volta ne vengono di più”.

Un abito su misura

Alex e Jordi sono solo due casi, ma Isabel ricorda ogni nome e ogni storia. Ana, Judith, Andrea, Davide, Alba, Miguel. Parla con naturalezza di paralisi cerebrale o di sindrome di Down, ma anche del lipomeningocele, della sindrome di Rett, di Asperger o di Angelmann, delle conseguenze di un tumore. Nel caso di una bambina con una sindrome molto particolare, che non parlava, Isabel ha cercato consigli da una rivista specializzata, che le ha detto: “Usa tutto ciò che sai e falle un abito su misura”. E questo è stato l’approccio. “Ogni bambino è un mondo a sé, non si può generalizzare. Bisogno andare in fondo, con tranquillità e lavorando. Pensare che andrà bene a ognuno, provarci”.

Quando ha iniziato questo lavoro nei primi anni ’90, la scuola aveva 120 studenti di danza classica e Isabel era l’unica insegnante. Ora ha diversi locali, un team – che include diversi terapisti e una psicologa – che condivide la sua visione, 130 studenti di danza, 120 studenti di karate e 30, tra bambini e adolescenti, in un programma di educazione speciale.

Supportare le famiglie

“Quasi sempre si tratta del primo figlio. Per i genitori la notizia è dura. Le illusioni vengono sradicate, le previsioni sono generalmente negative. Il futuro sembra insormontabile”.

La filosofía di Isabel Albors è di non lasciarli soli, di lavorare duro e di vedere, in ogni momento, cosa si può fare. Si tratta, soprattutto, di fare in modo che i genitori si sentano supportati: “È un supporto più umano che professionale: queste persone soffrono come chiunque altro, pensano che le cose andranno meglio e a volte chiamano solo per sapere come sto”.

E poi c’è il costo economico dei centri di riabilitazione, che per molte di queste famiglie è una difficoltà insormontabile. Per questo fino a due anni fa Santa Cecilia offriva il servizio gratuitamente, perché una famiglia con un bambino malato e senza risorse è doppiamente sola. Ora, a causa dei tanti bambini che hanno bisogno di cure, alle famiglie che hanno possibilità viene richiesta una piccola somma con cui contribuire.

“Dietro ogni ragazzo c’è una famiglia che soffre molto… A me, la capacità di accogliere ed amare, viene da Dio. Non è mia”. Diciotto anni fa Isabel cominciò a frequentare a delle riunioni di formazione cristiana organizzate dall’Opus Dei. “Perché bisogna avere un’anima forte. L’Opera ti forma e si prende cura di te, affinché tu possa dar frutto. Ti ricorda che ogni cosa piccola che puoi fare per qualcuno del tuo ambiente, cambia il mondo. È come la forza della preghiera, che non si vede ma c’è”.

“Mamma, non puoi essere come tutte le madri e comprare vestiti alla Corte Inglés (El Corte Inglés è la più importante catena di grandi magazzini in Spagna, ndt)?”, si lamentava una delle sue figlie quando era adolescente e l’accompagnava a comprare dei ganci. Anni dopo, Isabel continua a lavorare alla ricerca di un meccanismo affinché nessuna madre debba reggere per i polsi sua figlia di 40 chili.

 

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Valerio Evangelista]