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La “rivoluzione sessuale” è una delle cause della violenza sessuale

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© Everst / Shutterstock

Aleteia - pubblicato il 18/02/16

Ma il laicismo insiste nel fingere che non sia così

Quasi un anno fa, nel marzo 2015, in Brasile è stata approvata la legge che ha reso il femminicidio un crimine odioso. In mezzo alle discussioni sulla corruzione e sui suoi effetti devastanti sul portafogli e sulla pazienza dei cittadini, la notizia di questa nuova legge è passata in secondo piano, e lo stesso vale per la sua efficacia.

In una cultura che finge che non ci sia alcuna conseguenza nel ridurre le persone a meri oggetti sessuali, una legge di questo tipo è un passo avanti, ma molto fragile e palliativo, perché è lungi dall’affrontare seriamente la cause del problema.

Nel 2013, la rivista statunitense Violence and Victims ha pubblicato una ricerca condotta dall’Università della Georgia sul rapporto tra l’industria pornografica e la violenza contro le donne. Lo studio, com’è prevedibile, è stato ampiamente ignorato dai grandi media.

La ricerca non è tuttavia passata inosservata al medico e sessuologo Vincenzo Puppo, del Centro Italiano di Sessuologia, che in un’intervista al quotidiano La Stampa ha spiegato perché la pornografia causa dipendenza e quali sono gli effetti della sua trasformazione in vizio:

“La visione continua e ripetuta degli organi genitali maschili e femminili, porta lentamente senza che l’uomo/donna se ne accorga, a una inibizione della capacità di eccitarsi mentalmente: lo stesso stimolo sensoriale continuamente ripetuto se all’inizio è eccitante, dopo un certo tempo non lo è più, e il cervello ha bisogni di stimoli superiori”, arrivando ad esempio a consumare immagini di stupri o altre violenze sessuali, di sadomasochismo, di sesso con animali, con bambini…

E non finisce qui.

La ripetizione continua della visualizzazione di queste immagini nuove e perverse porta il cervello a diventarne dipendente. Dalla dipendenza malata da sempre più scene degradanti, associate all’eccitazione e al piacere personale, si tende all’impulso non meno malato di passare ai fatti. Così, quando l’ambiente di “mera” visualizzazione della pornografia pesante non è più sufficiente per “sfogare” il vizio, il dipendente finisce per esplodere in atti di violenza non solo contro le donne, ma anche contro gli uomini e, cosa ancor più terribile, contro bambine e bambini.

Gli allarmi degli esperti in questioni come questa non hanno in genere successo nella cultura laica per ovvi motivi: questa “cultura” non vuole ammettere che ogni eccesso ha delle conseguenze, perché un’ammissione simile sarebbe una confessione delle proprie menzogne (piuttosto lucrose).

È più o meno la stessa visione permissiva e indulgente che si ha nei confronti dell’alcool, con la responsabilità dell’epidemia di consumo tra gli adolescenti e i giovani che viene trasferita a contesti esterni alla loro coscienza e alla loro volontà. Poverini…

Per quanto riguarda l’ipersessualizzazione della cultura laica, le stesse persone che puntano il dito con furore contro il “modello machista repressivo” chiudono gli occhi in modo criminale e ipocrita di fronte alla relazione inequivocabile tra la “rivoluzione sessuale” e la trasformazione ancora più accelerata degli esseri umani in oggetti di piacere malato.

I laicisti furibondi vorranno risolvere il problema anziché limitarsi a lucrare con ONG e lobby che fingono di combatterlo?

[Traduzione dal portoghese a cura di Roberta Sciamplicotti]

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