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Testimoniare la fatica e la gioia di essere una famiglia cristiana

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Pixabay.com/Public Domain

Silvia Lucchetti - Aleteia - pubblicato il 17/02/16

47 storie autentiche che raccontano come l'affidarsi a Gesù sostiene la famiglia anche nelle difficoltà e nel dolore

«L’uomo contemporaneo ascolta più volentieri i testimoni che i maestri e se ascolta i maestri lo fa perché sono dei testimoni» (Paolo VI Evangelii nuntiandi)

LA FATICA E LA GIOIA Voci di famiglie cristiane, a cura di don Arturo Cattaneo, Alessandro Cristofari e Gioia Palmieri (Cantagalli 2015) raccoglie quarantasette testimonianze di persone comuni e di personaggi noti al grande pubblico, come Max Giusti, Pupi Avati, Debora Caprioglio, Luca Barilla, che raccontano la loro esperienza di famiglia cristiana.
Ci sono Emanuele e Renata che a prezzo di grandi sacrifici affrontati con “leggerezza” hanno desiderato e avuto la grazia di una famiglia numerosa composta da 8 figli. E proprio la bellezza e complessità di una famiglia tanto grande ha contribuito a consolidare il loro rapporto, ad aumentare la loro fede, ha insegnato loro ad affidarsi alla Provvidenza.

Emanuele: «La Provvidenza esiste e lavora alla grande: lo fa con discrezione, con rispetto dei caratteri e dei limiti di ognuno(…) Così il brutto momento del fallimento nel lavoro mi ha costretto alla fine di un lungo percorso di tentativi e fatiche a «consegnare» le chiavi di tutto al mio santo preferito. E la mia famiglia si è stretta intorno a me con tanta semplicità e così tanto cuore da rendere inopportuna ogni ulteriore preoccupazione ed anzi fino a trasformare un possibile dramma in una nuova e diversa possibilità (…)».

Emanuele e Renata convolati a nozze giovanissimi, ventuno anni lei e ventitré lui, raccontano come molti conoscenti e amici all’inizio della loro avventura coniugale consigliavano di aspettare ad avere figli, di godersi la vita e divertirsi.

Dopo la nascita dei primi figli, i consigli di aspettare a diventare genitori si trasformarono nel suggerimento di fermarsi, di “darsi una calmata”.

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Pixabay.com/Public Domain

Emanuele: «Dal quarto in poi gli amici, i nonni, i parenti tutti sembravano gridare in coro: «Basta, fermatevi! Non sapete quello che fate». Al quinto hanno capito che non conveniva esternare certi loro pensieri. Forse dal sesto hanno compreso davvero quanto ricca e straordinaria fosse questa truppa d’assalto che ci portavamo appresso».

Renata: «Talvolta facciamo viaggi e visite in posti sacri e spesso con bimbi nello zainetto o nella pancia. Ma Copertino con il suo San Giuseppe aveva per noi qualcosa di speciale. Io orgogliosa presento la mia famiglia con sei figli ad un anziano frate, il quale mi dice un piccolo «Bene, bene» e poi esclama: «Tu stai con tuo marito come vuole il Signore e i prossimi saranno santi». Io non so se saranno santi Raffaele e Tommaso, ma sicuramente avranno contribuito a santificare me e mio marito e tutti i fratelli, perché il loro arrivo ha nuovamente portato freschezza e gran rumore in casa (…)».

La testimonianza di Roberto e Angela racconta la sofferenza provata per un figlio che non è arrivato e poi la gioia dell’adozione e dell’affido, scoprendo così una fecondità diversa e il vero significato dell’espressione “aprirsi alla vita”. «Ci siamo sposati 39 anni fa e non abbiamo avuto figli: questo fatto ci ha dapprima addolorato ma poi messi in moto, proprio per l’insistenza di don Giussani sulla positività delle circostanze nelle quali il Signore ci pone. Un giorno, mentre eravamo in viaggio e avevamo più tempo per parlarci, ci siamo detti: «Dobbiamo ammettere che siamo fatti così: è un dato!» (…) ci siamo messi a cercare a cosa servisse questo dato che Qualcuno aveva messo nella nostra vita. (…)Proprio partendo da ciò che sembrava una negazione, la nostra famiglia si è aperta: sono arrivati nel tempo tre figli in adozione e poi molte persone, giovani o adulte, che hanno condiviso con noi pochi mesi o qualche anno di vita».

Questa coppia, non solo ha adottato tre figli, oggi sposati e genitori a loro volta, ma negli ultimi vent’anni ha ospitato in casa, per mesi o anni, molte persone che avevano bisogno di vivere in famiglia. Oggi in casa con loro vivono, Debora, 43 anni, i suoi figli di 17, 5 e 3 mesi e Adel, di 23 anni.

«Pur nelle inevitabili tensioni, abbiamo sempre avuto chiaro che solo la nostra unità poteva essere il punto di riferimento di cui avevano bisogno i nostri figli per diventare adulti: a conservare e far crescere questa unità abbiamo dedicato tempo, attenzione e preghiera. Un aiuto essenziale è stata l’amicizia in Cristo che abbiamo vissuto nel nostro gruppetto di sette famiglie della Fraternità di Comunione e Liberazione: è stato luogo di conforto, di confronto e di concretissimo aiuto. È proprio in quella situazione che il Signore è tornato a far visita alla nostra casa. Un giorno arriva una telefonata: il Centro di Aiuto alla Vita cerca una famiglia per una giovane donna di trent’anni che aspetta un figlio(…) Così è arrivata Stefania, 32 anni, con il proprio dolore ma con in grembo il grandissimo dono di un figlio, inatteso ma subito accolto e difeso a costo di non avere più un tetto sotto cui stare. Che grande insegnamento è stata la sua presenza per noi e per i nostri figli adolescenti, aiutati e costretti a guardare la realtà nella sua estrema concretezza; e che gioia e tenerezza ha portato in famiglia la nascita di Selene, stemperando con i suoi vagiti e primi sorrisi il clima di tensione e di contrapposizione che le famiglie con figli adolescenti fuori dalle righe conoscono bene».

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Poi c’è la storia di un medico Alberto, rimasto vedovo con quattro bambini piccoli, raccontata dal figlio Pietro. Il 14 agosto del 1983, di ritorno a Roma con tutta la famiglia dalle ferie trascorse in Calabria, mentre erano in sosta sulla corsia di emergenza dell’Autosole per un’avaria, sua moglie muore investita da un’automobilista che non si ferma a prestare soccorso.

«Lui ha fede, crede fermamente in Dio, ma un fatto del genere non riesce proprio a spiegarselo. Una cosa lo colpisce però, una frase, che gli disse proprio sua figlia, quella di sette anni: una piccola luce nella totale oscurità di quel momento. «Papà, ma è vero che sul monte il Signore provvede?»(…) «sul monte il Signore provvede» è il versetto che sintetizza l’esperienza di Abramo, il quale seguì il comando di Dio, salì sul monte, credendo di dover sacrificare il figlio Isacco, ma il Signore provvide l’ariete da offrire e, in premio per la sua fede, gli concesse la benedizione che lo renderà padre di una discendenza immensa (Gen.22,14)».

Così Alberto si affida a Dio e sperimenta su di sé che “sul monte il Signore provvede”. Riesce a perdonare l’automobilista che aveva investito sua moglie, pochi anni dopo sposa Giuseppina che condivide con lui l’esperienza di iniziazione cristiana del Cammino Neocatecumenale e con la quale metterà al mondo altri otto figli.

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«Non è stato un processo semplice: i miei colleghi di lavoro mi chiedevano: “Ma cosa hai fatto perché tutti i tuoi figli potessero essere uniti pur convivendo con grandi sofferenze?”. La verità è che ha fatto tutto il Signore e io mi sono solo limitato a ringraziarlo per i miracoli che ha fatto nella mia famiglia».

Racconta ancora Alberto di come la fede sia sempre stata l’elemento basilare, la chiave di lettura della sua storia familiare. Il cugino, comunista convinto, preconizzava che i suoi figli, dopo tutto quello che avevano sofferto sarebbero diventati atei, perché se la sarebbero presa con Dio.

«Questo non è successo: i miei figli sono tutti persone di fede e i miei nipoti con loro. La fede nella famiglia si è conservata, perché abbiamo dato una interpretazione cristiana di quello che è successo nella nostra vita. Quella morte che poteva essere una grande disgrazia, ha portato tanta vita… Questo è ciò che il Signore fa: trasforma la morte in vita».

Le storie contenute nel testo, narrate in prima persona dagli stessi protagonisti, mostrano la bellezza di essere famiglia in una quotidianità complessa, fatta di conquiste, goie, difficoltà e incertezze che assumono un colore diverso quando si vivono affidandole a Gesù, confermando pienamente l’intuizione di papa Paolo VI sulla straordinaria forza della testimonianza.

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