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Papa Francesco ai giovani: “Non lasciate la vostra vita in mano ai narcos”

Andrea Tornielli - Vatican Insider - pubblicato il 17/02/16

L’incontro allo stadio di Morelia con più di centomila giovani. Il pontefice canta con loro.

«Non è vero che l’unico modo di vivere, di essere giovani è lasciare la vita nelle mani del narcotraffico o di tutti quelli che la sola cosa che stanno facendo è seminare distruzione e morte». La penultima giornata della visita in Messico di Papa Francesco si conclude con una grande festa. Più di centomila giovani lo abbracciano nello stadio «Morelos y Pavón» di Morelia. Cinquantamila si sono radunati all’esterno, nell’aerea del parcheggio, seguendo l’incontro con i maxischermi, ma hanno potuto vedere dal vivo Francesco che è passato a salutarli con la papamobile. Gli altri cinquantamila hanno trovato posto all’interno. Tutti agitavano fazzoletti colorati. Tanti come sempre i fuori programma: due ragazze con la sindrome di down sono state fatte avvicinare a Bergoglio, che le ha abbracciate a lungo.

Francesco ha ricevuto vari doni e saluti da quattro giovani messicani, provenienti da quattro angoli del Paese, hanno preso la parola. Gli hanno chiesto come recuperare «il sogno di formare una famiglia»; come ottenere la pace in un Messico piagato dalla corruzione e dal narcotraffico; come essere rafforzati nella speranza.

Prendendo la parola il Papa ha ricordato che migliaia di giovani stavano seguendo la diretta dell’incontro dalla piazza San Giovanni Paolo II di Guadalajara: «Sono migliaia, siamo due stadi!». «Uno dei tesori più grandi di questa terra messicana – ha proseguito il Papa – ha il volto giovane, sono i suoi giovani. Sì, siete voi la ricchezza di questa terra. E non ho detto la speranza di questa terra, ho detto: la ricchezza».

E «non si può vivere la speranza, sentire il domani se prima non si riesce a stimarsi, se non si riesce a sentire che la propria vita, le proprie mani, la propria storia hanno un valore. La speranza nasce quando si può sperimentare che non tutto è perduto, e per questo è necessario l’esercizio di cominciare da se stessi». «Vi chiedo silenzio ora – ha improvvisato – e ciascuno nel suo cuore si chieda: è vero che non tutto è perduto? Io valgo, valgo poco o molto?».

«La principale minaccia alla speranza – ha continuato Francesco – sono i discorsi che ti svalutano, che ti fanno sentire di seconda o di quarta classe. La principale minaccia alla speranza è quando senti che a nessuno importa di te o che sei lasciato in disparte. La principale minaccia alla speranza è quando senti che se ci sei o non ci sei è la stessa cosa. Non è vero che succede? Questo uccide, questo ci annienta e apre la porta a tanto dolore».

«Ma c’è un’altra principale minaccia alla speranza – ha continuato il Pontefice – ed è farti credere che cominci a valere quando ti mascheri di vestiti, marche, dell’ultimo grido della moda, o quando diventi prestigioso, importante perché hai denaro, ma in fondo il tuo cuore non crede che tu sia degno di affetto, degno di amore. La principale minaccia è quando uno sente che i soldi gli servono per comprare tutto, compreso l’affetto degli altri. La principale minaccia è credere che perché hai una bella macchina sei felice. Credete che avere una bella macchina renda felici?» ha chiesto mentre i giovani rispondevano «Nooo».

«Voi siete la ricchezza del Messico, voi siete la ricchezza della Chiesa – ha detto ancora Francesco – E capisco che molte volte diventa difficile sentirsi la ricchezza quando ci troviamo esposti continuamente alla perdita di amici e di familiari nelle mani del narcotraffico, delle droghe, di organizzazioni criminali che seminano il terrore. È difficile sentirsi la ricchezza di una nazione quando non si hanno opportunità di lavoro dignitoso, possibilità di studio e di preparazione, quando non si vedono riconosciuti i diritti e questo finisce per spingere a situazioni limite». Malgrado tutto questo, «non mi stanco di ripeterlo: voi siete la ricchezza del Messico».

«Roberto – ha aggiunto a braccio il Pontefice, riferendosi a uno degli interventi – tu hai detto una frase che vorrei tenere: hai detto che hai perduto qualcosa e non hai detto che hai perso il cellulare, o dei soldi, ma lo stupore dell’incontro, di sognare insieme. Non perdete lo stupore di sognare!» E «sognare non è lo stesso di essere dormiglioni, no!».

Il Papa ha precisato: «non pensate che vi dica questo perché sono buono, o perché sono un esperto, no. Vi dico questo, e ne sono convinto, sapete perché? Perché come voi credo in Gesù Cristo. Ed è Lui che rinnova continuamente in me la speranza, è Lui che rinnova continuamente il mio sguardo. È Lui che continuamente mi invita a convertire il cuore. Sì, amici miei, vi dico questo perché in Gesù ho incontrato Colui che è capace di accendere il meglio di me stesso».

È grazie a Lui che «possiamo fare strada, è grazie a Lui che ogni volta possiamo ricominciare da capo, è grazie a Lui che possiamo avere il coraggio di dire: non è vero che l’unico modo di vivere, di essere giovani è lasciare la vita nelle mani del narcotraffico o di tutti quelli che la sola cosa che stanno facendo è seminare distruzione e morte. Questa è una menzogna e lo diciamo tenendo la mano di Gesù! È grazie a Lui che possiamo dire che non è vero che l’unico modo di vivere per i giovani qui sia nella povertà e nell’emarginazione. È Gesù Cristo colui che smentisce tutti i tentativi di rendervi inutili, o meri mercenari di ambizioni altrui».

La parola di speranza che Bergoglio lascia ai giovani messicani «si chiama Gesù Cristo. Quando tutto sembra pesante, quando sembra che ci caschi il mondo addosso, abbracciate la sua croce, abbracciate Lui e, per favore, non staccatevi mai dalla sua mano, per favore, non allontanatevi mai da Lui. Anche se cadete, lasciatevi tirare su. Come dice una canzone degli alpini, nell’arte di salire l’importante non è non cadere, ma è non rimanere caduto. Gesù Cristo è l’unico! Non nascondere la tua mano quando sei caduto, non dirgli: non guardami perché non c’è rimedio per me. E la ricchezza che tenevi dentro e che credevi perduto, ricomincia a dare frutto, ma sempre rimanendo attaccati alla mano di Gesù».

«E se vedi un’amica o un amico caduto, offrigli la mano, con dignità, piano, come amico, dagli forza con le tue parole, lascialo parlare, è “l’ascolto-terapia”. Perché insieme a Gesù, attaccati alla sua mano, è impossibile andare a fondo. È possibile vivere pienamente, insieme a Lui è possibile credere che vale la pena dare il meglio di sé, essere fermento, sale e luce tra gli amici, nel quartiere, in comunità».

Il Papa ha invitato i giovani a non lasciarsi escludere: «Non lasciarvi disprezzare, non lasciarvi trattare come merce. Gesù ha dato un consiglio: siate candidi come colombe e astuti come serpenti. Astuti e buoni, sensibili. Certo, è probabile che così non avrete la macchina ultimo modello, non avrete il portafoglio pieno di soldi, ma avrete qualcosa che nessuno potrà togliervi cioè l’esperienza di sentirsi amati, abbracciati e accompagnati. È l’esperienza di sentirsi famiglia, di sentirsi comunità, a fronte alta, senza la macchina, senza il denaro, ma con la dignità».

Gesù, ha concluso il Papa, «mai ci inviterebbe a essere sicari, ma ci chiama discepoli, ci chiama amici. Egli mai ci manderebbe a morire, ma tutto in Lui è invito alla vita. Una vita in famiglia, una vita in comunità; una famiglia e una comunità a favore della società. E qui vorrei riprendere una cosa che ha detto prima Rosario: nella famiglia si apprende vicinanza, solidarietà, condivisione, a portare i problemi gli uni degli altri, a litigare, a discutere, a baciarsi e a fare pace. La ricchezza è ciò che custodisce questa ricchezza. Nella famiglia voi avete dignità. Mai lasciate da parte la famiglia, la famiglia è la pietra di base della costruzione di una grande nazione. Voi sognate di formare una famiglia?». «Siii», hanno risposto in coro i giovani. «Voi siete la ricchezza di questo Paese – ha detto alla fine il Papa – e quando dubitate di questo, guardate Gesù Cristo, Colui che smentisce tutti i tentativi di rendervi inutili, o meri mercenari di ambizioni altrui».

Al termine dell’incontro i giovani hanno cominciato a intonare un canto caro al Papa, che – fatto rarissimo – si è messo a cantare con loro: «Vive Jesus, el Señor», mentre migliaia di palloncini bianchi venivano liberati verso il cielo.

QUI L’ARTICOLO ORIGINALE

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