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Gesù è davvero unico nella storia delle religioni?

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Aleteia - pubblicato il 15/02/16

Un Dio fatto uomo, umiliato, giustiziato come i peccatori, risorto dai morti e che ci interpella sempre

di Monsignor André-Joseph Léonard

1. Con parole inequivocabili, Gesù – e solo Lui – si è messo al livello di Dio. Questo l’ha portato alla sua condanna a morte per blasfemia. Come nessun altro, ha avuto gesti che solo Dio può rivendicare.

Mai un uomo ha parlato come parla quest’uomo!” (Gv 7, 46).

La prima caratteristica della figura di Gesù è la pretesa che ha espresso, sia nelle parole che nelle azioni, di essere di condizione divina. Questo è assolutamente unico nella storia dell’umanità. Gesù è l’unico uomo che nel pieno delle sue facoltà abbia “rivendicato” di essere uguale a Dio.

Questo si traduce in primo luogo nelle sue parole, delle quali informano gli evangelisti Giovanni, Matteo e Luca: “Tu, che sei uomo, ti fai Dio” (Gv 10, 33), “Chi ha visto me ha visto il Padre” (Gv 14, 10), “Io e il Padre siamo una cosa sola” (Gv 10, 30).

Tutto questo ha portato alla sua condanna a morte per blasfemia, nel suo processo davanti al Sinedrio (assemblea di responsabili religiosi).

Il testo più decisivo si trova nel Vangelo di Marco, quando si racconta il processo a Gesù: “‘Sei tu il Cristo, il Figlio di Dio benedetto?’ Gesù rispose: ‘Io lo sono! E vedrete il Figlio dell’uomo seduto alla destra della Potenza e venire con le nubi del cielo’. Allora il sommo sacerdote, stracciandosi le vesti, disse: ‘Che bisogno abbiamo ancora di testimoni? Avete udito la bestemmia; che ve ne pare?’. Tutti sentenziarono che era reo di morte” (Mc 14, 61-64).

Con questa risposta, Egli si identifica solennemente con quel misterioso Figlio dell’uomo che il profeta Daniele (7, 13-14) ha contemplato in una visione, e dice che si siederà alla destra dell’Onnipotente e verrà tra le nubi del cielo. Nell’Antico Testamento il potere e le nubi sono attributi strettamente divini, e applicandoli a Se stesso Gesù rivendica chiaramente un rango divino.

La pretesa di Gesù di essere di condizione divina non si esprime solo a parole esplicite, ma anche in gesti e atteggiamenti, a volte accompagnate da dichiarazioni.

Ciò che di Gesù sorprende immediatamente e rallegra la folla è l’autorità con cui parlava, a volte la stessa di Dio nella Legge e nei Profeti: “Avete inteso che fu detto… ma io vi dico…” (Mt 5, 21-44).

Egli si attribuisce anche il diritto di perdonare agli uomini i peccati, un privilegio divino. Chiede alle persone di sacrificare tutto per seguirlo e fa dipendere la salvezza degli uomini dall’atteggiamento che avranno adottato nei Suoi riguardi: “chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà” (Mc 8, 35).

Gesù rivendica un’importanza tale che vuole stare personalmente dietro a ogni uomo della storia, poter accogliere tutti e salvare tutti.

Questa pretesa, legata a una grande umiltà, è un fatto unico nella storia dell’umanità, e in essa risiede l’essenza stessa del cristianesimo.

Tutti gli altri fondatori di una religione – Buddha, Confucio, Maometto – lanciano un movimento spirituale che una volta iniziato può svilupparsi indipendentemente da loro. Ma Gesù è l’oggetto stesso del cristianesimo.

Egli non si limita a indicare un cammino, come Lao Tse. Afferma di essere Egli stesso il cammino. Non dice di essere portatore di una verità, come qualsiasi altro profeta, ma si presenta come la Verità stessa. Non si limita ad aprire una strada che conduce alla vita, come i filosofi, ma pretende di essere, nella sua persona concreta, la pienezza stessa della vita divina: “Io sono la Via, la Verità e la Vita” (Gv 14, 6).

E afferma anche: “Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morrà in eterno. Credi tu questo?” (Gv 11, 25-26).

Lo credi davvero?

Questo è unico in tutta la storia. E la domanda posta da Gesù è l’unica che conti: “Credi tu questo?”

La vera fede cristiana inizia quando il cristianesimo lascia spazio a Cristo, quando un credente o un simpatizzante smette di interessarsi alle idee o alla morale cristiana prese in astratto e incontra Gesù come Qualcuno, colui che rivendica di essere vero uomo e vero Dio. Uno tra migliaia di individui in quanto uomo e l’Unico in quanto Figlio eterno di Dio, venuto in questo mondo.

E tuttavia, questa pretesa senza pari non è altro che il primo dei tre tratti essenziali della figura di Gesù. Vediamo gli altri due!

2. In un modo che nessuna religione o filosofia ha osato immaginare, Gesù è morto umiliato, abbandonato dagli uomini e da Dio, con il rango dei peccatori.

La seconda caratteristica della figura di Gesù contrasta totalmente con la pretesa della divinità. Si tratta dell’estrema umiliazione di Gesù all’ora della sua passione. Troviamo qui il paradosso assoluto della figura sfigurata di Cristo, colui che ha emesso la pretesa esorbitante di essere il Figlio di Dio, morto nel silenzio di Dio, apparentemente abbandonato da “suo” Padre: “Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?” (Mc 15, 34). Questo grido è tratto dal Slamo 22, di cui Gesù grida ad alta voce il primo versetto.

Ciò colpisce sia quelli che erano lì che Marco e Matteo, che si fanno eco delle sue parole nella loro lingua originale, l’aramaico: “Eloï, Eloï, lama sabachtani?”.

Il paradosso è totale: Egli, che riuniva le folle ed era seguito dai discepoli, muore solo, anche rinnegato, tradito dai suoi. Il vivo per eccellenza si conta tra i morti. L’innocente, il santo di Dio, muore come un senza Dio, nell’angoscia dei peccatori.

La morte umiliante al centro della sua missione

Anche questa caratteristica è unica. È vero che l’universo mitico conosce bene l’idea di un dio sofferente e anche di un dio che muore, ma si tratta di una concezione mitica e non di affermazioni riferite a un uomo concreto della storia. La sofferenza, inoltre, è inclusa come una prova marginale che maschera in modo passeggero la bellezza del dio immortale.

Gesù, invece, va verso la morte come centro della sua missione. Va verso la sua ora, verso il grande battesimo della sua Passione, come alla prova decisiva in cui si gioca tutto. E in modo deciso lo dice con una lucidità e una chiarezza tali che i discepoli sono terrorizzati.

L’unico Dio umiliato della storia

L’ebraismo è l’unica tra le religioni precristiane consapevole dell’azione personale di Dio nella storia, ma non considera la realtà di Dio crocifisso.

Nel libro di Isaia appare un Servo sofferente, messo alla prova e che salva la folla dopo aver portato il peccato dei colpevoli, ma Israele non aveva mai identificato questo servo con la figura gloriosa del messia, e men che meno con una persona divina.

I Vangeli sono chiari circa le difficoltà affrontate da Gesù, anche con i suoi discepoli, per far accettare ai suoi contemporanei l’idea di un messianesimo spirituale il cui compimento sarebbe passato non per un trionfo politico, ma per un abisso di sofferenza che preludeva alla nascita di un mondo nuovo, quello della resurrezione.

3. È l’unico uomo riguardo al quale i testimoni affermano che Dio gli fece superare la morte risuscitandolo.

Il disegno della figura di Gesù termina con una caratteristica assolutamente unica: la testimonianza della sua resurrezione tra i morti. Non c’è alcun altro uomo nella storia del quale si affermi seriamente una cosa del genere.

E la natura e il contesto di queste testimonianze sono tali che l’unica spiegazione plausibile della comparsa e del successo di un’affermazione tale è che il suo oggetto sia reale, ovvero l’evento reale – e in questo senso pienamente storico – della resurrezione.

Una testimonianza di massa e universale

La testimonianza del Nuovo Testamento che si riferisce alla resurrezione di Gesù è di massa e universale.

I quattro Vangeli sono volti alla luce della fede pasquale e non si possono comprendere senza questa luce. Quanto al libro degli Atti degli Apostoli, è tutto dedicato all’annuncio della morte e della resurrezione di Gesù.

E lo stesso accade a San Paolo, le cui lettere sono tutte guidate dalla fede nella resurrezione. La resurrezione è anche fondamentale nelle epistole cattoliche (di Giacomo, Pietro, Giovanni e Giuda), e soprattutto nell’Apocalisse, che culmina con la contemplazione dell’Agnello pasquale, immolato e risorto.

Con la sua resurrezione, Gesù è stato riabilitato, glorificato, e ha raggiunto la sua piena statura umana. E hanno dato e danno testimonianza di Lui milioni di persone in tutto il mondo, anche con la propria vita.

4. Con la sua resurrezione, Gesù annuncia la nostra resurrezione. Ci promette la vita eterna, ed è l’unico a farlo.

Risuscitando Gesù consegnato al potere della morte con il rango dei peccatori, Dio inaugura in Lui un’umanità nuova e un mondo nuovo che ha attraversato il doppio abisso della morte e del peccato.

La Pasqua è quindi per la fede cristiana il principio che la Scrittura definisce “cieli nuovi e terra nuova”, e Cristo risorto appare come il primogenito tra i morti.

In quanto tale, Gesù promette all’umanità che lo seguirà nella gloria di una vita nuova. L’essere umano non è chiamato solo a “sopravvivere” nella sua anima immortale.

Anche i nostri corpi saranno ricreati per la vita eterna in un mondo trasfigurato.

Nessuna filosofia, nessuna religione ha osato sperare questo destino di gloria per l’essere umano. Il grande merito della fede cristiana è il fatto che osa prometterci una speranza di questo tipo, avendo buone ragioni per farlo e basandosi su un evento storico.

Non si tratta di “oppio per il popolo”, come avrebbe detto Marx, ma di una realtà prospettata nel contesto della storia umana.

*monsignor André-Joseph Léonard è arcivescovo di Malinex-Bruxelles (Belgio)

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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