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Perché bisogna aver paura che papa Francesco vada a San Cristóbal de las Casas?

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Marko Vombergar/ALETEIA

Aleteia - pubblicato il 14/02/16

La verità è che Francesco dà fastidio sia alla destra che alla sinistra

Uno degli eventi più rilevanti della visita di papa Francesco in Messico avrà luogo nella diocesi di San Cristóbal de las Casas. Nell’analisi di alcuni, il vecchio paradigma semplificatore “destra-sinistra” ricompare per cercare di comprendere la presenza del Successore di Pietro in questa esperienza pastorale tanto particolare.

In effetti, a chi crede in modo tacito o esplicito che il cristianesimo sia chiamato a esistere sotto un’unica forma di inculturazione sembra quantomeno sospetto che il papa visiti questa diocesi e pianifichi una serie di incontri con la gente più semplice e un momento di preghiera sulla tomba di monsignor Samuel Rúiz. Qualcuno mi ha detto di recente al riguardo: “Il papa non si rende conto che susciterà confusione con questo gesto? Non si rende conto che si può ridare vita alla teologia della liberazione?”.

La verità è che Francesco dà fastidio sia alla destra che alla sinistra attraverso un approccio non ideologico al Vangelo. È come se Dio stesso ci stesse offrendo attraverso la persona del papa un “test” per misurare il nostro grado di ideologizzazione. Se Francesco si inginocchia di fronte alla tomba di monsignor Samuel significa che il papa simpatizza con il marxismo? Ovviamente no. Monsignor Rúiz non era comunista, e la sua teologia non si inquadra pacificamente in alcuna delle cosiddette “teologie della liberazione”. Chi afferma questo dimostra solo la propria ignoranza.

La “teologia indigena” è piuttosto una saggezza pratica che deriva dal popolo che vive la sua fede in base all’identità indigena che non può né deve essere soppressa.

A San Cristóbal, ieri come oggi, non esistono desideri secessionisti o ricerche ideologiche per minare l’autorità del papa. Forse in Europa o negli Stati Uniti ci sono, ma non è il caso del Messico. Voler vedere in San Cristóbal un vivaio di eterodossia è essere molto lontani dalla prassi pastorale della Chiesa latinoamericana, per com’è stata oggetto di discernimento e coltivata dai vescovi negli ultimi 60 anni. Questo non vuol dire che non esistano questioni da purificare, come ovunque. Ciò che significa è che la Chiesa ha curato il cammino di una diocesi che soffre, e la diocesi ha cercato di unirsi al cammino della Chiesa, seguendo le Conferenze Generali del Episcopato Latinoamericano e il Concilio Vaticano II.

Un grande vescovo come Felipe Arizmendi è riuscito a mantenere una visione chiara e un eroico atteggiamento pastorale di fronte a 16 anni di pressioni in quell’angolo del Chiapas. L’estrema destra per molto tempo ha cercato di denigrarlo a livello giornalistico e davanti a Roma. La sinistra ha cercato di ignorarlo. Oggi papa Francesco, vero Successore di Pietro, abbraccia questo pastore, visita la sua diocesi e prega sulla tomba del suo predecessore. Cosa possiamo imparare da questo? Che Francesco è pastore e profeta. Che il papa è stanco delle semplificazioni che mancano tanto alla carità e alla verità.

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Rodrigo Guerra è laureato in Filosofia presso l’Accademia Internazionale di Filosofia del Principato del Liechtenstein, membro del Pontificio Consiglio Giustizia e Pace, della Pontificia Accademia Pro Vita e dell’Équipe di Riflessione Teologica del Consiglio Episcopale Latinoamericano. È inoltre docente del Centro di Ricerca Sociale Avanzata. La sua pagina web è http://www.cisav.mx, la sua e-mail rodrigo.guerra@cisav.org.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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