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Francesco e l’ortodossia. Si raggiungerà la piena comunione?

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Marcelo López Cambronero - pubblicato il 13/02/16

Perché l'ecumenismo avanzi, è necessario che il popolo abbandoni un odio alimentato per secoli

Cosa pensereste se il re o il Presidente della Repubblica di un Paese qualsiasi stabilisse per decreto, come se si trattasse di uno psichiatra di fama, che uno dei suoi sudditi è pazzo e gli imponesse una rigida cura? È possibile una cosa del genere? Sembra di sì, o almeno è quello che ha fatto lo zar Nicola I quando ha saputo della pubblicazione, sulla rivista Teleskov nel 1836, di una lettera del filosofo russo Piotr Chaadaev. Cosa avrà mai scritto quest’uomo?

Chaadaev rifletteva sulla storia della Russia e sulla sua difficile ubicazione tra Oriente e Occidente, e alla luce di questo proponeva una cosa che sembrava una follia al popolo russo e ai suoi dirigenti: la conversione della Russia al cattolicesimo. Era un’idea che sembrava balzana e inaudita, fuori da ogni contesto e realtà, quanto le parole che avrebbe detto un esaltato che aveva perso la testa.

La questione provocò un tale scandalo che lo zar decise di “raccomandargli” di rimanere per tutto il resto della sua vita a casa, a riposare, e gli “prescrisse” di smettere di scrivere per sempre. Stabilì anche che un funzionario andasse ogni giorno a casa dell’uomo per verificare che seguisse alla lettera queste indicazioni “mediche”.

Tiro in ballo questo fatto per farci rendere conto di quello che ha significato per secoli il cattolicesimo per la tradizione ortodossa russa: un’eresia, un errore evidente, e – anche se suona duro – in molte occasioni il regno dell’anticristo. Dando un’occhiata ai racconti e alle leggende russe, ci imbatteremo in un dato che ci sorprenderà: il fatto che dietro un principe ritenuto un traditore o della cospirazione di qualche gruppo di malfattori contro lo zar legittimo si segnala l’influenza del mondo cattolico, di qualche vescovo in genere tedesco o polacco, o direttamente del papa.

L’abbondante propaganda anticattolica è stata sempre ben accolta dai fedeli. Come si possono cancellare in un colpo solo decenni e decenni di incomprensione, rifiuto e anche – così è l’uomo e così è il peccato – di odio? Non è facile. Bisogna percorrere con attenzione quello che sarà un lungo cammino, in cui le dichiarazioni e gli accordi sono importanti ma non basteranno, perché è il popolo che alla fine dev’essere disposto all’abbraccio fraterno.

Mi rimetto alle prove. Nel Secondo Concilio di Lione (1274) e nel Concilio di Ferrara-Firenze (1439) si raggiunsero accordi che cercavano di risolvere le difficoltà teologiche che sembravano impedire la piena comunione tra le due confessioni. Questi accordi, approvati dalle autorità corrispondenti, si scontrarono poi con i pregiudizi di sacerdoti, monaci e laici, che erano troppo forti per accettare una cosa del genere. I mutevoli interessi politici di ambasciatori e piccoli re non aiutarono a far sì che gli sforzi giungessero a buon fine.

Si trova ancora oggi una mancanza di armonia nell’interpretazione teologica di alcuni temi: la formulazione corretta del Credo, il primato del papa, l’ordinazione sacerdotale di uomini e sposati – e mai che un presbitero già ordinato si sposi, che non è lo stesso –, ecc. Non sono tuttavia ostacoli insormontabili. Ciò che è accaduto a Lione o a Firenze si può ripetere, e nessuno dubita che tutte le parti cerchino di essere fedeli a Cristo con tutto il cuore.

I pregiudizi di cui ho parlato in precedenza sono collegati a interessi politici, come abbiamo detto, e anche a una certa distanza culturale. Lo scisma ortodosso risale al 1054 ed è stato preceduto da numerosi disaccordi in cui erano sempre latenti le stesse due circostanze: da un lato la separazione effettiva tra i popoli per la semplice ragione che non si comprendevano, visto che alcuni parlavano latino e altri greco, dall’altro il fatto che la parte orientale dell’Impero romano era sopravvissuta alle invasioni dei barbari e si levava come un potere alternativo all’Impero romano-germanico di allora, e non voleva alcun patto che potesse essere interpretato come una sottomissione a Roma.

Tutto questo è accaduto molto tempo fa. Attualmente la distanza culturale ancora esiste, ma è sempre inferiore. Grecia, Bulgaria, Romania e Cipro sono Nazioni a maggioranza ortodossa che appartengono all’Unione Europea, nella quale ci sono anche altri Paesi che hanno una consistente comunità di questa confessione, come nel caso di Estonia, Lettonia e Lituania. Ci sono gruppi ortodossi significativi anche in Paesi come Germania, Argentina, Canada, Stati Uniti, Cile, Gran Bretagna…

Si sono tuttavia aggiunte nuove sfide. La NATO e il governo di Vladimir Putin mantengono grandi disaccordi su molti fronti: la guerra civile – ormai mondiale – in Siria, lo spiegamento di un sistema antimissilistico nordamericano in Corea del Sud, la divisione dell’Ucraina…, e questo provoca timori tra i popoli, al che va aggiunto il fatto che i fedeli ortodossi sono abituati a collegare i problemi politici e quelli religiosi molto più di quanto accade nelle nostre democrazie secolarizzate.

In questo contesto, papa Francesco e il patriarca di Mosca Kirill si parleranno a Cuba per la prima volta nella storia. Un dato mostra quanto sia significativo questo evento: da quando esiste il patriarcato di Mosca (1589), non si è mai svolto un incontro con queste caratteristiche.

Le cose stanno cambiando. Il dialogo tra i teologi russi (e ortodossi in generale) e quelli cattolici, e tra intellettuali e accademici di entrambe le parti che firmano accordi che coinvolgono le proprie istituzioni, come università, centri di studi, fondazioni, ecc., si sono moltiplicati. Ho avuto l’opportunità di assistere personalmente a vari di questi incontri e di seguirne da vicino altri, e ho visto con i miei occhi quanto il desiderio di comunione totale cresca con grande forza.

Non sarà comunque facile. La stessa ortodossia ha al suo interno importanti conflitti che agiscono come cunei che separano i popoli. Il più importante è forse quello tra il patriarca di Costantinopoli e quello di Mosca sull’estensione dell’autorità del primo (che si considera “patriarca ecumenico”, ovvero “della casa comune”, ma la cui influenza non è sempre ben vista in altre comunità ortodosse), senza dimenticare lo scisma interno che vivono gli ortodossi ucraini da quando è stato creato il patriarcato di Kiev al margine di quello di Mosca, così come altre questioni forse minori ma che hanno comunque il loro peso.

Se a questo aggiungiamo la grande indipendenza che hanno sempre manifestato le Chiese ortodosse particolari in ogni Stato, è impossibile assicurare che i passi che si faranno insieme al patriarca di Mosca abbiano una ripercussione positiva in altri luoghi. Nessuno, questo sì, rimarrà indifferente, perché attualmente più della metà dei fedeli ortodossi del mondo ricade sotto l’autorità di Kirill.

Bisogna superare i malintesi, perdonare i danni reciproci e mettere da parte questioni di indole politica che provocano interferenze nelle conversazioni anche se dovrebbero essere estranee ad esse.

La Chiesa è una, uno solo è il Battesimo e uno solo è il Signore. La piena comunione si verificherà quando ci sforzeremo di camminare insieme, di conoscerci meglio e di sentire la nostra vera unità nella Comunione dei Santi. Arriverà un giorno in cui le sfumature che a volte ci hanno separati sembreranno ridicole, e arrossiremo all’idea che una cosa così piccola abbia influenzato la nostra risposta alla richiesta di Cristo di essere una cosa sola.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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