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Ci possono essere sette all’interno della Chiesa?

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Luis Santamaría del Río - Aleteia - pubblicato il 05/02/16

Attenzione: è fondamentale distinguere tra “sette” e “atteggiamento settario”

In molte occasioni si parla dell’esistenza di sette all’interno della Chiesa cattolica. A volte le accuse provengono da persone che appartenevano a istituzioni ecclesiali e che, abbandonandole, dicono di essere state vittime di sistemi chiusi che se non sono sette ci assomigliano molto.

Altre volte sono le famiglie a lamentarsi del fatto che uno dei propri membri sia cambiato radicalmente dopo essere entrato in contatto con un movimento o un ordine religioso. Possiamo parlare di sette all’interno della Chiesa? “Setta” equivale a “settarismo”? Quali criteri distinguono ciò che è legittimo e ciò che non lo è al momento di parlare di conversione, apostolato, rinuncia…?

Radicalità e radicalismo

Se guardiamo alla storia della Chiesa, vediamo che fin dalle origini ha sempre riconosciuto il valore delle persone che, appassionate nella loro esperienza di incontro con Cristo e di conversione, hanno lasciato tutto per seguirlo con radicalità (che non è lo stesso del radicalismo). E così, il primo modello di riferimento è stato quello del martire, soprattutto all’epoca delle persecuzioni. Il martire (che in greco significa testimone) è chi assomiglia di più a Gesù, perché non solo ha vissuto come lui, dedicandosi agli altri, ma è anche morto come il suo Signore.

Quando le persecuzioni non sono state più tanto generalizzate, e soprattutto a partire dalla libertà religiosa per il cristianesimo, si sono cercate forme alternative di radicalità: la verginità, la vita monastica e la vita eremitica. Quelli che assumevano questo stile di vita controcorrente lo facevano basandosi sulle stesse parole di Gesù: “Va’, vendi tutto ciò che hai e dàllo ai poveri e avrai un tesoro in cielo; poi vieni e seguimi”. Così ha fatto, ad esempio, Sant’Antonio abate, padre della vita monastica in Egitto.

Per la fede cristiana, Gesù si presenta come qualcosa di più di un maestro di morale o di un interprete della legge ebraica. La sua autocoscienza è quella di essere Dio fatto uomo, e questo spiega la sua pretesa di esclusività (che non è esclusivismo). La confessione dei primi cristiani è estremamente chiara: “Gesù è il Signore”, al di sopra di ogni culto e di ogni altra autorità. Come segnalava Benedetto XVI, “all’inizio dell’essere cristiano non c’è una decisione etica o una grande idea, bensì l’incontro con un avvenimento, con una Persona, che dà alla vita un nuovo orizzonte e con ciò la direzione decisiva” (Deus caritas est, n. 1).

Parliamo di questo nuovo orizzonte, e in questo consiste la conversione. A volte questo si verifica nella persona in modo individuale, altre volte il processo o il momento di cambiamento viene orientato da una realtà di gruppo o dalla testimonianza di un leader carismatico. Si tratta allora di una setta? No, e qui è fondamentale l’aspetto della libertà: ogni passo che compie la persona, per quanto possa essere radicale, è un passo compiuto in base alla libertà illuminata dalla ragione e dalla fede? È un atto libero o è un esercizio di obbedienza cieca a una persona o a una dinamica di gruppo? Arriviamo così alla domanda fondamentale.

Ci sono sette all’interno della Chiesa?

Per poter parlare di setta, qualsiasi definizione si utilizzi, dobbiamo trovarci di fronte a una realtà di gruppo, e questo gruppo o movimento deve godere di indipendenza nelle sue convinzioni e nelle sue pratiche. Come segnala Manuel Guerra, membro della Rete Latinoamericana di Studio delle Sette (RIES) e autore del Dizionario enciclopedico delle sette, una delle chiavi per delimitare il fenomeno settario è che parlando di una setta concreta ci si riferisca a “un gruppo autonomo”.

Una realtà di gruppo nella quale si verifichi un comportamento settario (o abuso psicologico, come dicono alcuni autori) non è automaticamente una setta. Bisogna concentrarsi non solo sulla sua dinamica interna, ma anche sulla sua situazione, sul suo contesto. Se questo gruppo dipende da un altro o si trova in una realtà maggiore che ha autorità su di lui, non possiamo parlare di setta.

Se parliamo concretamente della Chiesa cattolica, o di qualsiasi altra confessione religiosa con struttura e funzionamento simili, dobbiamo accettare quanto segnalato dal cardinale Christoph Schönborn: “Le sette sono isolate, e per la loro autocomprensione non vogliono vedersi sottoposte a esame da parte dell’autorità ecclesiastica”. È così. Si sono verificati casi in cui la gerarchia ha dovuto intervenire in qualche istituto di vita consacrata o in qualche associazione di fedeli di fronte alla deviazione del suo proposito originario e della sua dinamica interna, arrivando a deporre il leader e modificando il governo dell’istituzione per garantire le libertà e i diritti dei suoi membri.

Schönborn sottolinea la necessaria distinzione tra sette e settarismo, tenendo conto del fatto che “in fondo il concetto di fondamentalismo si utilizza spesso come slogan per attaccare qualcuno più che come espressione per descrivere un fenomeno spirituale chiaramente determinato. In questo contesto, a volte si parla anche di dogmatismo, di integrismo, di tradizionalismo”.

Ci sono atteggiamenti settari all’interno della Chiesa?

Detto questo, dobbiamo riconoscere che si verificano, o almeno si possono verificare, casi di comportamento settario in realtà approvate e riconosciute dalla Chiesa cattolica. Un esempio recente è quello dell’Ordine e Mandato di San Michele Arcangelo, che era stato approvato come associazione pubblica di fedeli di diritto diocesano dal vescovado di Tuy-Vigo e sul quale è intervenuta l’autorità ecclesiastica, destituendo il leader e fondatore.

Una precisazione importante che va fatta innanzitutto in caso di presunte “derive settarie” è distinguere se si tratti di un comportamento isolato di una persona o di alcune persone o di un centro concreto di questa associazione o se sia qualcosa di proprio del movimento o gruppo in questione.

Cosa fare allora? Seguendo linee d’azione di senso comune, bisognerà portare la cosa alla conoscenza del superiore corrispondente e poi, su istanza di questi o per iniziativa propria, denunciare i crimini o le mancanze che si stanno commettendo di fronte alle autorità civili corrispondenti. Quando si tratta di casi di presunta manipolazione o “abuso psicologico”, e conoscendo i limiti e le carenze della Giustizia circa queste accuse, è importante conoscere le possibilità dell’ordinamento giuridico della Chiesa per poter agire. Credo sia necessario esporre alcuni elementi che vanno analizzati in qualsiasi caso per aiutare il discernimento ecclesiale sulle possibili “derive settarie” in associazioni o gruppi cattolici.

Aspetti di gruppo di cui bisogna tener conto

Senza pretendere di stilare un elenco esaustivo degli aspetti di cui tener conto nel funzionamento di qualsiasi gruppo che appartenga alla Chiesa, possiamo segnalare i seguenti, in forma di decalogo, come riferimento molto importante per tastare il polso della sua “salute”:

  1. Qual è la concezione di leadership e di obbedienza che si ha nel gruppo? Si lascia un margine adeguato alla libertà del membro? Si tiene conto del carattere sacro delle decisioni prese in coscienza? Qual è la considerazione del fondatore o del leader e dei dirigenti?
  2. La fedeltà dottrinale alla Bibbia e al magistero della Chiesa sarà un altro aspetto fondamentale: è reale, abbraccia tutto o si scelgono solo le cose che interessano al gruppo?
  3. Accanto a questo, è fondamentale la fedeltà ai propri statuti, approvati dall’autorità ecclesiastica.
  4. Com’è il rapporto con gli ex membri? In esso si verifica in modo reale e concreto l’autocoscienza del gruppo, al di là delle idee teoriche. A volte si verificano casi di disprezzo, rottura totale del rapporto, considerazione totalmente negativa, ecc.
  5. Un aspetto irrinunciabile è il rispetto scrupoloso della distinzione dei fori interno ed esterno. Non può avere decisioni di governo su una persona colui al quale questa debba aprire la propria coscienza.
  6. Bisogna anche tener conto del carattere dei procedimenti disciplinari, della loro proporzionalità e del loro stile evangelico o meno.
  7. Un buon indicatore della salute del gruppo è lo stile del suo inserimento nelle strutture ecclesiali comuni, quelle nelle quali deve viversi l’ecclesialità, tenendo conto della peculiarità del gruppo. Fondamentalmente stiamo parlando della parrocchia e della diocesi.
  8. Bisogna osservare il comportamento nei confronti dei minorenni, soprattutto al momento dell’apostolato e dell’orientamento vocazionale. Non si può fare tutto questo di nascosto dalla famiglia, e bisogna rispettare la crescita della persona, aiutandola a scoprire il proprio cammino, senza imposizioni né orientamenti illegittimi.
  9. Se prima parlavamo dell’inserimento nelle strutture ecclesiali locali, bisogna anche tener conto dell’apertura del gruppo ad altre realtà ecclesiali e del mondo.
  10. Un aspetto decisamente negativo è infine l’esistenza di libri o materiali che si utilizzino ad intra e non abbiano l’approvazione ecclesiastica, siano essi regolamenti, libri di spiritualità o qualsiasi altro documento a cui si dia autorità sulla vita personale dei membri o nel funzionamento del gruppo.

Considerando tutto questo, quali possibilità ha la Chiesa di agire? In un articolo successivo spiegheremo come il suo ordinamento giuridico conti sugli strumenti non solo per correggere, ma anche per prevenire queste condotte settarie che possono verificarsi in realtà che fanno parte della Chiesa cattolica.

[Traduzione dallo spagnolo a cura di Roberta Sciamplicotti]

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